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GAZZETTA MUSICALE DI MILANO 349 ed il cattivo non manca. Gli artisti che eseguirono l’opera e specialmente il Savoia e l’Apolloni meritano diritto alla gratitudine del compositore. II teatro Nuovo spalancherà fra breve le sue porte con la Maria; l’impresario promette grandi cose e meriterebbe fortuna; ha scritturato tre discrete prime donne, tre tenori, tre baritoni e tre buffi, ma non so se gl’introiti possano pareggiare le spese. Il Beaucardé non ha ancora esordito al Politeama, e pare bisognerà attendere ancora, poiché quell’impresario è in cerca d’un basso, non avendo più voluto prestar l’opera sua egentilmente, come avea promesso, il De Passini. Abbiamo avuto invece i Due Foscari con la Pirola, col Parisotti e col Medica, che presentavasi per la prima volta al pubblico napolitano. La stupenda musica di Verdi fu alquanto sciupata; taccio della prima donna e del tenore che non potranno mai emergere in quest’opera che non si adatta ai loro mezzi, e vi dirò poche parole sul conto del baritono Medica, il quale fu molto applaudito; ha discreti mezzi, ma li rende un poco ingrati perchè appoggia assai alla gola i suoni, segnatamente quelli del registro medio. Non manca d’intelligenza ma è molto esagerato; allarga tutti i tempi, lega poco i suoni e li allunga più del bisogno. Dove si corregga di questi difetti il Medica, giovane come è, potrà essere tra non molto annoverato tra i valorosi artisti. Ferdinando Coletti, giovane pianista napolitano da tempo domiciliato a Roma, diede sere fa un’accademia al teatro dei Fiorentini, suonando negl’intermezzi degli atti il concerto di Hummel opera 85, un walzer di Chopin, e un suo componimento intitolato: Apparizioni fantastiche, capriccio-danza. Non mi dispiacque questo pezzo, grazioso e ben condotto; l’esecuzione poi del Coletti fu netta ed elegante. Siamo in sul finire d’ottobre, a mezzo novembre, dicesi, aprirassi il San Carlo, e non si è ancora pubblicato il prospetto di appalto. Il Municipio pertanto si è affrettato a nominare la Commissione teatrale che è risultata composta dai signori commendatore Lauro Rossi, avv. Giuseppe Martinelli, Giulio Cacaci, cav. Federigo Raffaele. Come vedete il commendatore Rossi fu riconfermato ed è una giustizia resa all’illustre maestro che nella scorsa stagione seppe tener bene a segno il Musella. Vedremo che saprà fare. Intanto, se è vero, quello che dicesi, si tratterebbe di ridare la Virginia del Mercadante, opera che fu applaudita da noi fin dal suo nascimento, ma che ora sarebbe un’imprudenza voler riprodurre. Una delle ragioni del gran successo che questa musica si ebbe fu lo stato miserando dell’autore, cieco, infermo. Ma la Virginia è una delle opere più scadenti dell’autore della Vestale e del Giuramento, e ripresentarla al nostro pubblico non mi pare conveniente. Il Trisolini fra giorni aprirà il teatro dei fratelli Grégoire; si rappresenteranno I Puritani eseguito dalla Repetto-Suardi, dal Fabbri, tenore, dal baritono Lenghi, con un basso il cui nome non ho bene a mente. Per debito di cronista debbo dirvi che il Musella si è recato a Roma, perchè avendo udito che il Bulterini era indisposto con un forte reuma, ha chiesto ed ottenuto da Jacovacci che l’egregio tenore fosse sciolto da ogni impegno al teatro Apollo, e poi lo condurrà seco perchè qui si ristabilisca completamente del reuma che lo tormenta. ^.CUTO. GENOVA, 16 ottobre. Teatro Paganini — Jone e il Num. 13 — Teatro Nazionale: Isabella d’Aragona — Teatro Doria: La Traviata. Dopo otto rappresentazioni del Faust e con sempre crescente favore, comparve sulle scene del teatro Paganini la Jone, spartito che, sino dal primo apparire nel 1858 su codesto massimo teatro, valse a stabilire