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GAZZETTA MUSICALE DI MILANO 49 ^Napoli, febbraio. Udiste mai a parlare di quel barbassoro, che, avuta in retaggio un’antica biblioteca di famiglia, ricca di opere ed edizioni rarissime, determinato a rinnovarne elegantemente gli scaffali, diede all’artefice uno dei libri di minor sesto, prescrivendogli di costruire su quella misura la biblioteca, e chiamato poi un legatore di libri volle che tutti i volumi fossero ridotti all’altezza medesima? Non vi sentite i rossori sul volto allo imaginare a quali tremende mutilazioni, a quale scempio fosse sottoposto tutto quel tesoro & in-folio, & in-quarto, insieme coi Manuzi e co’Bodoni! Identico scempio ordinò il Musella, senza punto scolorirsi in volto. Voi immaginate di qual commozione deve essere agitato ogni amatore di musica quando sappia che la maggior parte dei pezzi èoW’Anna Bolena. furono manomessi o spostati per favorire la insufficienza di mezzi di qualche artista. Adattare un qualche passo e far delle puntature per agevolare i mezzi degli esecutori diversi da quelli pei quali fu originariamente scritta un’opera è necessario, egli è fuori di dubbio, ma questi mutamenti non debbono danneggiare il concetto generale della composizione, nè alterarne l’essenza. Ora se nel compositore è affare di sommo rilievo il sapere bene scegliere le tonalità, perchè sono desse quelle che influiscono alla verità della espressione, non capisco perchè permettasi ai cantanti, dei quali i novantanove su cento ignorano la scienza musicale, di trasportare i pezzi, di far certe sacrileghe soppressioni. Sono gli artisti che debbono essere, per quanto si può meglio, adatti all’opera, non questa dev’essere accomodata alle esigenze degli artisti; e quando si voglia ad ogni costo far rappresentare una composizione musicale da esecutori, i cui mezzi vi si mostrano ribelli, avverrà ciò che è avvenuto alla Balena, ciò che avvenne ai volumi in-folio del perspicace barbassoro. Dopo ciò la Krauss disconobbe sè stessa e scese un po’ giù dalla stima del nostro pubblico. Il Barbacini obliò che il grande Rubini, quando mori, 17 anni or sono portò seco nella tomba due opere: Anna Balena e il Pirata. I tenori odierni, per cimentarsi in essa, debbono avere dalla natura il dono di poter cantare su le note acute con la massima facilità, debbono aver forza e grazia di voce che a tutto si pieghi, laonde è necessario che nulla abbiavi di stentato, ma che tutto all’incontro sia naturale e spontaneo. Nelle poche note acute la voce del Barbacini manca di forza, nelle medie poi lascia a desiderare maggiore uguaglianza, chè taluni suoni riescono spiacevoli per essere troppo aperti, e codesta disuguaglianza nel modo di emettere i suoni nuoce talvolta alla sua intonazione. Il Barbacini ha pertanto eseguito qualche cantabile con accento sufficientemente corretto e con una verità di espressione abbastanza naturale. Del resto non ho gran che a dire, perchè i pezzi che veramente costituiscono il bello della sua parte e della protagonista subirono la sorte degli in folio. 11 basso Angelini che seppe destare due anni or sono tutte le simpatie del pubblico, ritorna pure in questa stagione artista sicuro, ma la voce del cantante non è più quella. La Tati disse mezzanamente la sua romanza: Ah non voler costringere; della Rossi, dei cori, dell’orchestra, del vestiario, dello scenario non ragioniamo con quel che segue. Sursum corda; lasciam da banda la povera Bolena; quattro passi più innanzi ed eccoci al Mercadante, dove si rappresenta l’opera dell’Usiglio, le Educande. Che volete vi dica? voi udiste già lungamente questo acconcio lavoro di composizione melodica; ne dirò poco o nulla; come Macbeth, l’Usiglio evoca tutti i maestri passati e presenti, ne prende le più favorite idee, e le aggiusta sul suo libretto Gran problema in verità ha sciolto il maestro Usiglio; quello di piacere senza essere per niente originale! Augurando agli altri compositori siffatta ventura chiudo questo libro e comincio a leggerne un altro, scritto con grande varietà di caratteri e aperto per coloro che vanno a studiare al Politeama. È questa nuova opera divisa in tre volumi e scritta dal Gualtieri e dall’Alberti; s’intitola Oreste. Che bel compito fu per un critico! farebbe qualche volume! Figuratevi ei comincierebbe a parlare della guerra di Troja, della vera famiglia degli Atridi, di Omero, di Elettra o Laodice, secondo T autore dell’Iliade, del destino di Oreste, della sua nutrice chiamata Arsinoe da Pindaro, Laodamia da Ferecide e Gelissa da