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314 GAZZETTA MUSICALE DI MILANO non di meno a Lovanio è ancor viva la memoria dei rigori coi quali Tiby trattava il suo allievo. Ei lo faceva studiare da mane a sera, tanto che i vicini avevano compassione del giovinetto e più d’una volta, il fornaio, ch’era di rimpetto al collegio gli mandò delle focaccie e dei dolci per consolarlo d’un’intiera giornata di reclusione. Il suo unico passatempo consisteva nel fare una passeggiata col tutore e nell’andar a far la parte del 2.° violino alle tribune di S. Quintino e di S. Michele. Ciò non di meno a questo rigorismo era unito il più paterno affetto, ed il signor Tiby, conoscendo l’eletto carattere del suo pupillo, non aveva voluto se non prepararlo ruvidamente alla carriera europea, che di già prevedeva dover egli percorrere. All’età di nove o dieci anni, Carlo de Bériot fu un giorno condotto a Brusselle dal violinista Rohberechts, ingegno di primo ordine, ed amico di Viotti. Robberechts fu maravigliato di lui, dell’impronta di originalità che si palesava nel modo col quale maneggiava l’istrumento, della precisione e della purezza del suo suono. Fece le sue felicitazioni all’amico Tiby, l’impegnò a proseguire nel suo metodo d’insegnamento, e promise ch’egli presenterebbe più tardi Carlo de Bériot all’illustre Viotti a Parigi. Rohberechts mantenne la parola. Allorché Carlo de Bériot, all’età di 19 anni, suonò per la prima volta dinanzi a Viotti, questo maestro gli disse: «Ascoltate tutti gli uomini d’ingegno; fate profitto di tutto, ma non imitate alcuno». Queste parole formavano il più bell’elogio che il giovane di Lovanio potesse ricevere. Esse profetizzavano ch’egli diverrebbe un giorno capo scuola. Così avvenne infatti, poiché, pochi anni dopo, de Bériot era riconosciuto quale creatore d’un genere nuovo tanto come compositore che come virtuoso. Saremo brevi sugli studi che de Bériot fece a Parigi e sui suoi viaggi artistici. Tutta l’Europa imparò a conoscerlo, lo applaudì ed adottò il suo sistema. Il re dei Paesi Bassi lo nominò suo primo violinista solista e gli assicurò una pensione vitalizia di 2000 fiorini. Ma fin dai primi momenti della rivoluzione belga, il nostro artista senti battere nel suo cuore la fibra del patriotisme e la speranza della libertà e dell’indipendenza. Si entusiasmò del movimento, rinunciò alla pensione del re d’Olanda, e compose anche immediatamente un canto nazionale per il Belgio rigenerato. Nel 1843, il signor Fétis propose al re Leopoldo di vincolarlo definitivamente al suolo natio affidandogli l’incarico di formare una classe di perfezionamento della scuola di violino, posizione senza precedenti e che de Bériof accettò. Era rialzare la rinomanza del paese e far accorrere a Brusselle j più buoni allievi di tutte le parti del mondo. Del resto, già a questo tempo e dopo la morte della Malibran, Carlo de Bériot aveva fissato la sua dimora a Brusselle ed aveva rinunziato a farsi sentire in pubblico. Insegnò al conservatorio per nove anni, e non finiremmo più se volessimo nominare tutti i violinisti, oggi celebri, che vennero in allora a consultarlo. Nel 1832, una paralisia del nervo ottico lo costrinse a ritirarsi dall’insegnamento. Negli ultimi anni di sua vita si occupò esclusivamente di composizione e dell’indirizzo da darsi agli studi di suo figlio, il quale divenne ben presto, e n’ebbe il merito, il collaboratore di suo padre. Carlo de Bériot era esimio artista in tutta la forza della parola. La delicatezza, la dolcezza, il commovente, il pittoresco, la forza, ma la forza vera senza ruvidezza, su tutto e sempre, l’eleganza erano le doti della sua inspirazione musicale. Egli era poeta con tutti i doni di siffatta vocazione. Traduceva egualmente bene in musica e le voci della natura e gli slanci del cuore umano, e fu per così dire il Lamartine della scuola musicale belga. Scrisse un’opera senza parole, nella quale non vi ha scena che non rifletta una situazione poeticamente nuova e non esprima accenti, che non hanno bisogno di essere adorni di parole. La sua melodia è semplice e fresca. Essa è facile come tutte quelle dei discepoli di Mozart. — De Bériot indovinava istintivamente gli svolgimenti scientifici dei suoi temi e quando l’età e la maturità di mente aggiunsero il loro tributo di erudizione ai felici doni che la natura gli aveva accordato, i suoi concetti divennero grandiosi, più sminuzzati, meglio studiati ed i capi lavori abbondarono sotto la sua penna. Le sue ultime sei arie variate e i suoi concerti costituiscono una vera scala graduata nelle leggi del bello, poiché più si odono e più si ammirano, ed hanno quasi tutti particolare impronta e realizzano di tal guisa, nell’opera generale del maestro, la varietà nell’unità. Sovra tutto è in Lafont che de Bériot scopri i principii d’una nuova, scuola. Non si può dire che sia la scuola della virtuosità, giacché nell’udire Paganini, de Bériot aveva preveduti gli sbalzi del genere; ma quella vi occupa un bel posto, e contribuì, non si può negare, alla fama del nostro compatriota. Come didattico, de Bériot non fu inferiore ai suoi pregi di compositore e di esecutore, la qual cosa diffìcilmente si riscontra in un solo ingegno. Il suo metodo di violino è classico in Europa e non vi ha violinista di polso, che non ne abbia studiato a fondo il sistema. Andrò più lungi e dirò che la scuola di violoncello francese, belga ed italiana deriva direttamente da quella del maestro violinista belga, poiché non ha battuta la sua splendida strada di progresso se non procedendo per analogia. Le proporzioni di questo lavoro non mi permettono di sviluppare questo punto... esso appartiene alla storia della musica istrumentale. I numerosi viaggi artistici fatti da Carlo de Bériot colla più gran cantante di questo secolo, Maria Felicita Garcia, l’iniziarono in tutto che hanno di fino, di delicato, di graduato e di veramente bello i canti italiano, francese e spagnuolo. L’aria di Brindisi, da lui composta per la Malibran, è un capo lavoro del genere ed è ancora attualmente l’aria di bravura delle migliori prime donne dei nostri tempi.