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GAZZETTA MUSICALE DI MILANO 319 1200 soldati suonatori, al bagliore di 400 torce a vento, e di una lunga catena di fiaccole intrecciate, al tempo segnato da una torcia a vento vibrata per l’aria dal maestro di cappella in capo delle bande musicali prussiane, fecero echeggiare un’area vastissima dinanzi al castello reale, al cospetto di ospiti augusti, di principi, d’ogni maniera, di ministri diplomatici d’ogni valore e di popolo numerosissimo, accorso d’ogni parte a godere dello spettacolo, che per molti anzi per troppi spettatori doveva tornare assai funesto. Ma io non intendo usurpare l’ufficio del mio collega di Berlino, col tratteggiarvi più oltre le impressioni da me subite durante il convegno degl’imperatori. La parte che vi ebbe la musica non fu la meno importante. Anch’essa contribuì colle sue armonie a quello spirito di conciliazione e di pace il quale può considerarsi come il risultato più soddisfacente del convegno imperiale. I pezzi che vi furono eseguiti in ogni pubblica ed intima solennità furono tutti pezzi di conciliazione. Mio intendimento era solo di dirvi che se non vi scrissi fin ora, è da attribuire alla mia assenza, e che se vivo ancora non è certamente colpa degli spettabili organi dell’ordine pubblico berlinese. Ripatriato, trovai la vita musicale e teatrale di Vienna in pieno fervore di attività. Tutti i teatri inaugurarono le loro rappresentazioni sotto auspici più o meno promettenti; tutti però allestiti per la stagione d’autunno e per quella d’inverno, senza contare che tutti i direttori sono in faccenda a preparare o a far preparare spettacoli degni dell’Esposizione universale. Anche gl’impresari italiani, quali i signori Merelli, Franchetti e forse altri ancora, s’affrettarono a presentare i loro cartelloni e le rispettive scritture per la grande stagione della cuccagna mondiale, e noi siamo non poco curiosi di vedere quali saranno i manicaretti che codesti signori ei verranno ad approntare. Posso anzi tratto assicurarli, che se verranno non forniti a dovere di ottima e fresca musica italiana e di egregi artisti, l’impresa loro sarà tempo e denaro sprecato. Oramai qui siamo abituati a cibi o assai saporiti o assai piccanti, e ad ammanircene di stantii, gli è andare a rotoli. Il nostro massimo teatro dell’opera imperiale continua la sua missione di educare e di dilettare col magistero delle armonie. La musica italiana rientra in moltissima parte e non passano quattro sere, senza ei si porga l’occasione desiderata di un’opera italiana più o meno moderna. In mezzo a tutta la ressa di far trionfare la musica dell’avvenire, crescendole proseliti d’ogni attitudine, le melodie italiane non hanno di che temere una proscrizione; e quando alla riproduzione di questo genere nuovo e poco compreso si diradano le file degli uditori, ed una forma particolare di stanchezza distrae gli animi degli astanti, allora il più nobile ripiego è pronto alla mano: si ricorre a qualche operà italiana, la quale non manca all’effetto voluto. Desidero che così segua ancora. Gli altri teatri cancaneggiano. Quello della Wieden, diretto ora dalla cantatrice signorina Geistinger, raccoglie i suoi vecchi ammiratori, i quali lasciati in massima parte gli ozi campestri, ritornano ad applaudire e vezzeggiare questa figlia del capriccio, rinforzata e meglio intonata dopo il riposo dell’estate passato alle acque. Alla Wieden siamo ancora ali’Indigo ed ai 40 masnadieri, operetta dello Strauss, la quale co’ suoi ritmi ballabili ricorda continuamente la famiglia dei celebri walzeristi ed elettrizza gli umori vitali di quel pubblico, il quale ne va ghiotto. E così di spettacolo in spettacolo la leggerezza e la spensieratezza vi troveranno alimento. Non mi domandate quanto vi guadagnino l’arte ed il buon gusto, perchè di simili gozzoviglie nè arte nè buon gusto possono giovarsi gran fatto. Questa musica è fatta per chi ha nervi guasti e vuol galvanizzarli; è un fortunato tentativo per arricchire. Ed a galvanizzar ed arricchire è già venuto l’Offenbach col suo Corsair noir, la cui prima rappresentazione è annunziata per venerdì prossimo, 20 corr., anche alla Wieden. Affinché poi il mondo abbia pronta, estesa, particolareggiata relazione di questo novello parto della