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che erano allora Ludovico Oraziani; Fortunata Tedesco; Filippo Coletti; Luigi Brignole. Ora avrei potuto giudicare il Don Sebastiano de auditu: sono andato due volte al Fondo, ma se qualcuno avesse voglia di maggiori notizie sull’esecuzione, dovrei ripetere, come già Ciacco a Dante: Più non ti dico e più non ti rispondo. Ho perduto troppo tempo a riandare il passato. I concerti sono tutti assai bene riusciti. I ciechi di Caravaggio si fecero molto onore: anzitutto una lode al fondatore della scuola, l’egregio Martuscelli; poi al paziente e valoroso maestro Francesco Lebano, zio dell’esimio artista. L’orchestra di quegl’infelici è affiatatissima, e un giovinetto a nome Gennaro Fabozzi è una gagliarda costituzione artistica. Suona il violino ed il pianoforte da vero artista. La Seconda Rapsodia del Liszt fu eseguita da lui con fine gusto, con estro, con esattezza matematica per ritmo e per meccanismo. Se il Liszt l’avesse udita, sarebbe rimasto più contento di quest’esecuzione, anzi che di quella di molti veggenti. Questo giudizio non è mio, ma d’un gran maestro di pianoforte: Michelangelo Russo. La signora Cosenza-Contreras è una cantante elettissima, che ha voce vibrata, potente e che sarebbe una vera fortuna per le scene se volesse ricalcarle. Nel suo concerto cantò benissimo tutto, specialmente la vaga melodia del Gordigiani: Ogni sabato avrete il lume acceso, e ancora meglio la grande Aria di concerto del Beethoven; VAria finale deWAnna Bolena. A dir breve, ebbe grande feste, e ne ebbero anche buona parte i fratelli Carlo e Vincenzo Lombardi, l’eccellente violoncellista e il principe de’ nostri accompagnatori. Anche il pianista De Vivo nel suo concerto si è fatto molto onore: è artista corretto, pieno di vigore. Ebbe pari onori il violinista Tuzzoli. La Società del Quartetto ha inaugurato le sue tornate: vi ha preso parte il Cesi, che suonò da par suo da principio sino alla fine. Il programma era splendido; Beethoven: Trio in mi bemolle, Op. 70, N. 2; Bach J. S.: Quinto Concerto per pianoforte, flauto e violino, con accompagnamento di violino, viola, violoncello e contrabasso; Schumann: Kreisleriana. Presero parte al concerto anche i dilettanti signori Zingaropoli e De Filippis e i professori Negri, Tantini, Salvadore, Merola, Abussi, Alvino, Loveri e Flocco. Il Cesi fa annunziare un concerto; ma non ha indicato il giorno in cui lo darà. Ora è tra voi, pel medesimo scopo, e questo lo sapete già. Oltre questo del Cesi si attendono ancora i concerti, pianistici tutti, del Guida, del Cosentino, del Rossomandi, del Viscardi, che ha associato il contrabassista Franchi. Molti dilettanti e non pochi artisti attendons!, anche un concerto Romaniello, tutti in grande desiderio di udirli. Sono i due fratelli Romaniello, giovani, che studiano sempre e crescono ogni di più in valore. Alcuni loro componimenti, tanto vocali quanto strumentali, sono in gran voga. Anche in molta voga sono i lavori del Van Westerhout, specie la Serenata, un pezzo ben concepito ed assai meglio condotto. Il Van Westerhout è fra gli ingegni più promettenti e più sodi. E ora convienmi passare dal regno dei vivi a quello della morta gente. Emidio Perrella non è più: lo ha spento un colpo apopletico: a 66 anni era assai solerte maestro di pianoforte, e insegnava nelle scuole di musica del Regio Educatorio di S. Marcellino. Molto più vecchio era Raffaele Gambogi, suonatore e maestro di clarinetto. Aveva 74 anni, molti de’ quali spesi nel servizio militare, chè fino al 1860 fu nelle musiche dell’esercito borbonico, come primo clarinetto. Non essendo riuscito ad allogarsi nella banda detta Guardia Nazionale, e travagliato da un’infermità alle gambe, per vivere, si acconciò a far da custode d’un pubblico edificio. Rimesso, riprese di poi l’esercizio della professione ed ebbe ad insegnare il meccanismo del suo strumento nell’Ospizio dei Ciechi. Il Collegio di musica ha fatto due perdite, una più grave dell’altra: Giacomo Legrand e Salvadore Pinto. Il primo, professore di corno da caccia, era da pochi anni succeduto al suo maestro Poggi. Zelantissimo del proprio ufficio, quantunque travagliato da grave infermità, solo quando non potè