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vole nelle prime festose accoglienze’. Colle quali mi piace credere che il pubblico volle meglio testimoniar la sua stima ad un giovine di vero ingegno, venuto di lontano, ignaro di cabale fuor dell’influsso di amicizie, a chiedere al pubblico un giudizio schietto intorno alla prima sua fatica, piuttosto che mostrare veramente il suo entusiasmo per la nuova opera. Il pubblico ha le sue bizzarrie, e non è raro che gli venga il ghiribizzo di fare il padre nobile o di darsi per mecenate a chi mostra di non averne nemmeno uno. Allora i suoi giudizii sono benevoli, i suoi applausi rumorosi, gli vengono fuori come nelle grandi occasioni grida di bravo, ed esce dal teatro contento dell’autore che ha incoraggiato e di sè stesso. Il maestro Canepa non creda già che questo scemi in alcun modo i suoi meriti, perchè di solito siffatte fantasie bonarie non vengono al pubblico se non quando gli si fa innanzi un autore modesto, inesperto ancora di intrighi, pieno d’ingegno, di buona volontà e di giovinezza. Occorre tutto ciò perchè il pubblico applaudisca nel primo lavoro il secondo, il terzo, tutto l’avvenire d’uno scrittore - e molte volte non basta. Il David Rizzio non è dunque un capolavoro; il suo autore ha passato di poco la ventina, ed ha per sè una scusa legittima, cioè, che colle moderne esigenze musicali, i lavori prematuri non riescono mai capilavori. Ma il David Rizzio non è nemmeno una di quelle sconciature che fanno venir dal cuore l’augurio di una perpetua sterilità; nossignori il maest ro Canepa ha idee, ha ottime intenzioni, ha fantasia, ha dottrina. Quando si ha tutto ciò si cammina spediti colle gambe della giovinezza, e si arriva quasi sempre. Tutti i giovani che scrivono per la prima volta un’opera in musica, si piacciono a far conoscere gli studi che han fatto, e non sapendo ancora architettare un edifìzio rigorosamente armonico in tutte le sue parti, vogliono far pompa dei materiali di fabbrica che, di solito, fra proprii ed altrui, sono molti. Anche il maestro Canepa fa cosi; nella sua opera si odono un’infinità di motivi, alcuni dei quali non solamente belli, ma di provenienza legittima; in orchestra si può dire che tutti gli strumenti hanno una parte obbligata, il trombone, i corni, i flauti, i pifferi non solamente ei sono, ma si fanno sentire, abbozzano un’idea, ne compiono un’altra cominciata sul palcoscenico, fanno un gruppetto, un trillo, una scala cromatica, pigliano atteggiamenti e movenze e andature sempre varie, in moto di continuo, di continuo in azione, di continuo in fermento. E un errore anche questo, ma l’errore dei prodighi, i quali per errare hanno prima di tutto bisogno di esser ricchi. E non basta: il giovine autore, provveduto al primo bisogno di mostrare quello che sa e quello che potrà fare, si prova a fare sul serio, a far vedere che egli non immagina sulla falsa riga, che non gli manca arditezza, che non si è accontentato di studiare la maniera di far cantare la prima donna e il tenore e di trar partito dalle grandi orchestre, ma che ha capito in che consiste la moderna fisionomia del melodramma. Non vi riesce benissimo, ma vi riesce quanto basti al suo intento. 0 m’inganno, o tutto il cumulo di intenzioni, di propositi che si agita nella testa d’un artista che è alla vigilia di divenire un grand’artista, si fa palese in questo David Rizzio. Il quale non ha impronta originale, nè simmetria di parti, ma per certi frequenti lampi di melodia schietta, per certi accessori e frastagli benissimo riusciti, si toglie dalle solite scolastiche sublimità di genii che non sono tali se non fino a tanto che hanno preso finale. Non vo’ enumerare i pezzi dell’opera che più piacquero, inutile noia che fu patita e fatta patire da altri, mi starò pago a dire che nel primo atto vi è una bellissima romanza, nel