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È esaurita la prima edizione dell'Opera AIDA del maestro G. Verdi, per Canto e Pianoforte e Pianoforte solo; la seconda edizione sarà pronta pel giorno 25 Febbrajo corrente.
Preghiamo caldamente coloro che hanno ricevuto numeri di saggio della Gazzetta e non li hanno respinti di farci conoscere in qualche modo la loro determinazione. Ugual preghiera facciamo a quelli fra i nostri vecchi associati che non hanno ancora rinnovato l'abbonamento
DOPO LA PRIMA RAPPRESENTAZIONE DELL'AIDA D I GIUSEPPE VERDI alla Scala Venerdì, 9 febbraio.
A quest’ora il telegrafo ha portato la lieta novella dovunque: il genio musicale italiano ha guadagnato un’altra battaglia contro quell’occulto nemico che si chiama il tempo, L'Aida per voto del pubblico cosmopolita della Scala è un altro capolavoro. La storia della serata è questa: applausi vivissimi a quasi tutti i pezzi, 32 chiamate al maestro, delle quali otto alla fine dell’opera; dopo il secondo atto fu presentato a Verdi uno scettro d’avorio ed oro, ornato di pietre preziose; buona l’esecuzione, buone le scene, ottima l’orchestra, splendido il vestiario, pubblico affollato come non si vide mai l’uguale non ostante i prezzi elevati delle sedie e dei palchi - totale: trionfo. Se dovessi dar retta ad uno scrupolo che mi è nato prima d’ora, e che i lettori non stenteranno a comprendere, il mio compito sarebbe finito, e dovrei lasciare la parola ai miei confratelli; ma io penso che l’incontrastabilità del successo mi renda lecito l’uscire per poco da un silenzio che è ipocrisia per chi legge ed ingiuria per chi scrive. Si tranquillizzi il lettore, chè non mi viene punto la tentazione di analizzare tecnicamente il nuovo capolavoro verdiano, e dove mi venisse avrei le mie brave ragioni di resistervi eroicamente; la prima delle quali è che mi riconosco incapace a questo genere di critica; la seconda (e mitiga in parte i perniciosi effetti di una confessione inopportuna) è che credo fermamente questo genere di critica non buono ad altro che a seccare dottamente il prossimo. Certo se vi è un brutto servizio che possa fare all’umanità un lavoro d’arte che si può ammirare in tre ore, è quello di servire di pretesto a commentarii che durano tre mesi quando non durano più di tre generazioni. La mia ignoranza assicura all'Aida di Verdi un commentatore di meno, e al prossimo che mi legge dieci linee di critica musicale in cui non si parla di toni maggiori e minori, di scale cromatiche, di accordi, e non si fa dell’anatomia col pretesto di scomporre un’aria o una cabaletta in battute, e le battute in crome ed in semicrome. Scrivo appena uscito dal teatro, colla mente ancora popolata di cari fantasmi melodici, e sento un bisogno irresistibile di capovolgere il sistema e fare la mia rivista alla rovescia, ponendo la sintesi a fondamento delle mie ciancie; fortunatamente questa sintesi non è che una parola - sublime. Questo indovinamento d'artista che accoppia mirabilmente la nota alla parola senza tradirle a vicenda, questa febbre creatrice del genio che mi fa credere ad una cosa a cui non ho mai creduto, vale a dire al colorito locale musicale, questa originalità di pensiero che dà la mano alla finezza della forma, questa dottrina senza arzigogoli, questa eleganza senza ghiribizzi, questa efficacia senza convenzionalismo di effetti, questa chiarezza senza volgarità, quest’unità senza monotonia, tutto ciò è sublime, se pur si vogliano chiamare le cose coi loro nomi. Nella nuova musica del Verdi si crede di indovinare l’Egitto, si crede di udire l’eco d’una civiltà dimenticata dai secoli, e quel che è più si leggono nettamente le passioni dei personaggi del dramma. Da questo lato, se io non m’inganno, l'Aida è lavoro perfettissimo. E si badi che non è il wagnerismo che sprezza la melodia, che soffoca il canto e si perde nella ricerca di armonie imitative impossibili e si compiace solo di dotte istrumentazioni, ma piuttosto il melodrammatismo che senza tradire l’idea musicale o l’idea drammatica