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In Italia, ebbe il dolore righe non può tutta la nobiltà mancasse tutto di perdere un suo figliuolo, e chi scrive queste dimenticare una sua lettera commovente eli e rivela d’animo di questo grande artista a cui pareva col mancare di quell’esserino, benché fosse, come di fare la che sopra Ecco le noi siamo detto, vobravissimo ei battezmisteriosa più concludente delle confutazioni al bizzarro articolo abbiamo riportato. belle, le sante parole dettate dal Verga: A noi sarebbe assai facile il confutare con fatti molto positivi queste strambe teorie, ma neppur di ciò abbiamo bisogno, poiché, nello stesso Corriere della sera del 29 corrente, un artista, un letterato, quale il Verga, si è incaricato, a proposito di drammatica, diceva il Planté con frase adorabile, le cinquième petit diè^e à la clef!... In compenso siamo facili e indulgenti ammiratori dei forestieri, quanto siamo arcigni e severi coi nostri di casa. Forse questo è un sentimento d’ospitalità larga e signorile rimastaci dal tempo in cui l’Italia era solo il paese degli aranci e dei viaggi di nozze, e non vuol dire però che la sia una virtù da locandieri. La modestia non è un difetto, specie per gli altri; anzi può confortare come indizio di un senso più alto dell’arte nostra, e come una maggiore promessa per l’avvenire. Ma, perdio! non ei mettiamo a gridare sui tetti che siamo un mucchio di cretini, quando gli altri, fuori, non riescono a prenderci in parola. Queste parole possiamo davvero applicarle in Italia a tutto quanto si fa in arte, in scienza, in letteratura, in politica; e poi, vedendo che alla fin fine a qualche cosa riescono anche gli Italiani, piutrendiamoci giustizia, se non si fa gran cosa, non si tiene neppure in troppo gran conto il poco che si fa. Uno che abbia viscere fraterne per queste povere nostre lettere, deve tener dietro a quello che pensano di noi fuori di casa nostra, ed anche a quello che fanno quegli altri, per non correre ogni momento ad abbracciare lo spaglinolo, come faceva Rossini. LE VILLI OPERA-BALLO IN DUE ATTI DI FERDINANDO FONTANA MUSICA DI GIACOMO PUCCINI rappresentata al Teatro alla Scala la sera di sabato 24 Gennaio 1884 suo paese natio... e che studiava. Il risultato di tale insistente lavoro compiuto senza alcuna distrazione, senza preoccupazioni di sorta, doveva essere fortunatamente apprezzato in seguito. Egli decise un bel giorno di mettersi in viaggio, non però per prodursi in pubblico, sibbene per visitare i paesi stranieri e fare suo prò di quanto vi poteva vedere ed udire: non mancò di stringere relazioni coi più grandi artisti dei quali ebbe utilissimi ammaestramenti. — Fu così che ritornato finalmente a Parigi nel 1872 e fattosi udire dapprima in concerti di beneficenza, poi in un’accademia organizzata per proprio conto, ebbe a destare l’entusiasmo più giustificato per la quantità delle doti che un sì lungo ed intelligente studio poteva solo avergli procacciate. Dopo d’allora il Planté ha percorso di nuovo tutte le metropoli europee facendosi stavolta acclamare dovunque per la squisitezza del suo gusto e quell’incanto particolare, quella grazia infinita, affascinante che potrebbe talvolta cadere nel manierismo se la serietà dell’artista non gli vietasse di trascendere ad effetti men che nobili ed elevati. No, per certo: la banalità, il barocchismo, o la riprovevole condiscendenza ad esagerare certi effetti per soddisfare gusti grossolani, non sono nello stile di Planté. Non occorre nemmeno aggiungere ch’egli è rotto a tutte le difficoltà del meccanismo, il quale non ha segreti per lui: egli è inoltre di una instancabilità che è in pieno contrasto con la sua ■apparenza delicata e nervosa. Come interprete ha un merito assai raro: quello di non voler interpretare a dismisura cambiando, snaturando il pensiero dell’autore a furia di volergli far dire troppo e sostituirsi a lui anziché secondarlo. — Passando da un autore all’altro, dalla scuola classica al più spigliato romanticismo, Planté conserva a ciascuno il suo carattere, il suo stile, il suo colore. Egli giustifica così il detto di Liszt che esclamò un giorno: «Avete un gusto d’assimilazione eccezionale» — frutto questo senz’alcun dubbio degli anni passati laggiù nei Pirenei, in compagnia di Bach, Beethoven, Scarlatti, Chopin e tutti quanti. Egli sa esser sobrio, malgrado tutta la finezza del suo sentimento e le infinite gradazioni di colorito della sua ricca tavolozza: riesce spontaneo, naturale, fluido, elegante senza smancerie, ideale senza nebulose divagazioni — nè gli mancano qualità di vigoria, di fermezza, di slancio. La varietà della sua espressione, la morbidezza del suo tocco, la ricchezza del fraseggiare, la soavità piena d’intuizioni del suo canto che lo fa grande anche nelle cose facili, lo collocano fra gli artisti più eletti e più ammirati anche dal gran pubblico. Il Planté, che è felice possessore