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GAZZETTA MUSICALE DI MILANO 309 sistere alle smodate ed assordanti grida che per ben tre ore le batterono in breccia. La Rocchi, che cantò già al Rossini, ritorna da Salerno ove in certe opere piacque, ma con una voce esile, non uguale e non iscompagnata da un certo ronzio che si direbbe stanchezza; di rado in tutta la sera addimostrò aggiustatezza di intonazione e di esecuzione. Il baritono Corti cantò quasi sempre fra il silenzio generale, e a dir vero, io non so perchè un artista fornito di voce omogenea aspiri ad esser chiamato X Alcide de’ baritoni. Egli cantò tutto, e fìnanco i recitativi, con voce sì piena ed aperta e con tale una forza di azione da trovarsi varie volte lanciato lungi dalla intonazione. La Basso, contralto, e il basso Giorgi fecero il peggio che potevano, e l’orchestra assai malamente diretta dal Donadio, e i cori compirono l’opera demolitrice dei cantanti. Una sola eccezione può farsi: il tenore Parisotti andò alquanto bene, ed io vo’ congratularmi con esso lui e per la buona volontà che guidollo e per la giustezza di esecuzione. E dopo il Trovatore, alla distanza di solo otto di, avemmo quella Lucia di Lammermoor ch’è pur sempre piena di attrattive e per la divina melodia che contiene e pel sublime colorito generale. I capilavori restano; ma gli artisti grandi dileguansi ogni di più, e le vesti di Lucia e di Edgardo non possono essere facilmente indossate da tutti. Io non pretendo che ogni Lucia sia una Tacchinardi-Persiani, ma un’artista coscienziosa deùe misurare i propri mezzi, le proprie forze, e scrupolosamente pesare se la natura e l’arte porganle la probabilità di avvicinarsi, per quanto è possibile, a quella perfezione che la primitiva esecuzione rese proverbiale. Quando l’artista riconosca non aver mezzi idonei a rappresentare degnamente e con probabilità di buon successo una parte qualunque, non dee piegarsi ad eseguirla, e renderà un servizio segnalato all’arte, salvando in pari tempo l’onore proprio, la propria fama. La Sainz Laura, prima donna che ora ha cantato in tutt’i nostri teatri, tranne al S. Carlo e al Rossini, volle presentarsi al Politeama nel capolavoro del Donizetti comunque i suoi mezzi vocali fossero in opposizione con la parte di Lucia. In questo capolavoro del Donizetti tutti i canti affidati alla donna richieggono delicatezza di esecuzione ed agilità, e la Sainz non è destinata a questo genere di canto, nel quale deve necessariamente rendersi più sensibile la sua tendenza a calare. Questo difetto fu noto maggiormente nel larghetto dell’aria, ove i clarinetti ed i flauti, procedendo in terza, e talvolta in sesta con la voce, rendono ancora più autentiche le sue inesattezze d’intonazione, e ciò ebbi anco a notare sulla frase maggiore del largo del duetto finale del l.° atto, ove la voce del soprano avvicendasi e si unisce con quella del tenore. La signora Sainz attengasi al genere semiserio e comico e potrà non infruttuosamente aspirare ad un posto segnalato. Gli altri andarono malissimo; il tenore Castelli ha voce priva di ogni grazia, perchè emessa senz’arte, e la sua pronunzia non è nè chiara, nè corretta, e la sua azione è impacciata. Il baritono Corti fece profonde amputazioni alla sua parte riducendola alle semplici proporzioni di un’aria che nè pure cantò bene. Insomma questi spettacoli dati al Politeama non soddisfano alcuno, e quel che è più, bisogna ben pagare, perchè i biglietti di poltrona costano tre lire e una lira e mezzo i posti di platea. Pagasi altrettanto al Mercadante, ma là si odono valorosissimi artisti, v’è una orchestra di primo ordine, e numerosi e ben disciplinate masse vocali. A proposito del Mercadante la Linda più non si eseguirà. Il Trisolini sperava di potere giovarsi dell’opera del Colonnese, ma questi non credè accettare la parte di Antonio. E poiché trovomi a parlare del Mercadante permettete che facciami a dileguare un dubbio. Fui il primo che scrissi sopra un cattivo componimento del Cirillo intitolato II Canarino, e, nel palesare le impressioni ricevutene, dissi che l’aveva ascoltato altra volta, e, se la memoria non mi tradiva, in una delle tornate del Circolo Bonamici. Or avendo letto su qualche giornale di