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82 GAZZETTA MUSICALE DI MILANO Credo che il compilatore della Patria non fosse stato a teatro, oppure, richiesto a qualche amico d’un resoconto, questi il traesse in inganno. Il Piccolo pertanto, e voi noi leggeste, non serbò lo stesso contegno della Patria, ma dette a mano franca staffilate. E poiché non v’ha lenocinio di stile, ne splendore di forma che possa reggere alla lotta dei fatti, cosi io lascio da banda la Patria, risparmio volentieri ai vostri lettori la noia di passare in rassegna tutt’i tempi sbagliati, tutte le scorciature dello strumentale (figuratevi, fu aggiunta la gran cassa ad ogni pezzo), e dicovi solamente che la Commissione teatrale, proibì dopo la seconda ogni ulteriore rappresentazione di questa sventurata Beatrice. E ponete ben mente che nella Commissione teatrale non v’è più quel prete rinnegato tondo come l’o di Giotto, che stava sull’onorevole, m^. furono chiamati a farne parte persone competenti, sotto la presidenza del comm.e Lauro Rossi. Ora a noi. La Zorilla dell’esordiente Nani se non riluce di sfolgoranti bellezze, certo è scritta con molto amore, ed io non posso tacere che le esterne forme di tutt’i pezzi sono condotte con cura. Ma nè pure un’ideuzza nuova in un melodramma di tre atti! Un’opera siffatta mi rende immagine di quelle ossature di legno che i nostri affittatoci di abiti di maschera acconciano a guisa di guerrieri, di musulmani, di marinai inglesi, di bautte e via, e che esclamar fanno ad ognuno che riguarda la loro vanità che par persona: 0 quanta species... cerebrum non habent. Se mi dovessi fermare ad esaminare l’opera minutamente, e facessi notare tutte le melodie che il Nani tolse a tutti gli autori antichi e moderni ch’egli ha messo a sacco ed a ruba, non resterebbe dei tre atti della Zorilla altro forse che il titolo. Ammetto l’imitazione, ne’ giovani segnatamente, ma e’ s’intende acqua e non tempesta. Al teatro Nuovo succendonsi, sempre con brillante esito, le rappresentazioni del Domino Nero. E musica piena di vivacità, vi sono belle e spontanee melodie; il Rossi non è da meno di nessuno de’ grandi maestri, tanto conosce gli effetti delle masse, le disposizioni delle voci e lo strumentale, e vi so dire io che il pubblico ammira quest’eccellente lavoro e il Luzzi fa buoni introiti. Nell’esecuzione merita speciali lodi il tenore Panzetta; non ha gran voce, ma canta con molto gusto ed intuona sempre; una discreta prima donna è la Cappello. In mezzo a tanto sciame di concertisti artigiani e di pseudocelebrità piovuteci, come locuste, in questi ultimi anni da tutte le parti del mondo, è di conforto lo scontrarci di quando in quando in taluno che rialzi dal fango l’arte scaduta e porti in fronte la vera impronta del genio. Gaetano Braga è tra questi; egli trae dal suo violoncello suoni di una purezza e di una grazia ineffabili, e niuno avvedesi delle difficoltà ch’egli supera, e in ciò rivelasi appunto la sua inarrivabile potenza. Non trovate sentimento ch’ei non traduca fino al più sublime idealismo. Patetico e mesto nella Tristesse ed Espoir e nella Violette des Alpes, brillante e bizzarro nel Corricelo, commovente nelle Berceuses napolitaines, ei fece vedere fin dove può giungere l’arte inspirata dal cuore. E insieme col Braga brillò il Palumbo, eccelso e primo fra’ pianisti di qui, e le cui composizioni hanno qualche cosa di straordinario che staccasi dal comune di tutti gli altri fabbri di musica strumentale. Sono ispirazioni dettate da una mente ardita e vivace, ora scintillanti e fantastiche, ora piene di una profonda filosofìa. Egli esegui un galop, splendido componimento, in cui non saprei se sia più da commendarsi la venustà dei modi, o l’originalità del pensiero. Gliene fu chiesta la replica ed egli eseguì invece una sua trascrizione sui Lombardi. Come il pubblico deifi affollatissima sala non istancossi cosi presto dall’applaudire questi due insigni artisti, primi inter pares, cosi io non mi stancherei mai di encomiarli; ma per ora m’è duopo parlare di una fresca conoscenza, della giovinetta