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LIVORNO, 2i Gennaio. Notizie varie. L R. Teatro Goldoni, apertosi con la Jone, si è chiuso con la medesima, e tutto è finito. Di tre opere annunziate, non se n’è data che una sola e tutto per colpa dell’impresa. Per l’Attila era stata scritturata la signora Vottero, che a quanto mi assicurano non le sarebbe mancato il plauso del pubblico, ma dovette andarsene, inserendo una lettera nei giornali locali, con la quale dichiarava che se l’Attila non era andata in scena, non fu colpa sua (lo sapevamo noi però di chi era la colpa, e l’Impresa pure lo sapeva) — poi parlava anche di quartali, cosa anche questa che riguardava l’Impresa. A questa lettera ne fece seguito un’altra del vice-presidente dell’Accademia del R. Teatro Goldoni, che dichiarava che era «il signor Cesare Nunes-Franco che fece l’impresa per solo «suo esclusivo conto ed interesse» e che «il medesimo non riveste nè ha mai «rivestito ufficio o carica veruna nell’Accademia.» E tanto basta mi sembra! Al Rossini, dopo la Carmen, abbiamo avuto la Mignon. Piacque la Hausmann, il tenore Del Papa e il nostro concittadino Camarlinghi. Non piacque quella che eseguiva la parte di Filina; iersera venne cambiata, ma siamo caduti dalla padella nella brace; perchè la nuova non vale più dell’altra. Bene l’orchestra diretta dal Guerrera. Fu replicata la sinfonia. Per la quaresima si parlava dell’Ero e Leandro del Bottesini al teatro degli Avvalorati, ma si dice che non se ne faccia più,nulla. — Avremmo udito con piacere la bella musica del Bottesini, ma siccome il progetto era di quell’impresario, che avendo promesso tre opere in una stagione, ne aveva data una sola, così sarebbe stata ottima cosa che l’editore, per il bene dell’arte, avesse aperto gli occhi, altrimenti ei sarebbe stato il caso di sentire il solo Ero o il solo Leandro, per semplicizzare. La voce che in quaresima si abbia la Gioconda al Politeama Livornese si fa sempre più insistente. Speriamolo! — A. R. CATANIA, 18 Gennaio. Al Comunale — Notizia — Tiratina d’orecchie — Una scuola di contrappunto. ella settimana passata le rappresentazioni della Lucrezia furono alternate con quelle del Don Sebastiano. Là Lucrerà col solito esito: felicissimo, il Don Sebastiano — che dopo la prima non potè più darsi — mercoledì entusiasmò. Il Caldani-Kuon è un tenore che canta con molta arte e gli acuti della sua dolce voce sono potentissimi: fu molto applaudito. Il baritono Polli Massimiliano si mostrò — forse per farmi restar da bugiardo — un bravo artista da potersi chiamare nuovo rivelatore della parte di Camœns; fu applaudito sinceramente e meritamente in tutti i pezzi, massime nella romanza e nel duetto del terzo atto e nella barcarola. La Cottino e il Pozzi al solito benissimo. 11 resto tutto bene, specie l’orchestra sotto la direzione del bravo Branca. Alle prove VErnani e la Saffo. Ed ora — mentre regalo da qui una tiratina d’orecchie al proto della Gaietta per avermi fatto dire le camere nuziali di Peppino Auteri invece di camere musicali, ecc., — rendo noto che a Catania c’è una buona scuola di contrappunto. E quella del maestro Generoso Sansone, maestro di Peppino Auteri, di Paterno Torresi e di altri autori di bellissime composizioni e melodie da camera degne di stare accanto a quelle del Tosti, del Rotoli, del Denza, ecc. Capisco che l’autore ha un merito, ma chi ne ha di più è il maestro e specialmente un maestro a Catania dove — ripeto — non c’è Collegio, non c’è Circolo filarmonico. Qui, son sicuro, mi si presenterà il comm. Giuseppe Giuliano, presidente del Circolo musicale-letterario-artistico Bellini e mi dirà: il Circolo esiste. Ed io rispondo che se c’è un buon Circolo — chiamiamolo anche bellissimo — non esiste però una scuola di canto, non esiste però una scuola di contrappunto. A momenti mi si dice che andrà in iscena — ma non per ora — la Giuditta del maestro Silveri. Sentiremo. — V. Maugeri. di cui A. Thomas scriverà porse la musica. È troppo per l’avvenire, nulla pel presente. Ma il pubblico dell’Opéra è indulgente, paziente, buono fino alla buaggine; aspetterà. Intanto vuoisi, ed ho tutte le ragioni per credere che quanto si dica sia vero, vuoisi che la novella direzione sia alquanto disanimata dai magri introiti. Se continua di questo passo, difficilmente potrà andar innanzi. Notate che le spese serali per l’Opéra ascendono a circa 14,000 lire. Quando questa somma assai rispettabile è oltrepassata dall’introito (nel quale naturalmente è compreso l’abbonamento) vi è guadagno. Nei tempi scorsi, con VAida per esempio, si è giunto ad incassare fino a 21,000 lire per sera. Ma quando l’introito, come attualmente, tentenna tra le 12 e le 13,000 lire, v’è perdita; e siccome esso persiste, la faccenda diviene assai grave. Ecco perchè la direzione, oltre le 800,000 lire di sovvenzione, di cui ha goduto finora, è in istanza per ottenerne altre 200 o 300,000, dal Municipio. E finirà per ottenerle. Ecco che cosa avviene quando un teatro prova per sei o sette lunghi mesi una specie di farsa lirica, quella che ha nome Tabarin, come se fosse questione degli Ugonotti e deli’ Africana!... Costà un’operetta di così poca importanza sarebbe andata in iscena in tre settimane, — supponendo beninteso che il teatro