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  • Vraiment?...

U Amis des Arts, di Nizza, ci dà la notizia che a quel teatro Municipale «il sistema di ventilazione adottato è de’ meglio compresi. Ogni spettatore, seduto, potrà ottenere, secondo lo desidera, una corrente d’aria fredda o calda al disopra del posto ch’egli occupa.» Sì, il sistema è de’ meglio compresi... per chi ha voglia di ridere. Dopo tutto, nihi.1 sub sole novi. VEcho Musical di Brusselle in un lungo ed elaborato articolo, fustigando cui tocca in patria, constata in termini di molto encomio che il Governo italiano è «entrato risolutamente nella via del progresso» organizzando la composizione delle musiche militari, adottando la maggior parte delle riforme preconizzate nel 1877 dalla Commissione belga del diapason, e decretando, fra l’altre, il nuovo diapason per l’uso dell’esercito. Laddove nel Belgio stesso, dice UEcho Musical, s’è fatto un bel nulla. ★ Questa è buona. A Brema si è costituita una società molta bizzarra. Essa ha per missione d’impedire agli spettatori d’arrivare tardi a teatro. Ogni membro della società ha fatto solenne giuramento di non lasciare pervenire alla propria sedia qualsiasi spettatore che viene in teatro a spettacolo cominciato. Oh, se la misura germogliasse anche fra noi!... ★ Le Guide Musical — riportando con compiacente orgoglio gli elogi che i giornali d’Aix-la-Chapelle fanno sul conto di A. De Greef, pianista brussellese, dice: «Move a stupore, che di tutti i nostri giovani artisti, allievi del nostro Conservatorio, nemmeno uno riesca a farsi udire a Brusselle, e che tutti sieno costretti a portare il loro ingegno all’estero per essere apprezzati» La même chose avviene in casa nostra, egregio confratello. Ed è così in tutto il mondo (quello nuovo escluso). Nemo propheta in patria. Corrispondenze NAPOLI, 19 Gennaio. Un tumulto al Sannazaro — Guai al San Carlo — Soverchia celerità nel mettere su le opere al Fondo — Ricordi d’infanzia: dopo la prima rappresentazione del Don Sebastiano al San Carlo, sono ormai trentanni — Un giudizio troppo reciso del Mercadante a proposito di musica straniera e della Favorita — Giudizio del Conti e del Parisi — Effimera vittoria di quest’ultimo — Felice presagio del primo — Prime pompierate del Coppola — Concerti dati e da darsi — Necrologie. ARÒ noiosissimo; ma vo’ narrare lo scandalo, a cui assistetti, al Sannazaro. V’ero stato trascinato da un amico, che, essendosene dovuto rimanere per più di quindici anni in un meschinissimo paesello della Calabria, dove dell’ira del mondo non giunge il rumor, non sapeva che fossero le operette. Il poverino, quantunque amantissimo del bello, non avendo potuto seguire le evoluzioni artistiche ultime, è per me soggetto di lunghe considerazioni e discussioni. Alla prima udizione della Forza del Destino era corrucciato seco medesimo, voleva riudire l’opera; ma credeva apostata il Verdi e giungeva alla massima irriverenza, ripetendo uno svarione del comune compianto maestro, il Tari. Ma poiché gli feci notare avere il Tari mutato opinione, e lo ebbi invitato a riudire l’opera, non solamente è del mio avviso, sul massimo valore dell’opera del cigno di Busseto; ma va ancora più in là. Asserisce il mio amico, nè credo sia destituita assolutamente di giustezza la sua asserzione, che la compiutezza dello spettacolo musicale sia per nuocere all’arte drammatica, e non poco. Sapendomi egli avversario delle operette, credeva alla sua volta poter operare la conversione e volle m’accompagnassi con lui per udire la Bella Elena. Ma che! Non si era ancora alzato il sipario e già, in platea, si zufolava qualche motivétto; s’imprendevano conversazioni. Qualcuno notava che chi dirige ora la compagnia e canta le operette altra volta si era mostrata ne’ quadri plastici, anzi fu la prima a promuovere qua siffatti spettacoli. Ma il segnale che si cominciava troncò ogni discussione, e finisco anch’io co’ preamboli, tanto più che il preludio finora è molto poco musicale. Non importa: talvolta occorre che un