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386 GAZZETTA MUSICALE DI MILANO di far rappresentare una nuova opera (1), durante la stagione musicale, stagione di sei mesi o d’un anno, poco monta. Contate ora tutti i gran teatri d’opera della penisola, e vi darete ragione del perchè, alla fine dell’anno, facendo il bilancio teatrale, si trovi che ei furono una quarantina di opere nuove. Vi ha chi pretende che laggiù non si facciano spese di messa in iscena, e che perciò riesca facile fare eseguire una nuova opera, mentre il nostro Teatro dell’Opera è incagliato dalla messa in iscena, ben altrimenti splendida a Parigi. È un errore. Quanti hanno viaggiato ed hanno visitato l’Italia poterono convincersi del contrario. Libero alle persone che non furono mai a Milano, a Parma, a Napoli, a Venezia, a Genova od a Bologna di credere che vi si rappresentino le opere come si fa al nostro Teatro Italiano di Parigi. Non cercheremo di toglierli dall’inganno. Perch’essi credessero, converrebbe che vedessero, e non possono o non vogliono darsi questa briga. Nulla tuttavia impedirebbe loro d’interrogare quei che si son recati in Italia; e fra i nostri compositori e critici ve n’ha che andarono - non è gran tempo - a Milano, a Parma ed a Padova per assistere alle rappresentazioni dell’Aida di Verdi. Interrogateli; e vi diranno se la messa in scena db quest’opera non potrebbe reggere al confronto di quella delle migliori rappresentate all’Opera. Per parte mia posso affermare che ho assistito a rappresentazioni del Profeta a Firenze e, a costo di trovare degli increduli, che la messa in scena era più ricca alla Pergola che non sia all’Accademia di musica. Ma siffatta quistione è secondaria; ritorniamo a quella che più ei importa. Si scrive quasi altrettanto in Francia, ma solo le opere rimangono nello scrittoio dei compositori. Perchè? Perchè l’Italia ha, come abbiamo detto, gran numero di teatri d’opera e la Francia non ne ha che uno. Delle scene dipartimentali non è a tener conto; esse non vivono che del repertorio di Parigi (2). Le rarissime eccezioni non fanno che avvalorare la regola. Ora si scrivano venti opere in un anno e se ne dia una sola - se pure si dà - ed è un’opera sola che la Francia avrà prodotto, mentre T Italia ne avrà prodotto quaranta. Ma, si dirà, quante ve n’ha fra le quaranta di veramente buone? Supponendo che non ve ne sia che una, sarà sempre un’opera. A Parigi non ne abbiamo nemmeno una da gran tempo! Ed avendola, converrà supporre che piaccia per confrontarla con quella fra le quaranta d’Italia, che avremo ammessa come tale. Quest’è la situazione: la Germania produce poco, l’Italia produce molto e rappresenta molto, la Francia produce più che non si creda e fa rappresentare pochissimo. I commenti sono inutili, chè non abbiam voluto per oggi occuparci se non dell’inventario musicale. JL de Thémines, (1) Anche in Italia la massima parte dei teatri di provincia vivono di ciò che si produce nei pochi teatri di prim ordine, salvo qualche eccezione. Non è esatto il credere che in Francia si produca quasi tanto quanto in Italia, chè la produzione è sempre proporzionata alla probabilità offerta agli autori di veder rappresentate le opere loro; minime in Francia queste probabilità, pochi devono essere anche gli scrittori; in Italia dove si rappresentano ogni anno 40 opere nuove circa se ne scrivono certo assai più. A. della Red. (2) Le opere d’obbligo rare volte sono nuove assolutamente; quasi sempre non sono se non riproduzioni di quelle pochissime fra le nuove che furono accolte e giudicate con gran favore. I padrini, che in Italia come altrove tengono al fonte battesimale le nuove creature musico-teatrali, sono di solito j parecchie migliaia di lire pagate dall’autore il quale dee possedere un po’ di ) ben di Dio.... o un mecenate. A. della Red. Si narra di Boieldieu il seguente curioso aneddoto. L’illustre autore della Dama Bianca avea l’entrata libera al teatro del Vaudeville, ma siccome frequentava assiduamente T Opéra Comique, non approfittava gran fatto del suo diritto. Una volta tuttavia gli prende vaghezza di recarvisi, ma mentre fa per passare gli si chiede il suo biglietto. — Ho T ingresso libero, dice. — Il vostro nome, di grazia? — Boieldieu. — Come? — Boieldieu. — Il compositore? — Appunto. — Voi? — Per bacco! Ne dubitereste forse? — Niente affatto, ribatte il bigliettaio, non ho dubbio di sorta epperò vi prevengo che la vostra furberia non riesce. — La mia furberia? Ma, signore, sappiate che io sono incapace di tal frode: il nome che vi ho detto è il mio. — È inutile insistere, noi conosciamo perfettamente il signor Boieldieu. — Oh! Voi lo conoscete? — E uno dei frequentatori più assidui, viene tutte le sere. — Ed è venuto oggi? — È venuto. — Sarei curioso di vederlo. — Come! Voi persistete nell’inganno e volete essere posto in confronto del signor Boiëldieu? — Sarà la prima volta che mi troverò innanzi a lui, e ei tengo. — Quale audacia! — Vi prego di condurmi in faccia a lui, e saprete allora qual sia l’impostore. L’accento determinato e l’aspetto da gentiluomo, impressionarono gli impiegati, i quali volendo veder chiaro nell’imbroglio, lo condussero all’ingresso delle sedie riservate. Quivi il bigliettaio indicò un signore assai ben vestito che guardava attento lo spettacolo. — Eccolo. — E quello il signor Boieldieu? — Fin che non mi abbiate provato il contrario. Boieldieu guardò l’usurpatore colla benevolenza che formava il fondo della sua natura. «Ecco un uomo felice, diss’egli, io turberei la sua felicità, di cui gode in mio nome! Lo priverei d’un piacere che prende tutte le sere, per rivendicare un diritto di cui non mi servirò forse mai più. In fede mia, non sarò cosi crudele! Ed aggiunse ad alta voce: — Scusate, non insisto più e mi ritiro. — Ah! confessate dunque che siete un falso Boiëldieu? — Confesso tutto quello che volete; ho fatto un semplice scherzo. — Un cattivo scherzo, signore, un cattivo scherzo! E Boieldieu se la battè eroicamente. Rivista Milanese Sàbato, 23 novembre. Il teatro Carcano ha dato la luce dalla sua ribalta ad un’altra opera fortunata, il David, Rizzio del giovine maestro Canepa. Venendo ultimo fra i miei colleghi a commentare il successo e ad anatomizzare il nuovo nato, non ho la soddisfazione di poter dire cose nuove soltanto coll’enumerare i pezzi applauditi e le chiamate al maestro, ma almeno so di certo ciò che vi ha di più dure