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CALE DI MILANO 366 GAZZETTA MUSI gna che il pubblico sappia anticipatamente che ha a fare con una celebrità. Nel caso contrario, va di mala voglia e quasi suo malgrado a giudicar un’esordiente, e non si risolve a riconoscerne i pregi che a poco a poco, e facendosi, come suol dirsi, tirar l’orecchio. Venga qui il miglior artista del mondo, senza esser preceduto da ritratti, da biografìe, da estratti di giornali esteri che ne vantano il valore, gli si presterà un’assai medioere attenzione. Annunziata una celebrità, non si troverà più un biglietto alla porta del teatro, dovesse esser pagato il triplo del prezzo consueto. Bisogna peraltro che la reclame non sia disgiunta dal vero merito. Quella non è valevole ove questa manchi; e conseguentemente, il merito senza la reclame non basta; nove volte su dieci non se ne tiene conto. E triste a dire, ma così è, — parlo, beninteso, di Parigi e del suo pubblico. E se ■mi sono un po’ dilungato, se ho fatto tutto quest’esordio, è stato per venir a parlar della nuova cantante del teatro Italiano, Emma Albani, che ha esordito or son pochi giorni nella Sonnambula e che vi ha ottenuto uno splendido successo. Costà la troppo favorevole prevenzione le sarebbe stata perniciosa, qui le ha giovato. Nulla, invero, è stato risparmiato per presentarla nel modo più lusinghiero al dilettantismo francese. In tutti i negozii di musica si vedevano da più settimane bellissimi ritratti della novell’artista (e senza volerle far torto, debbo confessar in onor del vero che erano esageratamente adulatorii); molti giornali pubblicarono le biografìe della giovine cantante, tx’oppo giovine perchè la sua vita fosse gremita di episodi! attraenti; abbiamo saputo cosi ov’è nata, da chi, quali paesi ha percorsi, sotto quali professori ha studiato, ove ha esordito e su quali altre scene ha cantato. I suoi veri maestri sono stati — almeno a quel che ho potuto leggere nei giornali che han parlato di lei — il Duprez in Francia ed il Lamperti in Milano. Manco male! Così ce n’è per tutti: la scuola francese non potrà respingerla come allieva d’un maestro italiano, nè l’italiana come allieva d’un maestro francese... Finalmente ha esordito. Ebbene, debbo convenire che non somiglia nè punto nè poco ai ritratti che pendevano nelle vetrine dei negozii di musica, ma che ha una bella e simpatica voce, d’un bel metallo, non voluminosa, ma gradevole e’d intonata. In quanto all’arte, dirò che essa possiede tutto quello che non si acquista con studio e con lavoro; invece, se manca di qualche cosa, potrà facilmente, se vuole, acquistarlo. Ha un sentire squisito, canta con anima; il che è già molto. Non le domandate troppe difficoltà, agilità, fioriture, ecc.; ve ne darà quanto basta, ma non a profusione. Bisogna che sia un po’ più sicura di sè stessa per avventurarsi nei rischi d’uno di quei punti coronati che sono il trionfo delle cantatrici d’agilità. Invece esegue alla perfezione un largo, un adagio, — dal che capirete agevolmente che sa fraseggiare, e che non si limita a cantare, come suonerebbe un organetto. Un po’ di tempo, un po’ di pratica, di studio, di lavoro e gorgheggierà come un usignuolo. Non bisogna dimenticare che ha appena ventitré anni, e che ha una lunga carriera innanzi a sè. Il successo la spronerà ad acquistar1 quel poco che le manca. Il pubblico le ha fatto una lusinghevole accoglienza. I plausi non le hanno mancato; nè le chiamate sul proscenio. Insomma ha esordito con molto onore. Ma per amor del cielo! che non si facciano paragoni. Ammiriamola come l’Albani; non andiamo a ricercar se può o no eclissar lo splendore di tal o tal altro astro del firmamento musicale. Le stelle son tante nel cielo; perchè fra noi quando ne sorge una, andiam cercando se è o no a discapito di un’altra stella? Per ciò che riguarda il tenore Caponi, dirò che il suo canto è dolce, soavissimo, un po’ troppo eguale, voglio dir quasi sempre lo stesso, qualunque sia il sentimento espresso dalle parole che canta; e l’artista crede rimediare a quest’inconveniente con l’azione drammatica. A furia d’esagerar