Eschilo, tratterebbe della trilogia greca, dell’Alfieri, dell’ignoranza dei comici che ostinansi a far di Egisto un vecchio e brutto, mentre dovea essere giovane e avvenente. Io poi non andrò per le lunghe, nè spenderò molte parole, perchè a vagliar convenientemente i pregi e i difetti di questo nuovo lavoro dell’Alberti bastano poche. L’Alberti è giovane di molto ingegno; ed è un ingegno che ha dell’ardimento; l’aver prescelto a soggetto T Oreste vai per ogni altra prova. Egli per secondo lavoro scrive una tragedia che il Mercadante avrebbe rifiutato di porre in musica. Se YOreste fosse caduto si sarebbe potuto dire: Onore al coraggio sventurato: l’Oreste trionfa, si ripete: la fortuna è per gli audaci. Ma non voglio più farvi sospirare un po’ di modesta critica; andiam chè la via lunga ne sospinge. Per quanto mi sappia è la prima volta che Y Oreste è ridotto a melodramma; ma per le liriche scene, l’argomento fu trattato alla moderna; Pilade non m’appare più tanto simpatico, poiché nella nuova edizione egli ha il cuore diviso fra Oreste ed Elettra, e.... ce que femme veut, Dieu le veut. Oreste potrebbe pur chiamarsi Placido, Pacifico, sarebbe lo stesso; quando poi il poeta gli fa serpere le furie nel seno, allora il maestro sospira affettuosamente col violoncello. Dissi che il soggetto è trattato alla moderna, e lo sostengo; v’hanno tutte quelle cose che i giovani vogliono per forza rimpinzare nelle loro opere, congiure, brindisi, racconti; mancano soltanto i frali, ma se ei fossero stati non avrebbero ingenerato nessuna meraviglia poiché le baccanti danzano in musica di valzer. Ciò posto il maestro Alberti ha due torti, la scelta del soggetto, troppo elevato per gli omeri che avevano sollevato prima un peso di poco conto, vo’ dire la sua prima opera Armando e Maria, T aver voluto sacrificare alla bramosia di apparir dotto la naturalezza del fare. Ecco un altro difetto dei giovani; trovano spesso una melodia semplice, ’chiara ed espressiva, pongonla sotto il torchio della scienza e la fanno venir fuori così contraffatto che giunge a male pena a farsi riconoscere come melodia! Il torchio della scienza dell’Alberti non è ancora perfetto, ei va ancora balzelloni per le vie dell’armonia e del contrappunto, ma il suo estro appare non infecondo di nuove e sentite ispirazioni. Vi ha un duetto tra Elettra e Pilade che accenna nel compositore una vera disposizione all’originalità scevra affatto da qualsiasi imitazione, e un si raro privilegio apparisce pur anco qua e là nell’opera in mezzo a molta roba frivola e saltellante. Oggi lo strumentale, più che un accessorio od ornamento delle idee melodiche, serve per sè solo alla espressione dei concetti drammatici, e deve essere improntato di quel colore locale che costituisce, sono per dire, la sinfisi del concetto generale. L’orchestrazione dell’Alberti non n’ha sempre quella magniloquenza e severità che debbono farci ricodare tempi molto remoti e avvenimenti truci; è talfiata vuota e leggera, tal altra complicata, tal’altra barocca. Coltivi ancora T Alberti buoni e severi studi; credo che possa bene considerarsi questo secondo parto come il primo fiore di un albero, e conchiuderò con la fiducia portami da qualche brano del lavoro medesimo: Che vero frutto verrà dopo il fore. Poche parole ancora: l’esecuzione èeYY Oreste affidata ad artisti di pochissimo valore non fu felice; ma l’orchestra diretta dal valentissimo De Giosa andò benissimo Al teatro Nuovo la Rivista del Castelmezzano e del Bartolin, cadde completamente. V’erano ben dicìasette pezzi di musica, e autori fra principali rappresentanti èeYYart à paillettes, come direbbe un francese. Figuratevi che orrori; fra tanto loglio vi fu del buon grano degli ubertosi campi del De Giosa, del d’Arienzo, del Ruta, del Raejntroph e di un giovane, il Meola che scrisse una graziosissima romanza. Il Meola ha un ingegno promettente, è allievo del cav. Claudio Conti, uno dei pochi maestri di composizione che proibiscono agli allievi di affastellar tutti i generi e gli stili in un lavoro di poca lena. Guai al San Carlo e serii. Teatro chiuso; la Krauss vuol sciogliere il contratto, l’imprésario va in cerca d’un’Agnese per la Beatrice e il Barbiere non mette ancora bottega. Acuto, Venezia, 8 febbraio. Mentre nel magno teatro della vostra gentile Milano ferve potentemente la vita, mentre nel vostro massimo tempio consacrato ad Euterpe è imminente una splendida festa musicale in omaggio al più grande compositore vivente, qui alla nostra Fenice spira tale un alito di morte che è una disperazione.