corrispondente si occupi de omnibus rebus et de quibusdam aliis, giusta il motto d’un decrepito giornale di qui. A spettacolo cominciato, per altro, l’uditorio si trova in grande impiccio. Deve permettere che l’Elena non sia nè bella, nè giovane e non abbia voce e non sappia nè il canto, nè la lingua italiana? La direttrice l’avrebbe scritturata, se si fosse trattato di produrla ne’ primi spettacoli dove fece mostra di sè? Ecco la domanda, che rivolge all’amico vicino quel tale, la cui osservazione ho già fatto nota. Alla risposta negativa e sonante acuta, si sente un grand’urlo e poi un altro e poi un immenso baccano. Elena, che credeva far le cose molto seriamente, si presenta al pubblico con molta arroganza, e prende ad arringare, chiedendo che non si disturbasse lo spettacolo. Ma il tumulto cresceva vieppiù: dalle quinte, vista la mala parata, esce un non so chi per far ritirare l’incauta, che si scalmana ancora a perorare. E qui s’intavola una conversazione tra palcoscenico e platea: Elena, come una ciana, si scaglia contro il pubblico, perchè non vuole comportarsi degnamente e questo continua a far baccano. Finalmente diffinisce la contesa una voce stentorea dal lobbione: Sono inutili, dice, tante chiacchiere; ridateci il danaro e andremo via, nulla avremo perduto. Il partito piacque pel primo all’impresario, il danaro venne restituito; seppi poi dall’amico, rimastovi in teatro, che la rappresentazione continuò, per poche signore dei palchi, che dovevano attendere le carrozze; ma l’opera andò innanzi senza la protagonista. E ciò in un teatro, dove si dà convegno Vhigh-lifè, che ospita le prime compagnie drammatiche ed il cui proprietario, oltre alle immense ricchezze, è fra’ più cospicui signori di nobile casato. Quanto son diversi nel giudicare la nobiltà dell’arte il nobile proprietario del Sannazaro e l’altro, pur nobile, del Bellini. E, per uscire dalla morta gora delle operette, debbo dire che l’amico mio, che credeva operare la mia conversione e rendermi meno nemico delle operette, avendone udito diverse altre, e al Sannazaro e al teatro Nuovo, ha finito col conchiudere essere preferibili i quadri plastici accompagnati da qualsiasi musica, sia pure quella del Giorza e del Dall’Argine, che accoppiasi al ballo Nerone del Pallerini. Il fiasco di questo ballo e il non potere attuare uno spettacolo coreografico da surrogarlo, e, quel ch’è peggio, l’impossibilità di dare un po’ di riposo agli esecutori della Forza del Destino, mette il San Carlo in un periodo critico. Indisposta la Bruschi-Chiatti, il teatro è chiuso; annunziavasi un Rìgoletto con la Gargano, Sani e Kaschmann; ma non se ne farà nulla. La Carmen non sarà pronta prima della fine di questa settimana: l’editore, che è qui, ha fatto mettere fuori combattimento Don Josè, un giovane, che aveva pur dato buone, se ben poche prove e qui e a Milano. Lo sostituirà il tenore Garulli, fatto venire da Venezia. Si desidera e molto YAida, e pare si dia, trovata che si sarà l’Amneris. Credesi che la Bruschi sia per isciogliere il contratto: la parte di Eleonora nella Forza del Destino sarà presa dalla Bianchi-Montaldo. Sarebbe definitivamente scritturata la De Reszké. Vedremo. Intanto che al San Carlo procede cosi lentamente, il Fondo corre di galoppo. Siamo, come vedete, fra un troppo, ed un troppo poco. Il troppo, al dir del proverbio, stroppia, e la soverchia celerità onde si seguono gli spettacoli al Fondo, nuoce alla bontà di essi. Don Sebastiano ha già avuto due edizioni, la migliore è quella in cui prese parte la Marzolla; il Barbiere è più accomodato al teatro ed agli esecutori; la Lucrezia. Borgia è uno spettacolo mal riuscito. L’esecuzione del Don Sebastiano, salvo per la Marzolla, ed in pochissima parte, non mi è piaciuta. Non dico questo perchè il valoroso De Nardis non sia riuscito ad interpretare nel retto senso l’opera del Donizetti; ma era meglio lasciar da canto quest’opera, quando gli artisti, chiamati ad eseguirla, non potevano farne spiccare le bellezze. Sono passati moltissimi anni dalla