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GAZZETTA MUSICALE DJ. MILANO 405 giori cure. Trattandosi di un’opera di ripiego non voglio muover appunti nè sulle scene nè sul vestiario, ma il ripiego, secondo me, non deve mai servire di scusa ad una cattiva esecuzione musicale. Del resto, il Rigoletto non è peggio eseguito del Don Carlo ed il pubblico se non lo ha portato alle stelle, non volle neanche precipitarlo nel baratro infernale. Vi furono applausi e disapprovazioni in misura quasi uguale. Ciò che posso assicurare si è che la musica di quest’opera, per quanto notissima, fu riudita con piacere; il teatri) era pieno zeppo, ed io non dubito che se l’illustre Jacovacci avesse avuto il buon pensiero di mettere in scena un’opera con maggior diligenza, ne sarebbe stato ricompensato con una serie di lucrose serate. Il baritono Ciapini era applauditissimo qualche mese fa al Politeama in Trastevere. E giovine intelligente e studioso e neanche all’Apollo ha fatta cattiva figura. Avrebbe bisogno di rafforzare alquanto le note medie, ma in complesso il pubblico n’è rimasto soddisfatto. La signora Rubini, quella stessa che il maestro Thomas ei spedì da Parigi per la parte di Filina nella Mignon, volle assolutamente farsi udire nel Rigoletto, opera che si dice da; lei ardentemente desiderata e quasi imposta all’impresario. E una cantante di genere leggiero anzi leggerissimo: ha eseguito egregia mente Tana Caro nome, che terminò con un limpidissimo trillo. Ma la parte di Gilda è in molti punti drammatica, e nel quartetto e nel famoso duetto dell’atto secondo col baritono, la signora Rubini mi parve deboluccia anzi che no. Tuttavia non dispiacque, quantunque io non intenda per qual regione esse abbia scelta quest’opera a preferenza di un’altra. Nel Rigoletto esordiva un nuovo tenore venuto da Parigi, il signor Blume, che qui si fa chiamar Biumi. Le nom ne fait rien à la chose. Blume o Biumi o Blumini, poco importa. Il baritono Maurel si chiama Maurel tout court e non Morelli o Morellini, e ciò non impedisce che sia il beniamino del pubblico romano. Sul conto del signor Blume avrete letto nei giornali guidizi molto discordi, che rispondono esattamente all’incertezza del pubblico. Si è detto di lui che ha poca voce; è vero ma non hanno voce più forte nè il Montanaro, nè il Piazza, nè altri tenori che percorrono una brillante carriera, senza parlare del Calzolari, che, come tutti sanno ne’ suoi bei tempi, era un tenorino? La voce del Blume è piccola, ma simpatica e quel che più importa, intonatissima. Aggiungete che il signor Blume pronunzia bene, canta egregiamente. Un solo torto egli ebbe a mio avviso e fu quello di presentarsi ad un pubblico italiano nel Rigoletlo. Può darsi che la parte del Duca in Francia sia nel repertorio dei tenori leggieri; in Italia non è cosi. In Francia si adoperano le voci di falsetto; in Italia il pubblico non le vuole che in qualche caso eccezionale. Il signor Blume, informato di questa disposizione del pubblico italiano, aboli i falsetti ai quali probabilmente era avvezzo; di qui uno sforzo troppo evidente nelle note acute specialmente nel quartetto e nel duetto con Gilda. Invece cantò squisitamente Mandante dell’aria e la canzone La donna è mobile. In complesso, io non esito a dichiarare che in tanta deficienza di tenori, il signor Blume è un buon acquisto per le scene italiane, a condizione che canti le opere che meglio convengono alla sua voce. Non male il Morroto (Sparafucile) e la Mariani (Maddalena). La Reale Accademia di Santa Cecilia ha presentato all’onorevole Scialoia, ministro dell’istruzione pubblica, i suoi nuovi statuti ed il progetto per un Liceo musicale. Per quest’ultimo si richiede il concorso del governo oltre quello del Municipio e della Provincia. L’onorevole Scialoia ha dato, per ora, buone parole. Speriamo che, nella sua qualità di ministro, darà pure denari. E se anche questo sarà un topo, tanto peggio. E cosi ho terminato, per oggi, di narrarvi le gesta dei nostri topi grossi e piccoli. E mentre i topi ballano sulla scena chi è preso in trappola? Il pubblico. APS. Ricevo la Gazzetta Musicale del 1° corrente e non vi trovo una lunga corrispondenza che io vi ho mandata sul Don Carlo rappresentato al nostro teatro Apollo. Mi duole che la medesima sia andata smarrita, certamente per colpa della Posta, la quale ha molti di questi peccati sulla coscienza. D’altro canto mi parrebbe inopportuno rendervi conto, oggi, di quella rappresentazione, che fu giudicata molto severamente da tutta la stampa romana. Vedo che avete riprodotto gli articoli dei principali fra i nostri giornali, che hanno detto nè più nè meno della verità. Speriamo che almeno si voglia trarre profitto dalla dura lezione. TST APOLLI, 21 novembre. Il Don Carlo al massimo Teatro — Modificazioni nell’illuminazione e nell’orchestra del S. Carlo. Oh questa volta sì che il Don Carlo si è messo davvero sul retto cammino! Vi confesso che ne sono