di un cospicuo patrimonio, passa la più gran parte dell’anno a Mont-de-Marsan nel seno della sua famiglia ed è marito modello, padre affettuosissimo. L’anno scorso 75^4 edeli alle nostre abitudini. riportiamo più innanzi alcuni giudizi della stampa cittadina intorno all’opera Le Villi di Giacomo Puccini. Quest’opera del giovane maestro lucchese, riportando nel vasto ambiente della nostra Scala un successo completo, clamoroso, uguale a quello avuto la scorsa primavera al Dal Verme, ei ha fatto persuasi che non andavamo errati nel giudicarla assolutamente un lavoro fuor del comune. Una piccola opera, con tre soli personaggi, epperò con un relativo limitato numero di pezzi, e che tuttavia interessa da cima a fondo il difficile e schizzinoso pubblico della Scala, deve dunque aver in sè grandissimi elementi di vitalità; e questi, infatti, li riscontriamo nella bella, giusta misura dei singoli pezzi, nella elevatezza, che chiameremo sempre simpatica e non pesante, dei concetti, nel ben nutrito istrumentale e nella varietà dei ritmi. Tutte bellissime cose coteste e che per certo altri giovani maestri posseggono al paro del Puccini, ma il Puccini, a parer nostro, ha qualche cosa di più, e questo qualche cosa è forse la più preziosa delle doti, quella alla ricerca della quale s’affannano e s’arrabbattono tanti geni incompresi, la cui impotenza si maschera sotto lo specioso nome dell’avvenire!... Questa preziosa qualità, del nostro Puccini, è di avere nella propria testa (ozi dans son ventre, come dicono i francesi) delle idee: e queste si hanno 0 non si hanno, come direbbe giustamente il buon Colombi, nè si acquistano studiando e ristudiando punti, contrappunti, armonie, disarmonie, e sudando lungamente su quei geroglifici pieni di scienza e di veleno che sono le partiture Wagneriane. Si possono bensì queste idee guastare, atrofizzare, ed in questo lavorio che mette a completa rovina la bella, semplice, casta musa italiana, hanno parte principalissima molti critici o sedicenti critici musicali italiani, i quali perchè di musica ne sanno come noi di chinese, nulla di meglio trovano per fabbricarsi una usurpata rinomanza di scienza e di intelligenza, se non di dire corna della musica italiana. Noi davvero non comprendiamo questa manìa demolitrice, la quale ha trovato la sua più perfetta estrinsecazione in un articolo del Corriere della sera del 24 corrente, che riportiamo acciocché i nostri lettori vedano a qual punto può essere ingannata la buona fede di un critico che non sappiamo se sia più o meno musicista: La musica descrittiva e sentimentale ha sopraffatto la musica dell’espressione. Il wagnerismo, inteso come espressione individuale di una nuova forma di melodramma, ha dato un nuovo ideale agli scrittori di musica che prep. rano il teatro dell’avvenire. Il poeta — perchè qui si tratta di un vero poeta, benché i versi del libretto non valgano molto più di quelli dei soliti mestieranti — ha tentato in questo poema quella fusione delle forme sinfoniche colle drammatiche, che è vagheggiata da coloro che vanno preparando il teatro dell’avvenire. Il vecchio convenzionalismo del melodramma italiano rovina da tutte le parti; oramai, persino nei teatri popolari. Dove la forma d’arte rinnegata dai pubblici più intelligenti e più progressivi trova sempre un ultimo applauso, è penetrato il bisogno di un’arte più ampia, più perfetta, più libera, più alta. L’incremento ogni dì più largo e più rapido dei concerti sinfonici non può non avere una grandissima influenza sulle sorti del teatro musicale. Mano mano che il gusto del pubblico si alzerà all’ammirazione più pura dell’arte musicale, la sinfonia, il melodramma tenderà a trasformarsi, ad uscire da ogni barocca convenzionalità per espandersi liberamente in una forma nuova, dove le esigenze dello spettacolo non s’impongano, come fanno ora, ai diritti dell’arte. Il libretto sta per cambiarsi in poema, come il melodramma sia per cambiarsi in una grande sinfonia rappresentata sulla scena. Ecco il perchè ei pare che il poemetto scenico del Fontana debba essere considerato con una speciale attenzione e giudicato con criteri diversi da quelli adoperati fin qui per giudicare del valore di un libretto. tosto che giudicarci meno asini di quello che noi stessi ziamo, rimaniamo sbalorditi dandone il merito a quella proteggitrice nostra, che si chiama: Stella d’Italia!... Parrà ai nostri lettori che, a proposito delle Villi, esciti di carreggiata; ebbene no: tutto quanto abbiamo gliamo sia ponderatamente letto e studiato dal nostro Puccini: ripetiamo che immensa è la fiducia che riponiamo nel di lui talento, e desideriamo poter dire fra qualche anno, non è solo talento, ma genio. Si rammenti il Puccini che è italiano, se lo rammenti e non si vergogni d’esserlo, italiano, e lo provi lasciando correre libera da ogni pastoia la sua ferace fantasia; ne avrà gloria, e sarà gloria italiana!... — G. Ricordi. 44