questo pregio ne fa un difetto. Gesto, atteggiamento, movimento di fisonomia, non si stancano mai presso questo tenore. Non in ciò consiste il cantar con anima; bensì nell’inflessione della voce, nell’espressione che il cantante sa dare alle parole. Che farebbe di più un mimo?... Ma qui il pubblico è più desideroso di veder cantare che d’udire. Ho sentito con le mie orecchie uno dei vecchi frequentatori del Teatro Italiano, dire di Capoul:— «Ecco almeno un tenore che sente quel che canta; non resta là duro duro come un tenore italiano, tutto preoccupato della voce e poco o nulla dell’azione». E la prima volta che la parte del Conte è stata data ad un primo baritono. Il Verger l’ha benissimo cantata, e veramente sarebbe stato un torto il mettere un artista secondario accanto all’Albani ed a Capoul. Domani sera Un Ballo in maschera; ve ne parlerò nella prossima mia; ma per un’occhiata che ho data al cartello temo che non abbia a dirvene gran bene. L’Ombra di Flotow e stata ripresa MT Opéra Comique. In cambio di Maria Rose che sosteneva la parte principale, è la Galli-Marie che l’ha cantata. Meno bella della prima, ma artista più perita. Ed invece di Montjouze, il tenor Lhérie, che ha miglior figura dell’altro, ma non miglior voce. Su per giù la rappresentazione non è andata<male; ma non ha fatto dimenticare quella di tre anni or sono, quando il povero Meillet, cosi crudelmente rapito all’arte, faceva la parte del dottore Antonio. L’Eloisa ed Abelardo fa correre mezza Parigi alle Folies dramatiques. Dico mezza Parigi, perchè essendo una musica scritta su d’un libro un po’ troppo scabroso una buona metà della parte femminea della popolazione non ardisce andarci... benché ne muoia di voglia. Ed ai Bouffes Parisiens, la Timbale d’argent fa sempre sala piena, anche dopo che la signora Prelly ha preso la parte della signora Peschard. Che volete! Vi si ride tanto, e la musica é cosi graziosa! LONDRA, 29 ottobre. La compagnia Mapleson a Glascoio — La Lucca e. le tribù indiane. Mapleson con la sua compagnia ha traversato nuovamente il canale di S. Giorgio, e trovasi ora a Glascow nella Scozia, dove ha già riaperta la sua campagna. «Time is money» è un proverbio inglese, e Mapleson ne conosce perfettamente l’arcana potenza, per cui non è a meravigliare se sappia farne e ne faccia il debito conto. Come ha fatto a Dublino e a Belfast, esso ha cominciato la sua campagna di Glascow colla Lucrezia Borgia, l’unico cavai di battaglia che sia concesso di possedere al Campanini, il quale è fatto sempre l’attrazione principale della compagnia. Era naturale che Mapleson lo proteggesse delle sue grandi ali fino a che la prima scrittura almeno fosse compiuta, comprendendo questa la stagione di Londra e il giro provinciale. Nelle provincie il Campanini viaggia come una stella comparativamente nuova, e non è punto sorprendente udire che la sua comparsa sia salutata da teatri affollati. Questa sera ha luogo la Sonnambula, domani sera il Trovatore, giovedì il Flauto Magico, venerdì il Barbiere, e sabbato il Don Giovanni. Novità e attività vanno, come vedete, assieme. Da Nuova-York giunse notizia di un grazioso e singolare episodio della vita di Paolina Lucca, che trovasi in quella città. Desiderosa la celebre cantatrice di far conoscenza personale del tipo d’indiani americani recossi a visitare i Burnt-wood Tetons al Grand Central, visita che le fu restituita a East Fourteenthstreet. Gl’Indiani vestiti nei loro costumi fantastici recaronsi presso di lei; e come si deve, quando si è richiesti da una diva, cantarono una loro canzone. La banda era piuttosto numerosa; e nessuna voce possedeva che fosse stata allevata al Conservatorio di Milano. La musica però è un’arte della natura, e gl’Indiani sembrano non essere musicali meno degli altri popoli della terra. La loro canzone, non peccava punto di reminiscenze nè verdiane, nò meyerbeeriane, nè rossiniane; e riuscì nuovissima all’orecchio della brava diva. L’introduzione aveva del drammatico, coi suoi monosillabi e colle sue lente cadenze in hi yi ya yo o o! e il finale si conchiudeva con un grido generale e prolungato.