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430 GAZZETTA MUSICALE DI MILANO Preghiamo i nostri associati che intendono rimanerci fedeli a rinnovare in tempo V abbonamento per evitare ritardi nella spedizione del giornale. LA MUSICA CONSIDERATA ARTE EDUCATIVA. «Così può quest’arte preparare aneli essa l’unità della lingua, e V unità della lingua aiutare all’unanimità degli spiriti.» Tommaseo Nell’ultimo numero dell’Indipendente leggiamo il seguente articolo che ei piace pubblicare, non tanto perchè dica cose nuove o in nuova forma, ma perchè le vecchie idee che contiene, esposte in maniera semplice e chiara, sono eternamente opportune. Lasciamo la parola al maestro Varisco. L’insegnamento di quest’arte pregevole meritò al certo un posto segnalato nell’educazione moderna. È però vero che v’ha in molti una ministra idea di essa, temendo costoro che la musica possa cagionare distrazione agli studiosi, e, come dicono, imprimere nel carattere della gioventù una certa tendenza alla volubilità. Ma è questa una ingiusta asserzione, perocché, se la musica è naturale disposizione data dal Creatore all’uomo, noi dobbiamo coltivarla con tutto l’amore, con quella volontà e compiacenza che richiede. Il canto, come riscontrasi nelle epoche musicali, esisteva già nell’antichità più remota: il canto corale invece, quale lo s’intende ai nostri giorni, è una conquista della civiltà moderna, come ha egregiamente notato il signor Dupont (1), e risale ai primi dieci anni di questo secolo. — I più celebri filosofi meditarono molto sulla musica, e seriamente ne scrissero; perciò anticamente i Greci ne insegnavano la grammatica e gli elementi essenziali, e sapientemente comprendevano essere questo studio uno dei migliori mezzi per iniziare la gioventù al culto di ogni nobile disciplina. Difatto chi oserebbe porre in dubbio che il canto insegnato «fino dalla tenera infanzia» ai fanciulli non sarà fonte feconda di nobilissime aspirazioni? Platone chiamò la musica la scienza dell’amore, il linguaggio del cuore e del sentimento, linguaggio bensì privo di parola, ma eloquente in sommo grado, perchè viene dal cuore e al cuore ritorna. Anche dagli antichi Romani, ad esempio dei Greci, la musica fu tenuta in gran pregio. Essi cantavano non solo la poesia profana, ma celebravano nei templi le lodi della divinità con cantici maestosi e solenni. Il suono ed il canto erano fra i più importanti elementi delle feste pubbliche e private, non escluse le funebri cerimonie e pie. (1) Le prime Società corali (Orphéons) formaronsi in Germania; fu Carlo Federico Zelter, allievo e successore di Fasch, che nel 1809 creava la Liedertafel (Tavola delle canzoni), la prima idea della quale era venuta fuori l’anno innanzi in occasione che parecchi membri della celebre Singakademie avevano dato una cena ad Otto Grell. I canti di Korner, musicati dal Weber, contribuirono a rendere popolare il genere nuovo. Senonchè quasi contemporaneamente Ncegeli fondava il Mànner Chor ( coro di uomini ) di Zurigo. Però a Berlino la Liedertafel era istituzione di tendenze, diremo, aristocratiche, o puramente artistiche; mentre a Zurigo il Mdnner Chor aveva popolari tendenze, presentiva, cioè, lo spirito degli Orphéons moderni. In venticinque anni circa — 1808-1835 — le società corali si formarono rapidamente in modo, che in ogni città di Germania se ne contò una, e la Svizzera noverò 20,000 cantanti. L’iniziativa presa da questi paesi fu presto seguita dalla Francia e dalla Germania; e d’allora in poi queste feste musicali divennero sempre più importanti, in modo che al presente sono la vita e la principale ragione d’esistenza delle Società corali. — Vedi il giornale della Società del Quartetto di Milano; anno I, n.