Pagina:Gazzetta Musicale di Milano, 1872.djvu/58

La Mignon è un lavoro ben fatto, ma non risponde al gusto italiano: è un lavoro diligente, ma non vi è nè ispirazione, nè nerbo, nè vita. Tuttavolta con una esecuzione più accurata, è lavoro che può reggersi in teatri minori (anche perchè si può meglio raccogliere quanto sfugge e si perde in un grande ambiente ), ma in un grande teatro qual’è la nostra Fenice e con una esecuzione, da parte dei cantanti, inferiore al mediocre, la Mignon è opera impossibile. Si dovette quindi ritornare alla Jone, ma egli fu tomber de la fièvre en chaud mal, che è quanto dire cadere dalla padella nella brace. Questa sera ei danno il Macbeth e si potrebbe presagire quale ne sarà l’esito... ma non voglio essere l’uccello del malaugurio e perciò mi taccio. Vi fu minaccia di sciopero da parte dei coristi della Fenice, ma il pericolo venne scongiurato dall’intervento della Presidenza che assunse formale garanzia verso il corpo corale. La è davvero graziosa: la Presidenza, d’ordinario tanto sofistica come una vecchia donzellona in eterna aspettativa del marito, si fe’ tanto imporre nella corrente stagione dall’impresa da subirne d’ogni risma e d’ogni conio. Essa si fece scacciare di casa propria, perchè non la si è voluta alle prove; essa pose tanto facilmente il suo placet a programmi di spettacoli informi; essa, infine, si assume di pagare quello che dovrebbe pagare l’impresa. Ma in qual mondo siamo, signori miei? Al Camploy le cose vanno bene e bene assai. - Il Trovatore fruttò non pochi applausi alla Ferni, a Giraldoni ed al tenore Aramburo; ma tutti e tre figuravano assai meglio nella Favorita, tant’è vero che essi stessi l’hanno compreso per effetto di quel buon senso, che, sventuratamente, è assai raro negli artisti, e ripresero quest’ultimo spartito. - Si sta provando la Saffo che avremo in quaresima. Al teatro Rossini nella notte del 31 gennaio passato vi fu una festa mascherata a beneficio di operai senza lavoro. Poco dopo la mezzanotte veniva cantata e suonata la marcia del Tannhauser, la quale, incontrando nel gusto di parecchi, vuoi per moda, vuoi per scienza infusa, veniva replicata. Il teatro era leggiadramente addobbato: Musica e danze, Fiori e profumi, Visini amabili, Ma... pochi lumi. Questa quartina, quasi di trinca assassinata al brioso Fanfulla, dà l’idea esatta della festa. Il ricavo fu relativamente importante: si sono incassate circa L. 7000. Il Carnevale da noi langue: la colpa è di coloro che volendo importare anche qui le feste ufficiali con processioni stupide, ed altre cianciafrusche ne hanno falsato lo spirito. Il carnevale veneziano era qualche cosa di singolare; nel suo procedere disordinato stava il suo bello, il suo caratteristico: mettere un ordine laddove il bello deve nascere dal disordine è assurdo. - All’Apollo la Zanze de Canaregio del sig. Perazzi, di cui vi tenni parola nella precedente mia, fece fiasco completo. Questa commedia, se tale può dirsi, è qualche cosa di antiartistico. - L’autore disse che il pubblico, non l’ha compresa: sarà. Io, se fossi Papa, vorrei aggiungere alle beatitudini (che mi pare sieno otto) anche la nona concepita cosi: Beati quelli che non comprendono le commedie modellate sulla Zanze de Canaregio. E qui mi fermo. p. p. Mantova, 6 Febbraio. Il telegramma che vi dava la notizia del risultato della Traviata andata in scena venerdì sera 2 corrente al nostro teatro Sociale, deve essere stato uno scherzo di gualche giovialone, o uno dei non rari cocqs-a-Tàne dei telegrafisti. Se l’esito della Traviata fosse stato brillante come l’elettrico ve lo dipinse, perchè la signora Caruzzi Bedogni avrebbe scelto la Semiramide per la sua beneficiata avvenuta ieri a sera? Della Semiramide si diedero già 13 rappresentazioni e della Traviala 3 solo; queste cifre devono parere abbastanza eloquenti a chicchessia. La Traviata ebbe un esito appena mediocre, quantunque gli artisti avessero qua e là applausi nei due primi atti, mentre il terzo passò frammezzo ad un glaciale silenzio e calò la tela accompagnata da universale zittio. Nè crediate che le due sere susseguenti siansi ottenute migliori accoglienze, al contrario gli applausi diminuirono, e l’indifferentismo crebbe, a tale che l’impresa nel suo bollettino degli spettacoli, sino alla fine della stagione, non arrischia la Traviala che una volta ancora. Povera Traviala! fortuna che noi abbiamo le reminiscenze della squisitezza, delle bellissime melodie di questa Elegia Verdiana, per averla