Melina Montuoro, sorella della rimpianta maestra di pianoforte; per soavità di canto, per maestria nelle mezze tinte e nella mezza voce, per delicatezza di sentire musicale, fiavvenente Montuoro è davvero egregia; se si dedicasse al teatro la sarebbe una prima donna mezzo-soprano co’ fiocchi. Il Clausetti ei offerse domenica la terza mattinata che riusciva brillante per la varietà della musica, e pel scelto uditorio; v’erano inglesi, tedeschi, rumeni, russi, e la nostra sala parve angusta, tanto fu il numero degli intervenuti. La musica strumentale ebbe la preferenza e udimmo la sinfonia dell’opera la Stella del Nord ridotta per 2 pianoforti a 4 mani ciascuno, la serenata e l’allegro giocoso per pianoforte del Mendelsshon, il Valzer del Faust trascritto dal Liszt, il gran duetto per due pianoforti sulla Leonora del Serrao, ed il Bolero del Bazzini per Violino. Applaudii di cuore tre giovani pianisti di fiorentissima abilità, il Colelli, il de Crescenzo ed il Gonzales ancora più valoroso degli altri due. Costantino Palumbo ha dato un grand’impulso e una nuova spinta alla scuola pianistica napolitana. Di lui il Colelli ed il de Crescenzo ritraggono la vigoria di colorito e la castigata nitidezza di meccanismo; di lui il Gonzales riproduce quel sentimento spontaneo, sovrabbondante, italiano, quella precisione severa di tasti e di volate le quali doti accoppiate ad un’energia rara ed a molta agilità formano un artista destinato ad emulare i migliori. Due pezzi cantò la signora Di Fiore ed uno la De Fanti. La prima nella romanza del Mattei: Tornerà e nell’aria della Pia dei Tolomei mostrossi soavissima cantatrice, e l’altra fecesi applaudire nell’aria: Noi ei amavamo tanto del Palloni. Promette assai bene di sè il giovinetto Pinto ch’è già molto innanzi nel meccanismo del re degli strumenti, del violino, la cui scuola ebbe, sempre cultori sublimi in Italia. Avremo dopo il Manfredo, di cui è imminente fi andata in scena, dei Promessi Sposi; v’è pure chi mette innanzi la Jone, è un novilunio petrelliano. Udiremo Carlotta Patti che darà delle Accademie al nostro massimo teatro; un’altra, ne darà la Raboschi, arpista; una terza il pianista Clemente, una quarta il violoncellista Alberto Bonbée. Al teatro Rossini le opere, nuove’son come le ciriege — fi una tira l’altra. Dopo la Zorilla, si rappresenterà la seconda opera del maestro Sebastiani, l’autore del Marchese Taddeo, e poi il primo lavoro d’un giovane, l’Avolio. Al Mercadante ascolteremo Tutti in Maschera. Se tutte saranno rose e fioriranno in questa settimana, attendetevi al prossimo numero una valanga di notizie. Acuto.? Torino. 8 marzo. Finalmente dopo dieci giorni di forzato riposo il Regio si è riaperto martedì della scorsa settimana con uno spettacolo affatto nuovo, cioè coll’opera La Colpa del Cuore del maestro cav. F. Cortesi, e col ballo Shakspeare del coreografo Casati. Nell’ultima mia vi aveva informato che dietro una dimostrazione degli abbonati lo spettacolo del Regio non fu lasciato finire e che il teatro trovavasi chiuso. Mi pare che l’impresa riaprendolo con due novità, e tutte e due abbastanza interessanti, per quanto avesse sbagliato prima, si comportasse bene; ma cosi non la pensa un certo numero di individui vogliosi di rovesci e di scandali teatrali, per cui il giorno innanzi la prima rappresentazione £ella sua opera il maestro Cortesi è cortesemente avvertito che una congiura si è formata per impedire lo spettacolo fin dalla sinfonia, costringere la Direzione del teatro a dimettersi e l’impresa a sciogliere il suo contratto col Municipio. Egli è con queste buone disposizioni che La Colpa del Cuore doveva affrontare un giudizio così solenne come quello del nostro pubblico, e fi autore, che non era più in tempo per ritirare lo spartito, sapeva per giunta che il tenore era ammalato, che la donna non piaceva, che si erano fatte poche prove e che perciò egli correva rischio di perdere in un solo momento il frutto di tanti studi, di tante fatiche, di tante vigilie, di tante pene, di tanti fastidii. E non s’ingannava, perchè infatti due cose solo lo