alla Scala se ne fosse accontentato, il che mi sembra assai inverosimile. Vi son costà teatri minori per le opere dette «di genere.» Passiamo all’Opera Comica. Vi si alternano Lakmé e Romeo e Giulietta, mentre vi si prova la Diana di Paladilhe. Pretendesi che quest’opera passerà in febbraio. Ne dubito. Dopo di che avremo la Cleopatra di V. Massé, e forse, prima di questa, Le Chevalier Jean di V. Jonciéres che doveva essere rappresentato all’infelice teatro Italiano, immediatamente dopo V Aben-Hamet di Dubois La fallita, preveduta, e direi quasi voluta, della società Maurel, fece sì che il compositore portasse il suo spartito al direttore dell’Opera Comica, signor Carvalho, che lo ha accettato, e che nello stesso tempo ha scritturato due artisti del teatro Italiano, i quali entrambi dovevano cantare nel Chevalier Jean, cioè la Calvé ed il tenore Lubert. E giacché ho nominato il teatro Italiano, aggiungerò che è veramente penoso il vedere che una gran parte del personale secondario si è trovato, per causa della fallita Maurel, ridotta agli estremi. Non essendo stato pagato di ciò che le si doveva, ed essendo in terra straniera senza mezzi di sussistenza, desta davvero compassione. Si darà quanto prima un concerto a beneficio di quest’infelici vittime d’un’improvvida e malaugurata direzione; ma fino a che questo concerto o questa rappresentazione saran dati, come vivranno questi sventurati? E se il povero Dubois non avesse sborsato 12,000 lire per assicurare le sorti dei coristi, essi sarebbero a battere ancora l’asfalto di Parigi, e ridotti forse ad accattare il loro pane a frusto a frusto. Sventura! Sventura!... Sventura che una direzione saggia, preveggente, abile, avrebbe potuto e dovuto evitare. Ed ecco che quando si era così vicini a riavere qui un teatro Lirico ed un teatro Italiano si resta senza l’uno e senza l’altro. La sala della piazza dello Châtelet che fu quella del povero teatro Italiano, ove furono rappresentate le tre opere: Simon Boccanegra, Erodiade ed Aben-Hamet, ed ove ne erano promesse e belle e pronte altre tre, diverrà ben presto un teatro drammatico, ove l’impresario (non voglio chiamarlo direttore), ove l’impresario Ballaude larà rappresentare chi sa quali sconce produzioni drammatiche da artisti di poco valore, con una disinvoltura di cui diè prova allorché mise in iscena un’accozzaglia di scene l’una più inetta dell’altra col titolo: Garibaldi. Il pubblico ne fece giustizia. Il Ballaude, avendo preso in affitto la sala, che noleggiò poi a Maurel, ha diritto di farvi rappresentare a suo rischio e pericolo ciò che più gli piace. Ma fa veramente pena il vedere che questa stessa sala, ove il pubblico più eletto di Parigi in una con la colonia straniera s’era abituato ad andare, non può essere più dischiusa ad opere liriche di maestri italiani o francesi, ad artisti di valore come la Devriés, la Sembrich, Gayarre, Stagno, De Reszké, ecc., ecc. Addio dunque al teatro Italiano ed al teatro Lirico! Non avrò il rimorso di non aver propugnato per anni ed anni nei giornali di qui la loro necessità. Credevo aver finalmente trionfato. Fu breve il trionfo. Mi rassegno; non ho più il coraggio di ricominciare la lotta. — A. A. PARIGI, 20 Gennaio. L’Opéra — L’Opera Comica — Quel che fu il teatro Italiano e quel che fu il teatro Lirico — Promesse e lamenti. nL pubblico dell’Opera ricorda in questo momento quel povero diavolo che presso ad ereditare un’immensa fortuna e non avendo più un soldo, nè trovando più credito in alcun luogo, era minacciato di morir di fame. Gli si promettono tante e tante belle cose, ma per ora dovrà contentarsi dell’eterno e vecchissimo repertorio, mal avvalorato dalla meschina operetta testé data con un esito assai problematico e di cui vi parlai nella precedente lettera. Nella primavera si darà il Rigoletto (finalmente!) col colossale Lassalle nella parte del protagonista, e la non minuscola Krauss in quella di Gilda. I due artisti, per la voce, pel merito e per le dimensioni fisiche sono bene in proporzione con la vasta sala dell’Accademia di musica. Succederanno, non si è risoluto ancora in qual ordine, il Cid, di Massenet, Patria, di Paladilhe (argomento tolto dal dramma di Sardou, che porta lo stesso titolo, e se non erro fu trattato costì da altro maestro col nome di Contessa di Mons; se mi sbaglio, vogliate correggere in una nota appiè di pagina); Egmont, di Salvayre, Sigurd, di Reyer, e nell’intervallo, la Stella del Nord di Meyerbeer, che dall’Opera Comica passa all’Opéra; una ripresa della Francesca da Rimini di A. Thomas, una del Tributo di Zamora, (l’una e l’altra assai arrischiate), e per ultimo Viviana, ballo con cori, — 39 CONSIGLI AI MUSICISTI n ignoto bell’umore di John Bull, che deve avere dello spirito — e spirito osservatore — dà cinque amenissimi consigli ai virtuosi delle varie categorie musicali. Eccoli tutt’e cinque: Al pianista. Per qualsiasi pretesto, non togliete mai il piede dal pedale forte quando suonate. Il modo migliore di suonare il pianoforte è in proporzione col grado di forza che potete ottenere. Se vi avviene di suonare un pianissimo, rallentate sempre il movimento. Se vi si chiede di sedervi all’istrumento, fatelo e dite: «Conoscete un piccolo pezzo del tale o tal altro? Non me ne ricordo