rinomanza al suo autore. Di quest’opera che conta 14 anni di rigogliosa vita molto si disse, ed io stesso pochi mesi addietro e in queste stesse colonne ne tenni parola, per cui mi astengo dal ripetere il già detto. Se fossi meridionale e avessi i pregiudizi del volgo, dovrei certamente credere alla fatalità del num. 13, ed a giustificarmi varrebbe l’esito della Jone, che non fu come era desiderabile e desiderato, comparsa appunto nell’anzidetto teatro la sera del 13 andante. La Jone nel suo assieme ebbe un successo di stima, e forse avrebbe capitombolato se non fosse stata sorretta dall’inappuntabile esecuzione orchestrale, dovuta alla valentia del Corradi, il quale, non so se per effetto delle mie precedenti osservazioni, o per essere in campo più agevole, si moltiplicava in modo straordinario, per ben due volte l’orchestra fu applaudita. Se Furbo come cantante fosse stato di carattere diverso dal personaggio che rappresenta, le cose avrebbero proceduto a meraviglia, ma Burbo, come tradì Glauco, tradi anche i più tolleranti uditori. Del resto, applausi ne ebbe la Stoika (Nidia), la Viardi (Jone) ed il D’Antoni (Glauco) il quale dalla scena del delirio non trasse nessun effetto. Le decorazioni sono mediocri,, ma ciò che contribuì a togliere l’attenzione del pubblico dall’ultimo terzetto si fu il brutto scenario e il ridicolo meccanismo del Vesuvio in eruzione. Per terzo spartito è ormai certo che si riprodurrà il Romeo e Giulietta di Marchetti. Il Nazionale schiuse le porte iersera coll’Isabella d’Aragona del Pedrotti. L’autore della Fiorina e del Tutti in Maschera non avrebbe mai dovuto tralasciare dallo scrivere opere di genere buffo, per darsi al dramma serio; quantunque nell’Isabella d’Aragona vi sieno stupende pagine musicali, e pezzi magistrali, pure il complesso è freddo, e non interessa l’uditorio, per quanto accurata ne sia l’esecuzione. Come è riprodotto questa volta, tolte le incertezze, e cessati i timori panici d’una prima rappresentazione, questo lavoro avrà una vita tranquilla con interruzione di battimani alla Davidoff-Gerii al Manteco ed al Ferer. Non devo scordare il maestro Pomè, il quale dai pochi elementi di cui dispone seppe cavare eccellente partito. Le decorazioni sono ricche e buono il corpo di ballo. E allo studio il Corrado d’Altamura del Ricci. Chi fa le spese della stagione al Doria è Verdi; ora è la Traviata che attira molta gente, e questa Traviata meno traviata delle opere che la precedettero ha il merito d’impinguare la cassetta dell’impresa, col concorso della De Montelio, del Pifferi e del Bonacich. A giorni andrà in scena l’opera Manfredi del compianto Casilini. Della idea del maestro cav. Bossola d’aprire la sua sala per operette ad hoc non ne parlo, avendo veduto che nel precedente numero inseriste la notizia togliendola dalla Gazzetta di Genova. v rPARIGI. 16 ottobre. Teatro Italiano: Marta col tenore Capoul — Ateneo: VAlibi opera comica in tre atti, di G. Moinaux, musica di Adolfo Nibelle. Fin da due giorni prima della rappresentazione di Marta al teatro Italiano, che ebbe luogo sabato ultimo, non avreste trovato un palchetto o una scranna di platea a volerli pagare dieci volte il valore, tanta era la curiosità che aveva destata nel pubblico parigino il nome di Capoul, messo sul cartello. Comincierò dal dirvi che il giovine tenore francese aveva manifestata la sua ferma volontà di non far mettere il suo nome in più grandi lettere che quelli di tutti gli altri artisti, e la Direzione, un po’ suo malgrado, aveva rispettato questo desiderio. V’è noto che Capoul è veramente quel che chiamasi qui Venfant,-gâté del pubblico. Il suo nome sull’affisso, come quelli della Patti, della Nilsson, della Carvalho, basta a riempiere la sala; inoltre, essendo un