talmente sbalordito dalla prima sera in cui ricomparve al nostro Teatro massimo che propriamente non so come principiare la mia solita relazione. Non ve ne potreste agevolmente figurare lo splendido successo. Musica, orchestra e cantanti, tutto eccellentemente.. Ma ripeto, non so come principiar a scriverne, e se non mi oriento e fo ricorso un po’al taccuino degli appunti, non me ne sento capace. Lunedì sera dunque, alle 7 e mezzo, la folla invade il teatro ove il Don Carlo raccoglie intorno a sè i curiosi di ogni fatta, quattro quinti dei quali pagano a carissimo prezzo il loro posto, disputato e accaparrato più giorni prima. E sul prezzo del viglietto sappiate che furono dessi rincarati quest’anno, ma era tanto il desiderio di riudire, e bene eseguito, il più stupendo fra i capilavori del Verdi, che qualche signore per avere un palchetto al secondo ordine contentossi di pagare cento lire a chi glielo cedesse, oltre il prezzo del nolo che era segnato cento dieci lire sul cartellone. Due poltrone furono pagate novanta lire, e i primi e secondi posti pagavansi dai richiedenti per essere certi di averne, tre, quattro lire più del prezzo stabilito. Il teatro quella sera presentava uno spettacolo insolito; splendide acconciature brillavano in tutti i palchetti, anche in quelli del quinto e sesto ordine, perchè per entrare nel novero de’fortunati astanti della prima rappresentazione, molte persone segnalate contentaronsi di assistere allo spettacolo dalle ultime file. Due novità intanto si offersero allo spettatore, la mancanza del lampadario e la novella disposizione dell’orchestra E tanto nell’uno quanto nell’altra novità permettete che io m’addentri in qualche particolarità. Da buona pezza riputavasi ben fatto il torre di mezzo al teatro quell’immensa mole di lampadario che avrebbe potuto esser talvolta fonte di sventure, ma che era sempre un incomodo pei meno favoriti dalla fortuna, i quali dovevano assistere allo spettacolo dalla quarta fila de’ palchetti in su. Per costoro il lampadario era un disturbo positivo, essi non potevano ben godere degli effetti ottici. Però l’anno scorso prima che si desse principio ad uno de’ veglioni il coreggiato di esso lampadario logoro in qualche parte pel lungo uso produsse la caduta di una piccola parte di esso; per buona ventura non trovavasi alcuno nella sala. Aggiungete che anco per l’impresario era di danno perchè dalla quarta fila doveva perder quattro palchetti e i più pregiati, e adoperarli per gallerie, le quali poi neppure erano molto frequentate pel grande ed incomodo riflesso della molta luce de’tanti becchi del lampadario. Al Musella devesi dunque la scomparsa di quell’incomodo e pericoloso ornamento e se ne abbia lode. Temevano alcuni che col nuovo sistema de’bracci di lumi a tre viticci, da ognuno de’quali parte una fiamma di gas, messi alternativamente ad ogni palchetto, non avessero prodotto sufficiente luce, ma ancor questa tema è dileguata ed ora la sala è più splendidamente illuminata che per lo innanzi. Circa l’altra novità dico che la presente disposizione dell’orchestra fa crescer a mille doppi gli effetti strumentali. I fatti non si possono distruggere e credo che gli apati stagionaci, ritrosi alle innovazioni, siensi persuasi, dopo lo stupendo accordo delle masse orchestrali, mostrato tanto fulgidamente pel nuovo modo onde i suonatori sono collocati: rinsaviscano e imparino a rispettare ciò che sul meglio dell’arte praticasi da tempo sui principali teatri d’Europa. Ed infatti era sciagurata distribuzione della nostra orchestra quella che accoppiava un primo violino ad un secondo, sparpagliava i violoncelli, collocandone due in mezzo, e quattro in un lembo estremo a dritta del direttore, e quattro dall’altro estremo, e cosi via. M’auguro pertanto che questa nuova distribuzione sia conservata sempre e non si creda che il mutamento sia praticato per le esigenze del Verdi, bensì per quelle dell’arte giustamente appagate a Pietroburgo, a Londra, a Parigi ed a Milano. E quando scompariranno i codini dell’arte?! Ed ora al Don Carlo. Vi scrivo dopo la seconda rappresentazione avvenuta ieri sera, e vi confesso che di rado videsi un successo più fortunato e più crescente, più pieno, più splendido e più clamoroso sì che gli stessi ammiratori del Verdi, cioè gli adoratori del sublime drammatico nella musica, non avrebbero saputo desiderare maggiore. Non furono applausi prodigati per disegno di pochi fanatici; non fu la manifestazione d’un partito; furono applausi spontanei, universali clamorosi, che cominciarono al duetto fra Carlo ed Elisabetta, proruppero ad ogni luoo-o, continuarono e lungo e dopo lo spettacolo. Il maestro Verdi fu evocato al proscenio assai di frequente tanto la prima quanto la seconda rappresentazione, ma egli comparve solamente 26 volte la prima sera e 33 alle insistenti ed entusiastiche grida del pubblico di iersera. La somma eloquenza delle frasi, quel sublime magistero di