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394 GAZZETTA MUSICALE DI MILANO E qui ei si permetta di combattere l’opinione di alcuni egregi scrittori, i quali supponendo che la formazione di questa nuova orchestra avesse per movente l’economia, si dolsero che si fosse rinunciato alla solita grande orchestra. Mi sia lecito intanto avvertire che mantenendo quel sistema ei si rendevano impossibili le duplici e triplici esercitazioni settimanali, impossibili i molteplici Saggi, atteso che la spesa sarebbe salita ad una cifra relativamente favolosa. — Si osservò pure che un’orchestra non si rende compatta e rispondente in tutte le sue parti se non a poco a poco, durante una lunga successione d’anni. Credo sia dir troppo: ma quando pur fosse, è precisamente questa la meta che un Conservatorio deve proporsi; e per giungervi fa ben d’uopo pazientare, ed indulgere all’incertezza inevitabile dei primi passi. — Del resto codesto intento è tutt’altro che nuovo ed avventato. Fu ottenuto altrove, e bene: — ed in Italia anche: — a Napoli, a Firenze; — ed è un giusto vanto di quegli eccellenti Conservatori i. — Perchè dunque non dovremmo tentarlo noi pure? Egli è indubitato frattanto che dal riporre le forze orchestrali esclusivamente nelle mani degli alunni ad essi è venuta la coscienza di potere: la quale, purché non trascenda in orgoglio (nè di ciò v’è pericolo) è condizione a che il giovane possa tradursi in artista. Quanto all’indirizzo musicale che si è creduto dare a questi Saggi privati, destinati in parte a diventar pubblici è ovvio che, almeno per ora, non poteva presentare se non quello di sperimenti individuali, di saggi di talenti, di capacità, di progressi, pure individuali. Il desiderio dei serii amatori dell’arte che nel Conservatorio non si faccia se non della musica classica è un ottimo desiderio senza dubbio: — ma prima ancora che di consacrarsi alla musica classica, il Conservatorio ha l’imprescindibile dovere di educare individualmente i suoi alunni alla esecuzione meccanica perfetta, cioè al superamento di qualsiasi difficoltà. Ora, importa osservare, che per alcuni strumenti specialmente, o perchè ultimi venuti, o perchè non n’erano in addietro riconosciuti ed apprezzati l’indole e il valore, la musica cosi detta classica manca affatto; cosicché la Direzione fu costretta far violenza alla modestia dei Professori acciocché provvedessero all’uopo coi loro lavori medesimi. — E qui la Direzione si permette pure di accennare ch’ella sentirebbesi ben altrimenti soddisfatta se gli egregi appendicisti volessero contro lei sola rivolgere quegli appunti che loro vengono suggeriti dalle nostre pubbliche prove; avvegnaché effettivamente la Direzione deve, ed intende, esserne sola responsabile. Quantunque avvezzi noi a considerare l’arte con larghezza di vedute, e a non restringerne la manifestazione del bello in una od altra epoca, bensì a contemplarne ed abbracciarne sinteticamente lo svolgimento attraverso il corso de’ secoli, diremo tuttavia che in un Conservatorio ei pare sano pensiero quello di accordare una preferenza al passato anziché al presente; e perchè le presenti produzioni dell’arte possono facilmente udirsi fuor dell’Istituto stesso, mentre assai men probabile è l’udizione delle musiche antiche; — e perchè, come avverti il sommo dei compositori odierni, lo studio deW’ antico lascia più vergine e libera la mente del giovane compositore; onde v’ha assai men pericolo ch’egli riesca un servile imitatore, uno spregevole plagiario. Di questo passalo, relativamente inteso, nei tre recenti Saggi abbiamo offerto parecchi brani, che furono accolti con manifesta soddisfazione, e per la solida bellezza delle composizioni, ed anche per l’acconcia interpretazione; nella