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334 GAZZETTA MUSICALE DI MILANOfello, lia una voce potente; peccato che spesso sconfina e canta costantemente falso. ìNon disse a modo un recitativo solo, ma l’aria finale fu cantata da lei egregiamente. Il tenore Parisotti accentò bene molte frasi, segnatamente la celebre del terzetto nel secondo atto. Gli {altri avrebbero ben volentieri mandato tutto a soqquadro. A questo teatro parlasi ora di dare I Lombardi; verrebbe, secondo quel che dicono il Bancardi, ciò che mi meraviglia molto perchè l’ex tenore cantò da baritono per una sola sera e poi non potè andare innanzi. 1 due Forzati all’ex teatro Goldoni sono andati benino; la musica è del maestro Mario Aspa, fecondo, ma poco originale compositore dell’epoca che le opere improvvisavansi. Ora questo spartito è ricoperto tutto di patina, direbbe un pittore, e non è pei tempi che corrono. Immaginate che il punto più drammatico dell’opera è accompagnato con certi scherzetti di violini! Fra gli esecutori v’è una prima donna Rosa. La rosa è la regina d’ogni fiore, ma la Rosa non è la regina delle prime donne, e per dippiù cantò m ’chiave non sua, chè ha voce di mezzo-soprano, e la tessitura della sua parte è di soprano sfogato. Il tenore del Giudice ha mezzi ingrati, ma dimostra molto zelo, e il buffo Francesco Savoja è una cattiva copia di un buon originale, l’egregio suo genitore Pasquale. Qui sarebbe finita questa corrispondenza, ma poiché qualche amico ch’io stimo molto interrogavami per conoscere se, nell’ultimo mio corriere parlando delle scuole di pianoforte, avessi avuto deliberato proposito di confondere in un solo fascio le due esistenti nel nostro Conservatorio, debbo ancora scrivere perchè non vorrei che questo dubbio balenasse per la mente di molti. Gli è perciò che a dileguarlo replico che io volli intendere solamente di fare un confronto fra la scuola del Coop e quella del Russo, perciocché quella finora non è stata fruttifera in bene, ed in cinque o sei anni non produsse alcun allievo segnalato, mentre questa mise fuori eccellenti artisti, fra’ quali il Palumbo, il Cutola che mori, il Simonetti, e, se mal non m’appongo, il De-Crescenzo. E se quel parallelo feci fu solamente perchè la scuola del Russo fu trattata in modo indegno da uno che ignora di cose musicali, e tanto più rimpiangeva quel procedere in quanto che per fare lode sperticata ad una scuola si era voluto malmenarne un’altra, e scrivere quelle lodi a proposito di un saggio fatto a porte chiuse, alla presenza solamente de’ componenti il consiglio direttivo del Collegio. Era ben fatto ciò? Mi dorrebbe pertanto se le mie parole non fossero state precise interpreti del mio concetto, quindi mi vedo costretto a dichiarare che non devo essere confusa la scuola del Coop con quella del Cesi, le due del nostro Conservatorio. Questa seconda è stata sempre produttiva di egregi pianisti fra’ quali il Caracciolo, il Gonzales, il Colelli ed altri artisti sicuri del fatto loro, e qui molto stimati. Ed a proposito del Collegio nostro, ho una nuova da darvi; trattasi di convertirlo da convitto in liceo. Ne son lietissimo, tanto più che io fui uno de’ più ardenti fautori di questa riforma, e nel Congresso musicale che si tenne qui, visto che taluni, e pochi, osteggiavano questo disegno, ebbi a sciamare poco parlamentarmente è vero, che potevano misconoscere i vantaggi di questo mutamento soltanto coloro che avevano interesse a mandare innanzi il convitto o chi non vedea più in là del proprio naso. La ragione perchè il Ressi non si diede prima pensiero di questa giusta riforma, voi la sapete già, chè non era in vigore, il nuovo regolamento. Ora l’illustre Direttore diede facoltà all’avvocato Persico di leggere tutte le disposizioni ereditarie, e salvo in una, non si trovò nelle altre il precetto di dar da mangiare, da vestire e l’alloggio agli allievi. Ora anche posto che gli eredi ultimi di chi dispose l’assegno annuo di L. 42 50, pari a ducati dieci, purché in certi determinati di dell’anno si desse un piatto ai poveri allievi, revocassero