secondo un graziosissimo duetto fra baritono e mezzo soprano, che vien sempre fatto ripetere, e nel terzo un coro di congiurati che ha un’impronta singolarmente efficace. Anche questo coro vien fatto ripetere ogni sera. Molte e vere bellezze melodiche si trovano inoltre sparse qua e là in altri pezzi. La conclusione che traggo da questo David Rizzio è che quando dalla confusione di mille fantasie che fanno GAZZETTA MUSICALE DI MILANO 387 il caos giovanile ne uscirà una netta, quando alla ricchezza della tavolozza e degli ornati corrisponderà la sicurezza e l’armonia del disegno, il maestro Canepa potrà darci un magnifico lavoro. Per far ciò, non ha che da aspettare il tempo, il quale è puntuale e viene sempre presto, anche se par che tardi. A quanti maestri invece il tempo par davvero che abbia le ali... che essi non hanno! Gli esecutori a cui fu affidata la prima interpretazione di quest’opera fecero del loro meglio per farsi applaudire. Vi riusci il tenore Ferrari dalla bellissima voce, vi riuscì il baritono Carpi, corretto ed elegante nella parte di Enrico, è il basso Romani, che è artista diligente, di maniere simpatiche e di buoni mezzi. La signora Mayer nel far la parte di Regina non aveva punto d’una regina, e poi la voce alquanto stridula nocque molte all’effetto dei canti che le erano affidati; con una voce quanto è possibile ad una voce esser esile senza cessar di voce, ebbe miglior fortuna la signora Valerga nella sua particina. L’orchestra andò un po’a rotoli, ed i cori fecero qualche volta come l’orchestra. Il teatro dal Verme campa melanconicamente i giorni alternando le opere del suo repertorio, che non sono assolutamente nuovissime: Trovatore J Favorita e Don Giovanni. Le nuovissime sono alle prove, e se non casca la vòlta dei cieli, avremo finalmente fra un paio di settimane i Promessi Sposi del Ponchielli, tante volte e tanto inutilmente promessi. Nel Trovatore udimmo giorni sono un altro baritono, il signor Broggi; non ha gran voce, ma di quella che ha è padrone e seppe farsi applaudire. Al Carcano è promesso il Nabucco. Al Milanese trionfò un’altra commediola ridotta dal francese: Un colp de man. Al teatro Santa Radegonda una sola novità importante: Capitale e mano d’opera di Valentino Carrera. Nella Rivista Minima se ne parla di proposito. Finisco con una buona novella: il nuovo teatro della Commedia in piazza S. Fedele si aprirà ai primi del prossimo dicembre con rappresentazioni della compagnia Bellotti-Bon, e colla commedia di Ciconi, La Rivincita. Una circolare stampata ei annunzia la prossima pubblicazione in Milano d’un periodico mensile col titolo II Convegno, che si occuperà di filosofia, di scienze, di lettere e di arti. In questi ultimi giorni i teatri d’opera francese della Francia, del Belgio e della Svizzera, hanno rappresentato le seguenti opere in italiano: Perpignan e Namur il Barbiere, Tournai il Don Pasquale, Ginevra e Aja la Traviata, Liegi e Tolosa il Rigoletto, Lille e Gand la Lucia, Lione e Montauban il Trovatore, Marsiglia il Guglielmo Teli. Persino in Algeri è stato dato il Guglielmo Teli! — A Mülhausen poi fu eseguito il Trovatore in tedesco. Ecco ora le opere di autori italiani rappresentate ultimaménte nei principali teatri della Germania: Il Trovatore, a Vienna, Colonia, Amburgo, Cassel, Kónigsberg, Berlino, Francoforte s. M.. Breslavia. Norma, a Vienna, Kónigsberg, Berlino. Medea (di Cherubini), a Berlino. Il Barbiere di Siviglia, a Berlino, Weimar, Breslavia, Amburgo. Un Ballo in maschera, a Francoforte s. M., Vienna. La Figlia del reggimento, a Francoforte s. M., Amburgo, Berlino, Kónigsberg. Rigoletto, a Breslavia, Cassel, Vienna. Lucia di Lammermoor, a Amburgo, Kónigsberg, Vienna, Lipsia.’ La Favorita, a Vienna. Lucrezia Borgia, a Vienna. L’Elisir d’amore, a Cassel. Guglielmo Teli, a Colonia, Monaco. La Sonnambula, a Amburgo.