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1^ -ftjxrisro XXVII. KT- 4 7 24 NOVEMBRE 1872 SI PUBBLICA. OGNI DOMENICA Al presente numero è unito il N. 22 della Rivista Minima. LA SITUAZIONE (FRANCIA, GERMANIA, ITALIA, ECC.) Con questo titolo leggiamo nelfArZ Musical di Parigi un bell’articolo che ei dà uno specchio fedele dello stato presente della musica teatrale: Non è fuor di proposito fare l’inventario della ricchezza musicale, qualunque ne sia la provenienza, di quella, intendo, che tocca i teatri. Non sarà cosa lunga... disgraziatamente. Incominciamo da noi. In fatto di opere non sappiamo ciò che la Francia produca ogni anno; sappiamo solo quante ne rappresenta nella sua prima scena lirica. L’annata può riputarsi buona quando ne fa rappresentare una; se non che le annate non sono tutte buone, e ne passano di quelle che vivacchiano, sul vecchio repertorio senza che l’affìsso annunzi mai la minima novità. Un opera ogni anno non è evidentemente troppo per un paese come la Francia che ha uno dei primi Conservatori del mondo, molti membri dell’Istituto fra i suoi compositori in voga ed una miriade di musicisti, non tenendo conto dei premiati di Roma che vengono ogni anno incoronati. Supponendo che un opera sola riesca su tre, dovremmo tuttavia avere in trent’anni dieci opere che rimarrebbero nel repertorio. Dove son esse? Quanto all’Opéra-Comique la carestia è meno grave; ma quanti mesi d’una stagione teatrale passano senza che si annunzi mai un’opera nuova? E, se anche se ne annunziano, quante sono quelle che possono lottare colle vecchie opere che si denno riprodurre in mancanza di meglio? Non teniam conto delle operette, delle farse buffonesche, delle parodie, delle caricature; esse possono dilettare più o meno il pubblico, ma sarebbe cosa singolare classificarle fra le opere d’arte. Questo per la Francia. Passiamo alla Germania. I giornali speciali ne informano scrupolosamente di tutto ciò che apparisce in fatto di opere sceniche nell’ordine musicale. Orbene, tranne alcune rare opere, troppo rare per un paese vasto e produttivo qual’è la Germania; tranne le sedicenti epopee liriche di Riccardo Wagner, che non sempre vi ottengono l’accoglienza che i partigiani della sua musica vorrebbero far credere, i teatri di Vienna, di Berlino, di SALVATORE FARINA Monaco, di Weimar, ecc, sono alimentati d’ordinario da opere francesi od italiane. Non è raro — e fu cosi da tempo imme morabile — non è raro di vedere i compositori tedeschi disertare il loro paese (come fecero Gluck, Mozart, Meyerbeer e come ai dì nostri fece il signor De Flotow, e in cerchia meno elevata Offenbach, Litolff, ecc.) e venire a scrivere per le nostre scene musicali. E incontrastabile che se eglino trovassero miglior accoglienza in casa loro vi rimarrebbero. No, la Germania, si ha un gran dire, non è cosi feconda di compositori e specialmente di opere sceniche come si è preteso. La statistica ha rigori senza eguali, e l’argomentazione dei numeri tanto è brutale quanto è convincente. Non parleremo che per tenerle presenti, della Russia, dell’Inghilterra, della Spagna, del Belgio e del Portogallo, dove, se pure si produce qualche opera, avviene rarissimamente, e il più delle volte, quasi sempre, per non dir sempre addirittura, quelle composizioni muoiono là dove videro la luce, senza pur passare le frontiere del paese che le vide germinare. Rimane l’Italia. Quivi è ben altro. Vi si rappresentano su per giù, una quarantina d’opere nuove ogni anno. Certo non nascono tutte vitali; ed anche fra quelle che alla prima rappresentazione ottengono esito che si potrebbe credere splendido, e che procurano ai loro autori gran numero di applausi e di chiamate, poche ve n’han che vivano lungamente. Simili alle meteore luminose del cielo dei tropici, esse splendono d’una luce sfolgorante per poche ore e d’un subito spariscono dal firmamento dell’arte. Ma sta il fatto che.si è molto operosi dall’opposto versante delle Alpi e che l’Italia è senza contrasto più feconda delle altre nazioni in fatto d’opere liriche scritte per la scena. Convien dire inoltre che buona parte di codeste opere non arrivano fino a noi, per ragioni indipendenti dal loro merito. Se ben si ricercasse, se ne troverebber molte che potrebbero essere importate in Francia e vi sarebbero accolte con gran favore. Non mancano esempi. Noi ne abbiamo applaudito di quelle che avevano per oltre una dozzina d’anni fatto il giro di tutti i teatri della penisola, ma siam cosi fatti che ogni nome che ei è sconosciuto, foss’egli altrove popolarissimo, ei ispira diffidenza. Ignorando ciò che è scritto sulla bulletta della bottiglia, gustiamo di mala voglia e con una certa ripugnanza il liquore, pronti a giudicarlo anticipatamente con molta severità. Forse che gli Italiani sono i soli che scrivano oggidì il più gran numero d’opere per le scene musicali? No, ma non si può negare che eglino sono che ne fanno rappresentare il maggior numero. Perchè? Cerchiamo bene, e ne troveremo il motivo. Vi ha in ogni gran città d’Italia — e le gran città in Italia sono molte — uno o due gran teatri d’opera, e tal volta più. Il pubblico italiano non si accontenta cosi facilmente come facciamo noi al regime delle riproduzioni; le accetta, ma con moderazione, ed esige che ogni anno un teatro che s’intitola teatro dell’opera dia almeno un’opera nuova detta ordinariamente opera d’obbligo. La parola implica il dovere che l’impresario assuma