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GAZZETTA MUSICALE DI MILANO 47 due. Questa scena parve però alquanto lunga» La seconda parte dell’ultimo atto portò al massimo grado l’entusiasmo. Gli applausi scoppiarono in due punti ed il sipario scese fra universali clamori e battute di mano. Il maestro e artisti ebbero non meno di sette chiamate. Prima si presentarono il maestro ed i tre cantanti che hanno parte al finale, poi si aggiunsero a loro Maini, Pandolfini, il maestro Zarini ed il maestro Faccio direttore dell’orchestra. Verdi si presentò due volte solo. Il pubblico agitava in aria i cappelli ed i fazzoletti. Fu una scena indescrivibile; uno dei maggiori trionfi che Verdi rii cordi nella sua splendida carriera artistica. Chiudiamo colle parole del Sole’. «L’opera si apre con un preludio annunziato nei violini in cui la frase dominante, che è quella del duetto fra Aida ed Amneris — Amore! amore! gaudio.. torménto — è svolta a guisa di fugato. Questo preludio, forse tessuto un poco colla forma di quello del Lohengrin di Wagner, è un fino gioiello di fattura. I primi applausi risonarono l’altra sera alla romanza di Fancelli — Celeste Aida, forma divina. «Sono assai belli gli episodi! drammatici nel duetto fra "Amneris e Radamès, specialmente quando la prima, scrutando il cuore dell’amato, gli dice — Non hai tu in Menfi desiderii... speranze. «L’uscita del Re ricorda, nel pizzicato dei bassi, un andamento simile nella scena della consacrazione degli sposi nell* atto quarto dell’Africana. ««Uno dei più bei pezzi dell’opera è certo l’aria di Aida con cui si chiude la scena prima: è pieno di sapore classico tutto il lavorìo istrumentale che precede la bella frase finale — Numi pietà del mio soffrir. «È fra le cose le più belle va pure annoverato il canto delle sacerdotesse in la bemolle, accompagnato dalle arpe. E da notarsi un certo re bequadro su d’un accordo di la bemolle minore, il quale re bequadro invece di risolvere in su, risolve in giù sul si. Peregrina è la danza con quel ritmo carezzante e voluttuoso nei flauti e non ricordiamo più quali altri strumenti di legno. Di molto effetto riesce, quando è eseguito, come alla Scala, da grandi masse, il coro — ■ Nume, custode e vindice — con quegli attacchi nel genere fugato che aumentano poco a poco la sonorità del pezzo. «Nell’atto secondo la scena si apre colla toletta di Amneris; la sua sala non ei sembrò nè degna d’una principessa dei Faraoni, nè degna del Massimo Teatro. Il coro d’introduzione è melodiosissimo e popolare in quell’uscita a risposte alternate — Vieni sul crin ti piovano. Piene di passione le frasi di Amneris — Vieni amor mio, mi inebbria. — La danza dei moretti è graziosissima cosa; vi trapela un certo fare d’una danza ebraica nella Regina di Saba di Gounod. Il pezzo è benissimo concluso dalla ripresa del coro. Il duetto delle due donne annunziato da peregrini parlari, ricco di forza drammatica e di lavoro orchestrale, specialmente nel quartetto d’arco adoperato con rarissima maestria, conchiudesi col richiamo della frase finale dell’aria di Aida «Poco felice ei sembrò il coro delle donne nella seconda scena di questo secondo atto — S’intrecci il loto al lauro. — Ci parve deficiente di festività. Il fugato successivo fu l’altra sera compromesso dall’esecuzione. Il Bottesini al Cairo lo ha levato via come cosa assai arrischiata.» La marcia l’abbiamo poco capita, e qui ei parve dubbio l’effetto delle trombe; cioè non punto dubbio, poiché le stonature furono sicure. Il tema della marcia è probabilmente cosa egiziana. In tutti i modi riudiremo la composizione per farcene idea più giusta. «Il pezzo concertato è di grandiosa struttura e rende grande effetto di sonorità. Vi si nota nell’incalzare verso la cadenza una bellissima e potente frase. Qui furono indescrivibili le grida e gli applausi del pubblico. «Anche la tela del terzo atto è assai poco caratteristica; è in compenso assai caratteristico il coro nell’interno del tempio — 0 tu che sei d’Osiride — Sono finissimi i dettagli orchestrali della romanza di Aida — 0 cieli azzurri — ■ con quel ritornello del corno inglese di tinta leggermente gounodiana. È anche da notare l’alternarsi della tonalità maggiore e minore. «Nel successivo duetto è una bella pagina di musica dramatica l’invettiva di Amonasro — Su dunque sorgete egizie coorti, — rincalzarsi della furia terribile del Re, la maledizione. L’orchestra sembra qui parlare e singhiozzare. Ed un singulto difatti sembra il sincopato dei violini disegnante una scala ascendente. E questo uno dei dettagli che maggiormente rivelano tutto il sentire del compositore. “ Bene ideato è pure l’accompagnamento marziale delle due trombe nel seguente duetto fra Aida e Radamès — Nel fiero anelito di nuova guerra — ricco di frasi peregrine. E forse un poco ozioso e poco adatto alla situazione, il brano sulle parole — • Fuggiam gli ardori inospiti — meglio sarebbe stato qualche cosa di più passionato e concitato. Ma è bellissima la frase in maggiore — In estasi ignorate — L’allegro ne è poco felice. In questa scena finale è da notarsi l’insistenza della ripetizione delle parole — • Io son disonorato — poste in bocca a Radamès, di effetto assai drammatico. «L’atto quarto è tutto efficacissimo per potenza lirica. Nel recitativo di Amneris trovammo un interessantissimo episodio cantabile nei violini sulla quarta corda. Il duetto fra Amneris e Radamès è pure ricco di bellissime frasi, all’infuori della cabaletta.» Maestosa è la musica nella scena del giudizio. E quanto mai bello l’episodio dei violoncelli che precede l’invocazione sacerdotale. Forse le tre accuse che si fanno a Radamès, riescono in teatro un po’lunghe. Ma il tre è il numero filosofico, e sarebbe peccato di mettere le forbici in questa situazione musicale. “ L ultima scena è melodiosissima e toccante: è originalissima nella sua semplicità l’uscita in Sol — 0 terra addio, addio valle di pianti — con quel salto di settima maggiore. È grandissimo l’effetto degli archi. L’opera non poteva avere chiusa migliore: la ripresa dell’inno delle sacerdotesse la incornicia degnamente. «Lo stile della musica è costantemente uno in tutto il corso dell’opera, ma la fibra originale di Verdi è qui in parte velata dall’apparato della tavolozza descrittiva (1) VARI fTf Dono-a Verdi. — Il dono presentato a Verdi dopo il secondo atto dell’opera, consiste in un magnifico astuccio in velluto rosso, fregiato in oro, collo stemma della città di Milano, ed il nome Aida pure in oro. Contiene una stupenda pergamena, opera dello Speluzzi, su cui si legge l’indirizzo che diamo più sotto; accompagna questa pergamena, un ricchissimo scettro simbolico in avorio, sulla cui parte superiore havvi una stella in brillanti; un capitello romano dell’epoca degli imperatori serve di base a questa stella: intorno alla bacchetta d’avorio corre un nastro di smalto bleu, portante il nome di Verdi; il nastro è intrecciato da un ramo di alloro, in smalto a smeraldi e rubini: al basso le armi di Milano e di Busseto, città natale di Verdi, ed il nome A Aida in pietre preziose. Il disegno è pure dello Speluzzi. Fu per tale scopo aperta una sottoscrizione fra la cittadinanza, iniziata dal barone Eugenio Cantoni, dal signor Alessandro Poss e dal conte Pompeo Beigioioso. Migliaia di cittadini vi presero parte. I signori barone Cantoni e A. Poss si presentarono a Verdi dopo finita l’opera: l’illustre maestro era oltremodo commosso, e colla più viva, la più cordiale espansione li pregò a volersi fare interpreti della sua ineffabile riconoscenza per questa testimonianza di affetto, la quale, aggiunta alla splendida accoglienza del pubblico, renderà incancellabile nella sua anima la serata d’ieri. L’indirizzo è il seguente: Milano, 8 febbraio 1872. A GIUSEPPE VERDI. Illustre Maestro! Alcuni fra i tanti ammiratori del vostro genio, desiderano che accogliate il ricordo affettuoso che, quale omaggio, vi dedicano. I milanesi sono esultanti, orgogliosi dello splendido trionfo d’Aida, che si collega per virtù di memoria incancellabile, a quello dei vostri primi lavori, qui consacrati da quello stesso pubblico che allora previde in voi il grande compositore, il vigile custode delle gloriose tradizioni italiane. Il simbolo, che sotto forma di scettro vi offriamo, vi appartiene di diritto: accettatelo, non come volgare dimostrazione adulatrice, ma come espressione del cuore di tutti noi, commossi al fascino delle vostre ispirazioni. Pei Sottoscrittori, il Comitato E. Cantoni — Pompeo Belgiojoso — A. Poss. Rivista Milanese Sabato, IO febbraio. Uno scherzo non si discute e si accetta ad occhi chiusi. Verissimo. Quando però non abbiate a fare con un bello spirito che voglia farvi passare per uno scherzo un pugno sopra un occhio; questo genere di scherzi si accolgono di solito ad occhi chiusi, ma si possono discutere. So adunque che avrei il diritto di discutere la nuova fiaba Kakatoa di Scalvini, rappresentata a quest’ora otto o nove volte al teatro Santa Radegonda, ma non ne farò nulla. Per poco che ad intervalli si fosse intravveduto un baleno di spirito, per poco che la tela avesse mostrato tanta unità da farla credere il lavoro d’una mente che pensa, la critica sarebbe stata possibile, ma in tanto vuoto di idee, in tanta miseria di frasi spiritose che fanno cilecca, in tanta sconnessione di idee, il dirne qualche cosa è fiato sprecato. Tre o quattro re che si fanno la guerra, si spogliano a vicenda, si aiutano, cantano dei couplets, il tutto senza ragioni visibili; un principe Grazioso che ama Fiamma, una Fata Rabbiosa che tramuta Fiamma in un papagallo (Kakatoa), una Refi) Per mancanza di spazio dobbiamo rimandare ad altro numero alcuni brani interessanti dell’appendice di Filippi, nella Perseveranza.