più reggersi in piedi, interruppe il corso delle sue lezioni: era pure primo corno al San Carlo. È morto a 5 5 anni. Salvadore Pinto non aveva ancora 30 anni e si lasciava a dietro quanti sono qui emuli e colleghi. Questo rende più amara la perdita. Occupava già segnalato posto nell’arte: oltre al professare al Conservatorio l’insegnamento del suo prediletto strumento, sedeva al primo posto nell’orchestra del San Carlo: era concertino con l’obbligo degli a soli, e primo violino della Società del Quartetto, della Società Filarmonica e dell’Orchestrale. Con tutto ciò, due anni or sono dava un bell’esempio di modestia. Correva in Germania per avere consigli dal celebre Joachim, al cui magistero fu per alquanti mesi subordinato. Era mite di carattere, ’affabile e, come tutti i giovani educati nel Collegio, durante il primo periodo della direzione dell’illustre comm. Rossi, colto tanto musicalmente, quanto in fatto di letteratura e di storia. A molti il Rossi, insieme con lo studio di composizione, faceva leggere le opere dei santi padri della chiesa musicale. E i giovani attendevano a questo esercizio con un amore da non si dire. I più fidi e costanti interpreti erano il Martucci, il Pinto ed il Maselli. Questa pagina potrà cadere solamente sotto gli occhi del primo, e del suo amorevole ed illustre maestro. Ad entrambi, pel bene dell’arte, auguro lunga e prospera vita. E, ahimè! fu questo bene dell’arte, che trasse al sepolcro in sì giovane età il Pinto. Non bene guarito dall’ileo-tifo imprese il viaggio per Torino, non volendo mancare di seguire i compagni capitanati dal Martucci. Di ritorno fu nuovamente preso dalla febbre, che lo ha consumato per parecchi mesi. Misero giovane! — Acuto. VENEZIA, 23 Gennaio. Ripresa della Gioconda alla Fenice. a ripresa della Gioconda alla Fenice — la quale aveva naufragato la sera I) dell’11 corrente per la infelicissima esecuzione — ebbe un trionfo ieri, benché il concerto, rifatto in condizioni assai pericolose, fosse tutt’altro che maturo ila parte dei cantanti. Trattandosi di un’opera come è la Gioconda, la quale dopo tanti trionfi non può risentirsi menomamante da una caduta cagionata da artisti o incapaci, o non adatti, o deperiti, non mi sono neanche curato di scrivervi: le sono cose disgustose, discorrendo delle quali, chi ama l’arte, è facile si lasci trasportare, e poi non vi è proprio sugo a fare l’inventario dei caduti in queste infelici battaglie dell’arte. La ripresa, dunque, della Gioconda segnò un trionfo dello spartito, ed ha messo in bella luce il talento non comune di un’artista straniera, la signora Berta Pierson, di Vienna, la quale, con poca voce, debolissima al centro e al basso, seppe rialzare lo spettacolo, che minacciava, nientemeno, di condurre ad una catastrofe, perchè se la ripresa della Gioconda avesse segnato un secondo insuccesso, la chiusura della Fenice era inevitabile. I tre primi atti, pur bene accetti dal pubblico, preconizzavano però un successo freddo; ma l’atto quarto, nel quale il soprano è tutto, ha cambiata la freddezza in entusiasmo. La Pierson lo canta bene, accenta con intelligenza e con anima, agisce con talento. Il terzetto, principalmente per lei, fu ripetuto e, finita l’opera, il pubblico volle rivedere la simpatica artista e sola e coi compagni. E anche giustizia rilevare che gli altri artisti, specialmente il baritono Sivori ed il tenore De Negri, la secondarono bene. La signorina Petich nella parte della Cieca si era distinta anche alla prima sfortunata rappresentazione e ieri il suo successo fu confermato. La signorina Leonardi — una gran bella donna Laura — coinvolta nell’infelice esecuzione precedente — si è rialzata; ed il basso De Bengardi, tolte alquante esagerazioni alle quali potrà facilmente rimediare, completa l’assieme. Orchestra e cori lodevolmente a merito dell’egregio maestro Usiglio e del maestro R. Carcano. La prima anzi dovette ripetere la perorazione- della scena del Rosario ed il gran finale al cui effetto aveva potentemente cooperato. Le danze dell’atto terzo — bene messe in scena e anche bene eseguite — furono ripetute. Come vedete le cose mutarono faccia mercè il talento di un’artista, la Pierson, e mercè la bella voce del tenore De