udita nel 1856 da quegli eletti che erano la Piccolomini, Negrini e Giraldoni. Io sono d’avviso che la causa dell’insuccesso di questo spartito sia stata la fretta con cui si volle metterlo in scena, per modo che le prove d’orchestra, pochissime, furono fatte assieme coi cantanti, dei quali alcuno non conosceva quest’opera. Lo dissi ancora, il direttore d’orchestra che rappresenta l’autore, deve tutelarlo in ogni modo e non deve permettere che si esponga al pubblico un lavoro, se non ha il convincimento che vada bene. Perciò noi fummo obbligati ad assistere a stonazioni, a cambi di ritmi, a strazi d’ogni maniera che il pubblico fu ben gentile a tollerare. Null’ostante la signora Caruzzi Bedogni dopo il primo atto fu chiamata reiteratamente alla ribalta, ed ebbe applausi nel duetto col tenore Zennari e in quello col baritono Mottino nel secondo atto. La signora Caruzzi Bedogni ieri sera, che per la sua beneficiata oltre la Semiramide cantò la cavatina della Beatrice di Tenda, fu assai festeggiata, ebbe bellissimi bouquets con eleganti nastri, corone e versi di molte specie de’ quali alcuni pregevolissimi. Fino ad ora il carnevale è abbastanza morto, quantunque sia pubblicato il manifesto della Società del Carnevale MerlinCocai. Lunedi riuscì brillante la veglia del Prefetto, e questa sera avrà luogo un ballo dal Sindaco che posso anticipatamente dirvi riescirà benissimo, avuto riguardo alla squisita gentilezza ed al buon gusto della padrona di casa. Anche a Mantova non si parla d’altro che dell’AzTZa e non pochi mantovani si preparano a venire costi a portare la loro piccola parte d’ammirazione al grande maestro. p- rParigi, 7 febbraio. Non credete, almeno sino ad ora, a tutto quello che annunziano i giornali, grandi e piccoli, politici o musicali, sulla prossima apertura del teatro Italiano di Parigi. Tutti parlano, come d’un fatto compiuto, della novella direzione; tutti pretendono che l’agente teatrale Verger, fratello del baritono, ha preso il teatro per dieci anni, a partire dal prossimo settembre, e che conta poter dare una serie di rappresentazioni prima della state, epoca alla quale ha luogo tutti gli anni la chiusura. V’è un fondo di verità in tutto questo, ma in modo da ricordare il matrimonio d’Arlecchino, il quale era conchiuso per metà; vale a dire che questi era contento di sposar la regina, ma che la regina non,era stata neppur consultata, e quand’anche lo fosse stata!... È ben vero che il Verger ha conchiuso un trattato, o piuttosto stipulato un contratto coi proprietari della sala Ventadour, i quali gli danno a pigione l’edifizio, per dieci anni, mediante un prezzo annuo assai modico. E vero anche che il Verger si è messo d’accordo col signor Bazier, pel materiale, vale a dire scenarii, attrezzerie, ecc., ecc.; e finalmente non è men vero che abbia fatto delle proposizioni a questo o a quell’artista, ancora disponibile, per un numero più o meno ristretto di rappresentazioni da darsi in marzo, aprile e maggio prossimi. Ma - e qui sta il busillis - fino al momento in cui vi scrivo, vale a dire fino al 7 febbraio, il ministro dell’istruzione pubblica, dal quale dipende il dipartimento dei teatri, non ha ancora approvato la scelta del nuovo direttore. L’approverà? Non ne so nulla; ma fino a che quest’approvazione non sarà data, il Verger ha le mani legate, non può scritturare cantanti per questi due o tre mesi, nè annunziare rappresentazioni. Intanto i giorni passano e gli artisti che avrebbero potuto consentire a dar qualche rappresentazione, non saranno più in grado di farlo, quando l’approvazione del Governo sarà stata data. Infatti il tenore Nicolini che aveva accettato, scrive che non sarà più libero. Lo stesso dice la Volpini, e cosi via via. Restano la Penco, l’Alboni e qualche altro, ma sono artisti che non si scritturano per tutta una stagione; consentiranno più o meno a dar qualche rappresentazione, e sarà tutto. Quel che vi scrivo qui è l’esatta verità. L’ho attinta a fonte sicura; ho voluto veder chiaro quello scacchiere ed è al Ministero che sono andato a prender la nuova; sicché, ripeto, non credete per ora a quanto vedrete annunziato sui giornali. Non dico che, forse, più tardi, quel che hanno dato cosi prematuramente come cosa fatta non possa divenire una verità; ma fino ad oggi non è tale, o almeno è anticipata. In mancanza di un teatro italiano, avremo in questa settimana due opere di un maestro italiano. Tanto Y Ateneo (teatro Lirico), quanto i Bouffes hanno annunziato una prima rappre