quale i dotti nostri Professori seppero, a mio vedere, conservare lo stile tradizionale e le abitudini di altri tempi. (A.I prossimo Numero il fine). li: Il signor Hermann Mendel, redattore del riputato giornale VEco di Berlino, ei scrive una lunga lettera in risposta alle accuse che gli furono fatte dal nostro corrispondente di Berlino in uno dei passati numeri. La forma della rettifica è amara ed acre verso il nostro corrispondente quanto è forse più dell’accusa, e perciò ei duole di non poterla pubblicare, tanto più che si mostra gentilissima verso di noi. Il signor Mendel desidera si sappia che la società musicale assalita con vivacità dal nostro Raro è la Berliner Tonkünstlerverein, di cui fan parte sommi che si chiamano Taubert, Kiel, Bùlow, F. Hiller ed altri, oltre lo stesso Mendel in qualità di presidente. Non possiamo poi tacere che abbiamo appreso con stupore come il foglietto insignificante di cui parlava il nostro corrispondente fosse L’Eco, giornale, che per conto nostro stimiamo moltissimo ed a cui ei lega lunga e, speriamo, durevole simpatia. Probabilmente il nostro Raro fu indotto anch’esso in errore. I GIAN GIACOMO ROUSSEAU Un bibliofilo di Bruxelles ha testé incontrato in una bottega di rigattiere le parti d’orchestra, impresse con molta eleganza, del monodramma di Gian Giacomo Rousseau, Pigmalione, posto in musica da Coignet, dilettante lionese. Quest’opera fu rappresentata per la prima volta il 30 ottobre 1775 ed ebbe per molti anni gran voga. Come per il Devin de village, Gian Giacomo fu accusato di essersi attribuita la paternità della musica di codesto dramma lirico che si disse composto da Coignet dietro domande replicate dell’illustre autore del Contratto Sociale. Castil-Blaze sostiene fra gli altri questa tesi, e quando Rousseau era vivo i suoi nemici, che erano molti, sebbene non forse tanti quanto Gian Giacomo credeva, gli avvelenarono la vita avvalorando siffatti sospetti. Rousseau ebbe pure i suoi difensori ardenti, nissuno però riuscì più efficace di quello che seppe riuscire egli stesso nelle sue inimitabili Confessioni. Certo è che quando Coignet venne a Parigi, si affrettò a pubblicare il Pigmalione col suo nome, in parti separate, e per restituire a Gian Giacomo ciò che apparteneva a Gian Giacomo, ebbe cura di scrivere in capo al numero 2 ed al numero 10 «questo andante è del signor Rousseau.» Appunto queste parti furono ora trovate a Bruxelles. Un giornale belga ei apprende che sono otto soltanto: un oboe, due corni, due violini, un fagotto, un alto ed un contrabasso. Il titolo è Pigmalione, «del sig. Rousseau, monologo posto in musica da Coignet, stampato dal sig. Ogier, prezzo L. 6.» Si vende a Lione, presso Costant, libraio, ed a Parigi presso Danvin, receveur des diligences, Port-Saint-Paul, ed agli ordinari spacci di musica. Sono di formato in quarto e non portano data. Curioso è che lo spartito è mediocrissimo e la musica tale da rendere inesplicabile la voga che ebbe in uno dei primi teatri di Parigi. E questa voga era tanta, che avendo Baudron, direttore d’orchestra della Comédie-Française, pensato ad adattare nuova musica al Pigmalione, conservando i pezzi di Rousseau, il pubblico alla prima rappresentazione volle a grandi grida: «la musica di Coignet!» E si dovette eseguire la musica di Coignet! Gian Giacomo si allegrò molto del trionfo del Devin de village, e si afflisse delle sospettose ire dei malevoli fino a dire nelle sue Confessioni: «io credo che i miei cosi detti amici mi avrebbero perdonato di scrivere libri, e di eccellenti anche, perchè codesta gloria non era loro estranea, ma che non poterono perdonarmi di aver fatto un’opera nè gli splendidi successi che ebbe, perchè nissuno d’essi era capace di percorrere la