Negri, il quale nelle successive rappresentazioni farà anche meglio, non avendo potuto, stanco com’era dalle tante rappresentazioni del Profeta, cantare alle prove e per conseguenza fu incerto e scolorito in parecchi punti. Ora che si ha un buon spettacolo in piedi, sarà assai bene affrettare, ma nel tempo stesso curare amorosamente, le prove del Boccanegra, anche nel quale la Pierson troverà certo modo — se la parte di Amelia si adatterà alla sua voce — di brillare come ha veramente brillato per luce propria e non per luce riflessa in questa Gioconda. E mi auguro che sia così. — P. F. FIRENZE, 28 Gennaio. Concerto orchestrale del giovane E. Del Valle de Pa^ — Qualità di questo giovane — Il teatro Pagliano, le sue opere e la serata d’onore del baritono A. Brogi — Il teatro della Pergola e una seconda edizione della Favorita colla Lucchesi e con Brogi — Adunanza dell’Istituto Musicale. Bnche per questa volta mi sovviene copiosa e svariata la materia per la consueta corrispondenza. Darò, come si dice da noi toscani, un colpo al cerchio e uno alla botte, per denotare che non mi fermerò a lungo su nessuno degli argomenti, ma che ne darò una semplice notizia, acciò nessuno venga da me pretermesso. E dirò di preferenza di quelli che più strettamente appartengono all’arte ed al suo svolgimento, o che più vivamente possono interessare la curiosità. Guidato da questo intendimento, mi rifarò dal concerto orchestrale dato la mattina del 22 corr. nella sala della Filarmonica, dal giovane pianista e compositore E. Del Valle de Paz, il quale a 23 anni gode già una buona riputazione come concertista di pianoforte, e che promette d’occupare un posto assai considerevole come sinfonista ed operista. Questo giovane appartiene, per la scuola del pianoforte, a quella celebratissima del maestro B. Cesi; e con l’abilità sua, già nota fino dall’anno scorso a Firenze, dove suonò applaudito insieme all’insigne suo precettore, lo rende degno del maestro; e per la composizione appartiene al Conservatorio di Napoli. Non mi tratterrò a riferire le belle prerogative di questo giovane nel trattare il pianoforte, il suo tocco delicato e netto, la precisione ed il colorito, la interpretazione animata e viva, di cui diè saggio anche questa volta non solo nelle composizioni di Mendelssohn e in quelle di Chopin, ma sì ancora nelle sue proprie: Esquisses e Valses mignonnes (Edizioni Ricordi), che sono proprio cose ghiotte e delicate che arieggiano, specialmente nel primo valzer, il fare capriccioso e fantasticamente amabile di Chopin. Il magistero nel pianoforte diventerà nel giovane Valle un adornamento secondario, se procederà, come comincia nella grande composizione orchestrale. In questo suo concerto udimmo le parti, senza voci, d’una sua opera, Ondina, che, se non erro, era destinata al Concorso Sonzogno; e furono: Le Deità del Lago, (i Tritoni, le Ondine, le Naiadi, Ballabile), un Interinerò, sotto nome di Gnomi, (Marcia burlesca), e le Deità del Bosco, (i Fauni e le Driadi (Minuetto’) e Baccanale). Io assistei alle prove ed al concerto, e per primo segno della bontà di questa musica dirò con tutta verità, che non mi tentò mai ombra nè di stanchezza, nè di noia. La musica di questo giovane è chiara sempre, sempre melodica, e nel suo linguaggio non scorgi nè incertezze, nè trivialità. Le parti degli strumenti sono distribuite con molto gusto; e nell’avvicendarsi delle frasi non ei sono nè contorcimenti, nè vacuità, nè stramberie. È un discorso chiaro e che corre facile attraverso le dotte e pensate combinazioni armoniche; e, quello che più monta, un discorso fatto per le nostre intelligenze e pei nostri orecchi, i quali, quantunque avvezzi a certe convulsioni improvvise e spasmodiche, si riposano più volontieri nelle melodie casalinghe, abbellite da una giudiziosa modernità. Nella musica di questo giovane maestro c’è e primeggia lo stile e il carattere italiano, e non manca di quell’impronta adattata al soggetto. Nelle Ondine predomina la dolcezza vaporosa e gentile, trasfusa in una graziosa melodia per arpa con accompagnamento di flauti; la Marcia bur lesca è un pieno capriccioso d’un bell’effetto; il Minuetto, che si volle ripetuto e che il violinista Faini eseguì con squi49