° 10, 31 ottobre 1864. Plutarco disse, che non vi e cosa più atta della musica ad eccitare in ogni circostanza gli animi all’entusiasmo, e perfino a fronte dei pericoli della guerra. Quintiliano stesso attribuisce in gran parte il coraggio delle romane legioni al possente effetto che in mezzo a quelle faceva il canto ed il suono dei corni e delle trombe guerriere. Che se poi si ricorra presso agli Ebrei «che furono i primi a coltivare questa scienza,» troveremo, che, appo questi, la musica era sì maravigliosa e sublime che i loro salmi attraevano al tempio l’Ebrea Nazione; ed erano fin presso gli stranieri di tale incanto, che i Babilonesi importunavano i prigionieri Israeliti dicendo: Hymnum cantate nobis de canticis Sion. L’impero della musica è dunque universale. La sua lingua è comune a tutti i popoli: essa riscalda l’intelletto ed il cuore, addolcisce i caratteri e le passioni con potenza efficace e soave, e nutre infine le private e sociali virtù. Fra i vantaggi che essa arreca a compimento della più perfetta educazione morale del popolo, havvi lo sviluppo degli organi vocali e respiratori, e giova pur igienicamente, perchè, rendendoli più forti, li rende più atti a sostenere la fatica, mentre d’altra parte concede un’attività maggiore alle funzioni della vita organico-plastica. — Anzi vi sono vantaggi di ben altro rilievo, poiché l’arte ortofonica ei insegna con valide prove l’efficacia del canto sugli stessi vizii o imperfezioni di pronunzia; e, mercè l’uso di esso, si sono veduti dileguare difetti che parevano ribelli ad ogni rimedio. Paolo Mantegazza, nella Enciclopedia Popolare, dice: «Il canto introdotto nelle scuole come parte della educazione è un’ottima ginnastica del polmone, e la scuola di canto popolare che fondò per il primo in Edimburgo lord Murray, produsse stupendi effetti, e fu poi imitata in varii modi da altri. Quando i vostri bambini in casa, o i vostri scolari nelle ore di ricreazione cantano e gridano, per carità non li fate tacere, non dite loro che alzino meno la voce: è allora ch’essi aspirano vigorosamente l’ossigeno e vanno formando dell’ottimo sangue.» Naturalmente, la gioventù è inclinata al canto, e il canto in bocca del popolo è fede, amore e religione; è odio e vendetta; onde saggiamente disse Herder, che i canti popolari sono gli archivi del popolo, il tesoro della sua scienza, della sua religione, della sua teogonia e cosmogonia, della vita de’ suoi padri, dei fasti della sua storia, l’espressione del suo cuore, l’imagine del suo interno, nella gioia e nel pianto, presso il letto della sposa e accanto al sepolcro. Per l’influenza che quest’arte esercita sull’uomo istesso, trasportando l’animo suo dallo stato reale a quello dell’immaginazione, fu detta, e a buon dritto, la regina delle arti belle. La sua influenza si estende, benché in gradazioni diverse, non solamente sulle classi agiate, ma ben anche sulle inferiori, e si fi anima di questi sani principii: Dio, Famiglia e Patria; ella è germe di moralità e di forze generose. Lo stesso Cesare Cantù dice: che le buone abitudini mutano i costumi. Chi s’avvezzò a distrazioni innocenti non è tentato a cercare l’oblio di sè stesso nelle vergognose, e anche il divertimento diviene un’educazione. Anche Nicolò Tommaseo nel suo bellissimo libro, I doveri e i diritti d’ogni buon Italiano, che meriterebbe di essere più conosciuto, dice: che il suono e il canto dovrebbero farsi dell’educazione del popolo parte viva. Già per istinto in Italia si canta; ma i canti dovrebbero essere, non come sono nelle città e ormai in troppi luoghi anche fuori, brani d’arie teatrali senza senso o con ignobile senso, e storpiati; non, come nelle campagne, stornelli e villolte o canzonette scipite o peggio, che vengono di città, come tanfate da luogo fetido: dovrebbero essere versi schietti con idee degne e immagini belle, con musica o fatta sull’arie che il popolo canta già. o nuova e semplice, sull’andare di quelle. La apprenderebbero a orecchio anco gli uomini e le donne che non son giovanette: ma ai giovanetti apprendere nelle scuole un po’ di musica per principii, sarebbe esercizio del petto e di buona pronunzia., piacere, e forse con gli anni guadagno, nón come arte di per sè sola, ma provvida giunta di soprappiù.