costà che questo Canarino fosse lavoro recente del Cirillo e scritto appositamente per la famosa Carlotta Patti, sono nell’obbligo di sgannare que’troppo creduli compilatori. Il Canarino è lavoro scritto nel 1865: trascrivo, vedete, dal programma della Tornata VI dell’anno III del Circolo Bonamici, tenutasi qui il giorno 15 giugno 1865: «Il Canarino: Polka cantabile di Vincenzo Cirillo, eseguito dalla signorina Norina d’Ovidio, ed accompagnata al pianoforte dal suo maestro Gaetano Valenza.» (Vedasi il Monitore del Circolo Bonamici, Anno I, N. 24). Al Collegio di Musica sonosi date tre o quattro accademie di quegli allievi per farle ascoltare solamente ai nuovi componenti il governo del regio Stabilimento. Ignoro (pali fossero le ragioni che guidarono il preside degli studi, l’egregio com. Rossi, a dannare all’ostracismo e il pubblico ed i rappresentanti della stampa. Non posso fare di meno di deplorare le dicerie cui diedero luogo. Quello che sembrami più strano è che mentre nessuno potè penetrare nelle aule di S. Pietro a Maiella, spifferaronsi i più strani giudizii sulle gazzette politiche. Un cronista rimpiange la decadenza della scuola di composizione e tutt’i danni addebita al Serrao, che accusa di ignoranza completa di pedagogia, un altro trova che la scuola di canto non esiste, un ultimo che l’ideale della scuola, quella che oggi basta solamente ad illustrare il collegio nostro, che fu altravolta gloria italiana, è la scuola di pianoforte, però solamente quella del Coop, e ti spiffera che questo insegnante ha dovuto rifare il mondo, perchè prima di lui nel Collegio esisteva una oscena scuola di pianoforte, e questa erasi abbarbicata dopo la morte del Lanza. Se chi è a capo del Collegio di musica avesse ordinato che i saggi degli alunni, anziché dati alla presenza della Commissione, fossero eseguiti pubblicamente, quegli articoletti non si sarebbero scritti, e il direttor Rossi si sarebbe tolta la briga di rispondere al compilatore del giornale di Napoli dichiarando che idonee e corrispondenti al progresso dei tempi sono tutte le classi d’insegnamento del nostro musicale istituto, e non già alcuna solamente. E però, siccome le mie parole, dice il Rossi, non avrebbero nessun valore senza prove di fatto, mi lusingo perciò che col nuovo anno scolastico saranno offerti al pubblico periodici saggi tecnici, i quali offriranno il mezzo di giudicare su dati positivi il valore degl’insegnanti e il progresso degl’insegnati. Ecco pertanto una lettera che quasi avvalora un dubbio; in- fatti ognuno può dire benissimo: promettendo un lieto avvenire, viene il Rossi ad affermare che il presente sia lieto del pari? Un nome, come il Rossi, dotto musicista, esperimentato insegnante, da ventun’anno dirigente un istituto musicale, se crede combattere le asserzioni d’un cronista, o deve provare che le innovazioni, che questi dice apportate alla scuola di contrappunto, non sieno criteri affatto particolari del Serrao, o se pilr fossero, avrebbe dovuto dimostrare che il metodo adottato dal Serrao, contrario a quello dei valenti maestri che nel passato diressero e sostennero un insegnamento siffatto, è all’altezza dei tempi e perchè. Ad ogni modo io non avrei scritto questa lettera che, mel permetta l’egregio direttore, non fa che quasi confermare le dicerie sparse sul paese. A me pare proprio curioso che il cronista d’un giornale politico debba mettersi in cattedra e parlar di scuola di contrappunto, di canto e di pianoforte; qua nessun direttore intende affidare a persone competenti la parte musicale ed il nostro paese., che pur vuole, perpetuando, mi duole il dirlo, una tradizione ora del tutto insistente, dirsi musicale per eccellenza, continua a confondere l’orpello coll’oro, e primi a far traviare il gusto sono i giornali politici. Leggete prodigiose certe meschine esecuzioni, splendide mattinate periodiche, alquante infelici accademiuzze promosse da certi trovatori di scolari, pessima la scuola di contrappunto del Serrao, oscena quella che fece seguito alla scuola del Lanza. Ma è serio tuttociò? a me fa venire, ve lo confesso, i rossori sul volto. Ma che diamine! pur queste asserzioni mostrano chiaramente che i nostri cronisti scrivono sotto dettato o d’un qual