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L’APERTURA DEL TEATRO COLL’OPERA IN MUSICA NEI PAESI PICCOLI Non è molto ir nostro egregio collaboratore Biaggi richiamava in vita, traendolo da un vecchio giornale fiorentino in cui pareva morto, il seguente bellissimo articolo di quel sommo che fu Giuseppe Giusti. L’abbondanza di materia non ei permise mai di pubblicarlo prima d’ora. Nei paesi piccoli l’apertura del teatro coll’opera in musica è un grande avvenimento. L’opera in musica diventa necessaria più del pane nelle grandi città ove è urgentissimo il bisogno d’andar a letto più tardi che sia possibile onde non trovarsi all’uggia di levarsi presto la mattina e di vivere svegli tante ore; ma date occasione di stare alzata fino alla mezzanotte ad una popolazione che alle dieci soleva aver dormiti già i primi sonni e vedrete andar sottosopra ogni cosa. Difatti, appena corre voce che vengono i cosi detti virtuosi, tutti si mettono in convulsioni, si scatenano tutti. Chiacchiere, brighe, note in giro per le soscrizioni. Chi ha quattrini e coraggio di spendere, si firma e paga: chi non ne ha e ne vorrebbe avere, si firma e non paga; chi ne ha e non ne vuol dare, si propone di pagare in effettive picchiate di mani o in fischi effettivi, a seconda del merito e dell’umore. Eccoli: arrivano sul carro dei Poeti; facciamone la conoscenza. Ab Jbve principium musœ. L’impresario è per lo più un tribolato, un cantante smesso, un trovarobe rimandato per galantuomo, una cosa simile. Per non esser mangiato, e per seguitare a mangiare (cosa naturalissima) muta paese, e a seconda del vento e strisciandosi ai piedi di chi ha, o dispensando qualche biglietto gratis a chi non ha, tanto per mantenersi gli zimbelli al paretaio, s’assicura le spese e la facoltà di lasciare dei debiti. I virtuosi, parlando sompre col debito rispetto, sono, novantanove per cento, rifiuti del Giglio, della Piazza Vecchia e di Borgognissanti, arena di Stenterello (1). Presuntuosi come tutti i mezz’ingegnucci, coll’idea d’andare in paesi di Goti che non abbiano udito che il raglio dell’asino ( e notate bene che per molti di loro sarebbe sempre un essere avvezzati male ), se ai loro strilli, ai gallinacci, alle stecche false non vedono andare in deliquio tutti dalla platea alla piccionaia, chiamano ciuco il pubblico, e la piazza miserabile. Sta a vedere che or ora vor(1) Teatri fiorentini di terzo ordine. ranno essere incoronati come Moriani o la Malibran anco quelli che belano per le strade: Passa da casa e fistiami, Ti butterò lo spronchete! (1) ma cosi sia, giacché per questa brava gente non è ancora venuto il castigamatti, e poi sarebbero zuccherini se agli imbroglioni di fuori non si mettessero in ballo gli imbroglioni di dentro. Ogni luogo ha i suoi vagabondi; i lazzaroni, i fannulloni, gli arruotamuricciuoli, voci composte alla greca, delle quali abbonda la nostra lingua. Costoro, sempre morti di fame, si buttano sul primo cadavere che trovano, anche su quello d’un impresario scannato; anzi credo che gli sentano all’odore come i corvi. Uno di costoro dice: Io farò il bigliettinaio; un altro: Io che conosco tutti starò alla porta; un terzo: Io riscuoterò gli abbonamenti. Dice un proverbio che in casa dei ladri non ei si ruba; costoro ti fanno toccar con mano che questo proverbio è una scempiataggine. Bella cosa vedere al finestrino dei biglietti uno che rendendovi il resto vi dà tante monete volanti! Che effetto magico fa al rastrello un oste, o un materassaio col sufflè (2) e con quel gabbano a listoni ricamati dalle lumache! Stavvi Minosse orribilmente e ringhia, Esamina le colpe nell’entrata, Giudica e manda

Ma questo conoscitore delle peccata, questo giudice teatrale patisce d’un male proprio della carica, male che in una nuova nomenclatura si chiama accettazione di persone. Pazienza se gridasse abbonato quando passa a scapellotto qualche parente, il male è che per favorire gli amici fa passare per accademico stasera un sarto, domani sera un calzolaio, domani sera l’altra un magnano; vedete che porcheria! Ma la vera commedia è quando si tratta di accozzare i cori e l’orchestra. Gli improvvisatori di bettola, gli sbrattatola nottivaghi di stornelli, si arruolano per coristi; gente buona o cattiva, fioca o in voce, secondo il vino che beve. E la platea che in quegli eroi riconosce i compagni di bottega, gli saluta co’ nomi e co’ sopranomi, intersecando così la commedia alla musica, o ( per fare un paragone più nobile ) prendendo parte alla rappresentanza come soleva fare nei primi teatri la moltitudine greca e romana; tanto è vero che, per aver un’idea delle costumanze antiche bisogna ricercarle nel popolo. I professori filarmonici poi sono tutti quelli che a tempo avanzato hanno tentato d’imparare a soffiare in un flauto, a ponzare in un corno, a raschiare sulle quattro corde del prosciutto un arco impeciato con una buccia di limone. Ma che? Bimboni, Matteozzi, Giorgetti (3) non ei sono per nulla; e per te(1) Canzone popolare fiorentina. (2) Specie di cappello in uso molti anni or sono. (3) Professori di musica fiorentini.