quel donativo, il Collegio non si chiuderebbe per questo. Chè, sappiatelo pure, una delle ragioni che i fautori del Convitto facevano valere, era appunto questa, che il Collegio non poteva più tenersi in piedi, tosto che gli allievi fossero esterni. Noi dalla diligente operosità del Comm. Rossi tutto ora attendiamo di bene, e speriamo che tosto il desiderio de’più caldi amici dell’arte possa essere un fatto compiuto (1). ^.CUTO. GENOVA, 2 ottobre. Teatro Doria — Roberto di Normandia — Teatro Paganini — Ripresa del F aust di Gounod. Le novità si succedono e si rassomigliano, e quasi quasi volendo parlare dei cosidetti artisti del teatro Doria che sabbato sera ( 28 settembre ) rappresentarono l’opera Roberto di Normandia dei maestri Denina e Cordiali, potrei dire alterando il verso del sommo poeta: «Diversi urli, orribili stonate, eco., èco.» Povero, mingherlino e sragionato è il libretto di un certo Toussaint, il quale deve molto ringraziare tutti i santi se il suo parto ebbe l’onore della stampa. Quantunque l’autore in una prefazione chieda scusa d’aver trattato l’argomento stesso che il Meyerbeer musicò così felicemente, pur si condanna da sè, nel conchiudere che egli lasciando il fantastico volle attenersi al vero, quasiché vero ei fosse. Della musica di questo dramma in quattro atti e otto quadri meglio sarebbe il tacere, chè troppo avrei a dire per compensarmi delle continue offese acustiche sofferte per quattro ore. V’ha semplicità, e forse troppa; melodia plateale e infantile, controsensi fonetici e scorgesi persino la nessuna conoscenza degli effetti scenici, perocché l’orchestra è sempre fragorosa quando cantano soprano o tenore, ed il contrario avviene nei corali e nei pezzi d’assieme. L’esecuzione fu infelice e il pubblico, paziente durante tutta l’opera, alla fine fece giustizia. Con tutto ciò si ripetè e si ripeterà ancora questo ridicolo Roberto di Normandia, il quale appare ancor più deforme e sconcio, dopo la riproduzione, per quanto meschina, della povera Norma. Ad ogni modo i buonissimi frequentatori del Doria, contenti come una pasqua, si assoggetteranno ad assistere alle ulteriori parodie della Traviata e del Trovatore, già annunciate, e continueranno ad andare in visibilio alle danze grottesche, ma abbastanza bene eseguite, della Barbisan. Deposto lo scudiscio e il broncio contro i profanatori dell’arte, il critico riprende la sua serenità per dire del Faust di Gounod, andato in iscena domenica sera (29 settembre) a quell’elegante e vasto ritrovo che è il Paganini. Non vi parlerò dello spartito chè su queste stesse colonne ne ho già discorso più volte, e perciò non accennerò che alla esecuzione, quantunque sulla musica del Faust e sulla maniera di Gounod inesauribile sarebbe l’argomento. Mi perdoni il mio amico maestro Grimaldi, che concertò lo spartito, se gli faccio carico d’aver precipitato un poco troppo, di non aver curato abbastanza i tempi, studiando più attento e la situazione drammatica e l’intenzione dell’autore. Da questa precipitazione derivò che l’orchestra non potè cosi marcare quei chiari e scuri, quegli effetti armonici, quella riproduzione degli umani sentimenti che altre volte nella stessa sala abbiamo potuto ammirare quando la bacchetta di Mariani magnetizzava professori e cantanti. Nè per questo ritengo che il direttore d’orchestra maestro Corradi mi farà perciò il broncio, ma conviene che egli confessi che ho ragione, e che l’abitudine di dirigere balli, reca talvolta nocumento nella direzione del? orchestra in drammi musicali. Chi tiene la bacchetta della direzione deve occuparsi di tutti gli elementi che ha sotto di sè, affinchè lutti concorrano allo scopo della felice riproduzione dello spartito, e non guardare solamente le carte musicali che sono sul leggìo. Tenendo fìsso lo sguardo sulle note, non si può esser pronti ad aiutare l’artista sul palcoscenico, quando per una combinazione qualunque tentenni. (1) Contrariamente all’opinione del nostro egregio corrispondente, crediamo che l’abolizione del convitto sarà cosa nocevolissima. La Direzione.