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12 GAZZETTA MESH Che cosa le darà la Lucia di cui si dice imminente l’andata in scena colla signora Perniili, col tenore Perotti, col baritono Pantaleoni ecc. Alla vigilia d’un avvenimento, quando ei è il domani che può dare una smentita, nissuno fa volentieri un pronostico — bisogna saper fare il mestiere e non gettare dalla finestra le proprie profezie. Prima o dopo la Lucia, vale a dire nei primi giorni della settimana entrante, avremo il nuovo ballo La Sirena di Monplaisir. Al teatro S. Radegonda abbiamo finalmente veduto ed ascoltato la signorina Dejazet nelle Premières Armes de Richelieu; è un miracolo. Ella ha insegnato come si faccia a togliersi una sessantina d’anni dalle spalle per apparire sulla scena un giovinetto imberbe, come si faccia a portarne sessantaquattro sul dorso senza che v’incomodino. Della veneranda signora non era rimasto nulla sulla scena; ma l’attrice era rimasta intera. Eleganza, disinvoltura, grazia, e perfino, Dio glielo perdoni, civetteria, nulla mancava a quel biricchino di Richelieu; e come cantava in tono! come modulava la sua voce, assottigliata dagli anni, ma non ancora spogliata d’ogni freschezza! Lo ripeto: è un miracolo. E chi non vuol credere tocchi. La Perichole fu la seconda operetta, eseguita dalla compagnia Terris e Coste. La signora Minelli anche in questa fu eccellente, specialmente alla scena dell’ubbriacatura, al punto da non far desiderare la Matz-Ferrare, che in questa parte era insuperabile; benino gli altri; debole però l’insieme dell’esecuzione. La compagnia per altro piace ogni dì più; abbiamo fatto nella Visite de noce la conoscenza di madamigella Sidney, che è un’attrice di merito incontrastabile. La compagnia Moro-Lin continua a farsi molto applaudire al Re (vecchio); le novità date finora sono due: Le barufe in famegia, del signor Gallina, e La lengua longa del signor Scarsanella. La prima è un lavoretto geniale, fotografia burlona di caratteri e di scene domestiche, fatta con gusto di artista; la seconda non manca di spirito, e contiene alcune scene ben fatte, ma l’insieme è sconnesso, e il filo che tiene il tutto alla meglio è troppo convenzionale. Ci è un segreto troppo docile a far i comodi dell’autore; ve lo dico? non ve lo dico? tutta la commedia procede di questo passo; quando, per finire, l’autore si decide a dire, il pubblico trova il segreto scipito e il mezzo puerile, e se la piglia naturalmente coll’autore. Mi ero troppo affrettato per amor del mio prossimo ad annunziare che il Kakatoa ei rimaneva, invece pare che sia andato travolto nelle rovine della compagnia Scalvini; il fatto è che Scalvini non ha più compagnie, e al Re (nuovo) si tira innanzi alla meglio con un capo improvvisato, il Bergonzoni, il quale annunzia un’operetta nuova, I Briganti, e spera, senza dirlo, nella risurrezione del Kakatoa. Il cielo lo esaudisca! La Compagnia turca alla Canobbiana, e il Meneghino Preda al Fossati, Righetti al teatro Milanese: la situazione teatrale è così riassunta. Il teatro Milanese promette una serie di novità di vari autori, fra cui, indovinate... il seguito del Barchett de Boffalora. Era tempo! Il bisogno d’un seguito al Barchett de Boffalora era proprio sentito. Questo seguito s’intitola Stira Paimira sposa, e canterà la paternità dello stesso Righetti. Gli auguro lo stesso successo del suo fratello maggiore. La Società del Quartetto diede domenica scorsa il suo primo concerto dell’annata nella Sala del Conservatorio. Il pubblico affollato non si saziò di far feste ad un vecchio amico, l’Andreoli, e ad una nuova conoscenza, il violinista Rapini. Costui tratta l’archetto come sanno fare i grandi maestri, e non teme, io credo, nel mondo se non due o tre confronti, e forse non li teme neppure. È corretto, è elegante, è pieno di sentimento e di vigore e non sa che cosa siano le difficoltà. Il programma comprendeva il Quartetto in do mag. di Mozart, composizione stupenda, stupendamente eseguita dai signori Rapini, Marenco, Cavallini e Truffi, la Gran Sonata per violino di Rust, compositore non celebre, benché sia morto da quasi un secolo, ma degno in tutto di celebrità, e la Seconda Sonata in la min. per piano e