sua facilissima musa, il maestro compositore ei capitò addosso con una caterva di relatori giornalisti, i quali canteranno in tutti i toni i suoi inarrivabili successi. Lo accompagnano il Willemessant del Figaro, il Tarbé dello Sport. l’Aubiquet del Moniteur, il Blavet della Liberté, il de Gransey de X Evénement, Gaston Mitchelt del Paris-Journal, il Gille anche del Figaro, e si aspettano per la medesima solenne ricorrenza artistica il Bertrand direttore del^p Variétés di Parigi, ed il Wolf altro appendicista del Figaro. È tutta una legione di panegiristi, di ammiratori, di amici. Potete ben credere che sapranno fare il loro dovere. Nè Rossini, nè Verdi, nè Bellini, nè Donizetti ebbero mai cotanto onore. Forse gli è per questo che le creazioni del loro genio resteranno; e quelle dell’Offenbach? chi potrebbe mai asserirlo? Il teatro Carlo colla famosa Gallmeyer è pressò a poco allo stesso livello. La musica dell’Offenbach vi fa le spese ed all’infuori di queste operette non troviamo nel repertorio novità alcunq la quale possa interessare. Dicono che è la sola maniera di far quattrini; sarà, ma le ragioni dell’arte non ei hanno nulla che fare ed il meglio che io possa dirne si è tacere. In fatti havvi produzione più insipida di quella Principessa di Trebisonda dell’Offenbach, che per tre lunghi atti va sfoggiando le sue improntitudini condite da una musica più proterva e più provocante? Le insulsaggini più scipite, perchè presentate in abito discinto, piacciono ai nostri frequentatori di borsa ed ai loro commessi, i quali vi accorrono colle loro belle, ed incoraggiano un genere di speculazione, che è ben lontana dal voler cessare. Anche il teatro Strampfer non è migliore. A solleticare il gusto del suo pubblico, il direttore fe’acquisto a Berlino della signorina Stelle, la quale da quel Wallner portò tra noi le cascaggini e le mollezze dei ritornelli berlinesi. Il suo accento e la sua posa, comunque nordici, piacquero e quando la novella sirena si sarà addimesticata coi capricci della nostra piazza, crescerà concorrenza alle Geistinger ed alle Gallmeyer, di cui la vostra buona stella vi scampi di allevare delle imitatrici. La nostra capitale si abbellì di un nuovo teatro drammatico a propositi seri. È quello così detto della città, costruito coi denari di una Società di azionisti, e quel che più vale, diretto dal drammaturgo signor Lanbe, per molti anni direttore del drammatico teatro di corte. L’inaugurazione n’ebbe luogo sabato scorso e fu un vero avvenimento nel mondo teatrale ed artistico. Quanto di più eletto alberga la nostra città convenne nel nuovo tempio dell’arte, il quale se non nell’esteriore, certo nell’interno, e per l’eleganza e l’armonia dei colori, per la piacevole disposizione delle parti, soddisfa pienamente alle esigenze odierne. Dopo un prologo d’occasione della Betty Paoli, fu dato il Demetrio, frammento dello Schiller, ridotto a tragedia di 5 atti dal direttore poeta. Il successo corrispose alla festa. Al teatro drammatico di corte spetta ora di vincere questa pericolosa con. coerenza. TEATRI ROVEREDO- In data del 16 ei pervenne il seguente telegramma: Ieri sera Forza Festino furore; De Giuli-Borsi fanatismo, così compagni, ripetuto rataplan. E un nostro corrispondente ei scrive: La Forza del Destino ebbe esito eccellente; la De Giuli è artista corretta, accurata ed elegante, e cantò stupendamente la sua parte. Junca fu un Padre Guardiano poderoso, la Corsi una brava Preziosilla, specialmente nel rataplan, che dovette ripetere; un po’fredduccia però nella scena. Ottimo il Pandolfini, che voi conoscete, per potenza di voce e per vigoria d’artista. Bene anche il tenore Prudenza che trovò accenti appassionati; Viganotti fu simpaticissimo nella parte di Fra Melitene. Tutti i pezzi furono applauditi; destarono entusiasmo l’aria di Don Carlo, la ballata dello Studente, il rataplan, le romanze del soprano, la ballata Viva la guerra, il duetto fra soprano e basso, il giuramento e la romanza del tenore. I cori e l’orchestra bene. Insomma è un ottimo spettacolo, a cui nuoce solo la piccolezza del teatro e la ridevole messa in scena. NAPOLI. In data del 21 ricevemmo il seguente telegramma: «Ovazioni splendidissime, fiori, Laura Sains, serata addio Lucia al Poli teama. Bis valzer Juanita».