prima rappresentazione del Don Sebastiano al San Carlo, e non potrei ripetervi l’impressione mia; era imbrogliato fra’giudizi delle due correnti artistiche d’allora. L’una era estesissima, perchè sorgeva dal Mercadante; l’altra dal Conti Carlo, dal Lillo, che trascinava mio padre, in voga di ribelle tanto in fatto di arte, quanto di politica. Vi debbo dire, per altro, che il Don Sebastiano suscitò ire già spente: il Conti gustava la musica del Donizetti, il Mercadante, ancora addolorato di qualche fiasco piramidale fatto poco anzi, traeva argomento dall’insuccesso del Don Sebastiano per dimostrare che Napoli, allora, aspettava la musica da fuori, come i figurini di mode. Si volevano pure di sarti parigini o tedeschi; che se avevano il bollo d’un italiano, non ostante fossero fatti fuori Napoli, non avrebbero trovato simpatia. Ho tradotto in italiano le testuali parole, che il direttore del Conservatorio e della musica al San Carlo diceva il giorno dopo la prima rappresentazione del Don Sebastiano. Il Mercadante, con gli artisti, parlava nel dialetto solamente. Diceva quelle parole mentre lo accompagnavano per via il Conti, il Lillo, che mi conduceva seco ogni qualvolta andava ad insegnare al Collegio, ed altri artisti. Nè solamente mi ricordo di questo; ma non dimenticherò neppure che il dotto Conti, dopo, non rispose, ma mendicò una scusa e via di corsa. Al Lillo, che sorrise, io chiesi ragione della subita scomparsa del Conti. Mi rispose: Ha creduto, forse, che il direttore alludesse al Meyerbeer del cui Roberto il Diavolo, o, come qui lo intitolarono, di Piccardia, tanto bene accetto al pubblico, egli è entusiasta. Al Mercadante il successo felice di quell’opera aveva turbato i sonni, e ne sparlava. Compativa il Donizetti, perchè, compagno di duolo gli scemava la pena; non ammirava però l’opera. Era migliore, diceva, la Favorita; ma questa, a giudizio del Mercadante, è un centone ben riuscito! Il Lillo, per altro, era favorevole alla musica del Don Sebastiano, quantunque sempre si dichiarasse perseguitato dal Donizetti, che, modificando alcun poco il libretto, e rimettendolo in musica, aveva messo fuori di repertorio il suo Conte di Chalais. Ognuno sa che la Maria di Rohan fu scritta sul melodramma che il Cammarano aveva precedentemente dettato pel Lillo; pel Donizetti aggiunse una parte pel contralto, oltre qualche piccolissima emenda. Al Conti piaceva e diceva che segnava un periodo di pregresso e a persone che sapeva a sè fide, soggiungeva che era musica da sostenere il confronto con quella del Verdi, allora in fiore, con quelle del Meyerbeer, che venivansi acclimatando, e finiva con un sinistro presagio pel Mercadante. A lui pareva che dopo le costui opere non sarebbero per reggersi più e fu profeta. Don Gennaro Parisi, invece, più pratico che teorico, che non riconosceva a^tro dio in armonia salvo il Fenaroli, affermava che il Donizetti aveva abiurato la religione avita, e aveva scritto musica straniera. Il motto fece fortuna e tutti della corrente opposta accettarono a occhi chiusi il giudizio. L’aveva detto il luogotenente; il capitano aveva coperto, col compatimento, qualunque giudizio severo. Intanto tutto il pubblico che aveva riso udendo che Don Gennaro Parisi, un picchiapetto, un baciapile insigne, era andato a chiedere al suo confessore se poteva assistere, anche per iscopo artistico, alla rappresentazione di un’opera che aveva per protagonista il diavolo, ne accettò il responso. Per farla finita, l’opera spiacque: il Coppola, che scriveva un giornale umoristico, non volle addentrarsi nel merito della musica di Donizetti perchè rispettava troppo il Portogallo di Don Sebastiano. Erano le prime pompierate dell’arguto compilatore del Fanfulla, anch’egli morto come tutti gli artisti che ho ora menzionati. Io, è inutile dirlo a chi già conosce, ho l’onore di scrivere da più che quindici anni su questa Gazzetta, pregiatissima e diffusa, accettai allora il giudizio del Conti e del Lillo e applaudii per più sere gli egregi esecutori del Don Sebastiano, 48