vioALE DI MILANO lino di Rubinstein, lavoro di forme grandiose, in cui il violino e il pianoforte sembrano gareggiare per mostrarsi in tutta la loro potenza; in fine tre pezzi per pianoforte di Clementi, Bach, e Wagner, che l’Andreoli suonò con insuperabile maestria. Gli applausi proruppero spontanei ad ogni pezzo.;L’esito di questo concerto sembra aver sciolto la quistione della località; si sa che la Società del Quartetto pende incerta tra la sàia del Conservatorio e quella dei vecchi giardini pubblici; questa è più elegante, ma quella è cento volte più raccolta e più armonica. E ancora possibile stare in forse? domani intanto avremo il secondo concerto alla sala dei Giardini Pubblici. Gli appendicisti di due giornali cittadini hanno molto parlato di questi giorni del colorito locale musicale, come se lo avessero veduto. Il Corriere di Milano uscì a dire che nell’AAZ«manca il colorito locale e la Lombardia invece asserì che nell’Aia ei è il colorito locale. Il Corriere rippicchiò che non ei è, e sostenne con parole diverse quest’idea: che la musica d’un’opera che mette in scena l’Egitto dovrebbe riprodurre l’impressione riprodotta nell’animo nostro dalle piramidi e dai geroglifici, ed avere l’ampiezza solenne, massiccia e grandiosa corrispondente all’idea che noi abbiamo della civiltà egizia. Naturalmente quella solennità massiccia egli la nega palmo a palmo all’AzW. Ecco in buon’ora una discussione a proposito di fantasmi, come se ne fanno tante! Il colorito locale musicale! Mi si dica di grazia che cosa è; finora io l’ho creduta una di quelle frasi destinate a rendere solenni le appendici e non l’ho mai presa sul serio. Ma deve essere qualche cosa di più, poiché tutti ne parlano. Non è già, io credo, la tinta delle passioni, perchè questa si chiama drammatismo musicale; e nemmeno è la maniera che cerca descrivere certe scene della natura (fenomeni musicali del resto molto elastici); nossignori, il colorito locale non è nulla di tutto ciò. Il diabolico che spira nel Roberto il Diavolo, il contadinesco che è nella Sonnambula, il fantastico religioso della Dinorah, tutto ciò è ancora meno di quel che il Corriere domanda alYAida, cioè il massiccio e il grandioso della civiltà egizia. E notate che questo grandioso e questo massiccio dovrebbero apparire dalla prima all’ultima nota, perchè non pare che i due finali del primo e del secondo atto sieno abbastanza massicci per formare da soli il colorito musicale egiziano. Dite alla musica che vi riproduca i tempi della Reggenza o dell’inquisizione, la Siberia o T equatore — ed essa dovrà farlo se vorrà quindi innanzi che gli appendicisti le vedano in faccia il famoso colorito; ma non basta ancora: ghiacciaio o deserto, massiccio o pastorale, età dei Faraoni o degli appendicisti, la musica dovrà, sempre serbare quest’impronta. Cosi nell’Aùfo i due innamorati dovrebbero amarsi e morire al suono d’una musica mastodontica (la parola non è mia), |e le sacerdotesse cantare probabilmente il canto fermo (il più massiccio dei canti conosciuti), perchè la logica insegna che quando un popolo ha fatto le Piramidi, e gli obelischi, non può sentire se non passioni piramidali, nè amare altrimenti che alla maniera degli obelischi. Mi avvedo che l’uso di generalizzare, di trovare un’immagine e fabbricarci su un edifìcio, e con un’idea vaporosa creare un sistema, venuto di Germania, va ponendo radici anche fra noi.. Io per mio conto vo’ sciogliere il fascino. Dopo aver udito l’Aida, mi sono reso colpevole di dire che mi aveva fatto credere per la prima volta al colorito locale musicale; e ciò perchè, mentre l’appendicista del Corriere cercava il massiccio e non lo trovava, io mi accontentavo del grandioso e lo trovavo, e mi compiacevo di un non so che di primitivo e di pastorale che spira qua e là nel capolavoro di Verdi e facendomi pensare a tempi molto lontani, a riti di sacerdotesse, a voluttà contemplative, evocava alla mia mente fantasmi di un mondo perduto che mi pareva non stessero male allato delle Piramidi. Ma io era un sognatore, come è un sognatore l’appendicista del Corriere di Milano, mio ottimo amico, al quale però non invidio punto i suoi sogni massicci che mi hanno tutta l’aria d’incubi. S. F.