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GAZZETTA MUSICALE DI MILANO 299 — Voi desiderereste qualche spiegazione intorno a questo strumento? — Certo. — Non posso darne alcuna. Non ho ancora potuto correggere il difetto del fa e del si b acuto e sovracuto che escono alquanto stonati; e fino a tanto che non mi riesca di vincerla, il pubblico non saprà nulla del mio flauto. Chè se non mi riuscisse, le fiamme consumeranno la mia fatica, il cui segreto, dovuto a dieci anni di esperimenti non interrotti, morrà meco. La mia determinazione è irrevocabile.»

Non è molto abbiamo annunziato la morte del decano degli organisti, il signor Enjalbert, che fini la vita a 92 anni. Questo esempio di longevità ha fatto fare ad un giornale le seguenti riflessioni: Osserviamo, dice la Presse, di passaggio quanti esempi di longevità ha dato la musica negli ultimi tempi. Auber l’immortale autore della Muta, è morto a 87 anni; Fétis, il dotto archeologo musicale, a 86. Avrebbe ella, la musica, che ha un potere consolatore, quello di prolungare la vita umana? Od è un’illusione per la nostr’arte divina? Noi incliniamo a credere che la passione della musica sia soventi volte un brevetto di longevità. Le passioni del giuoco, delle donne, dei cavalli, della caccia, non convengono che alla gioventù; la musica al contrario è d’ogni tempo, d’ogni età, e le commozióni che ispira ringiovaniscono. Siate adunque musicisti se volete vivere lungamente.

Vi ha uno strumento d’uso universale, di cui s’ignora comunemente l’origine — la campana. Or bene, è ai Chinesi che questo rumoroso strumento deve la sua origine. Convien risalire a molti secoli prima dell’era cristiana per trovare la prima campana. Un imperatore chinese fece fondere nel 2260 innanzi Cristo dodici campane, i cui suoni graduati esprimevano cinque note della musica. Un altro imperatore, nell’anno 1776 prima della stessa èra, ordinò la fusione d’una gran campana che fu collocata alla porta del suo palazzo. Le campane erano in uso dalla più remota antichità presso i popoli dell’india, presso gli Egiziani, presso gli Ebrei, i Greci ed i Romani; sono menzionate in Tibullo, in Giovenale, Plinio, Plutarco e Strabene. L’usocominciò in Francia ed in Italia nel sesto e settimo secolo. La più antica campana di Parigi è quella che fu fusa per la Sorbona nel 1350. Il campanone di Notre-Dame, di cui si parla molto per le sue dimensioni, è lungi dall’eguagliare certi strumenti di questo genere che esistono a Pekino ed a Mosca. Si cita fra le più grandi la campana della cattedrale di Vienna. A Rouen ve n’era una enorme detta la Rigault, la quale per essere suonata richiedeva tale fatica che i campanari avevano il privilegio di bere nel campanile un gallone di vino spillato nelle cantine dell’arcivescovo; d’onde venne un vecchio proverbio francese: boire à tire la Rigault.

Poiché parliamo di campane, ecco un curioso documento pub blicato dal giornale la Piume, circa il ricevimento del carillon, di Gand nel 1661. Lo riproduciamo tal quale per non togliere alcun pregio al suo cattivo francese: «Par devant moy Francois de Rop, notaire publicq. admis «par le Conseil privé de sa ma‘e, résident en la ville de Gand «et en presence des tesmoings souscripts, comparut en per«sonne sire Pierre Schoulfort prestre et chapelain dans «lesglise de S‘ Jean en ceste ville et cy devant mestre de chan «et organiste dans lade esglise, lequel comparant estant requis «de la part de Mro Pierre Hemonj-, fondeur de cloches, de «dire la vérité, a dict declairé et affirme estre véritable que «passé environ huict ou noeuf mois il at esté requis avecq «monsieur Villain, de la part de messieurs les eschevins de «la Keure de ceste de ville, pour juger et donner leur tesmoi «gnaige du son, ton, notte.et accordt des cloches, faict par «led. M. Pierre, a la reqte desds messieurs les eschevins, pen«dant alors et nombre de quarante cloches sur le tour du «Belfroy en lade ville, lesquelles cloches le comparant avecq «led1 monsieur Villain ont jugé estre fort bonnes et d’accordt «comme le comparant encoires a présent juge lese cloches estre «bonnes et d’accordt, réservé que la troisiesme cloche est a «. présent un peu trop bas pour ce qu’on l’at rabassé depuis la «premiere visitation: finissant ainsy sa déclaration avecq pre«sentation selon droict Faict et passé en ladite ville de Gand «le XXIII, de décembre 1681 en presence de Pierre van Can «et Adrien de Longhe respective procureurs desd eschevins, — Addio... madre mia... padre... Diego, addio, disse Anna; il giudice supremo mi chiama a sè nel cielo, e mi mostra la gloria... Giovanni, vi prego di non abbandonare giammai Diego. Anna cadde rovescia sul letto, e le sue labbra lasciarono sfuggire l’ultimo respiro. Le quattro persone che circondavano il letto caddero in ginocchio, e in quella dimora tornaronsi ad udire impetuosi e disperati singhiozzi. La madre di Anna alzò per la prima il capo, rizzossi in piedi e si coperse col velo. — Don Diego, disse dirigendosi a Velâzquez con voce alterata, ma con fermo accento, vi scongiuro di lasciarmi questo quadro che porta l’imagine della figlia mia e che il vostro amico ha ora finito. A quella domanda, il pittore di camera di Filippo IV si ritrasse. — Signora! disse tutto tremante. — Me lo negate? chiese la donna con acerba amarezza. — r Signora, rispose Velâzquez, ho fatto già il doloroso sacrifìcio di cederlo al padre di Anna... chiedetelo a lui... Il pianto troncò le parole all’infelice Don Diego, che andò a prostrarsi ai piedi del letto. In quanto alla dama, alzossi altiera e guardò fieramente l’inchinata e malinconica faccia di Rubens. — Io, che sono sua madre, disse lentamente, ho diritto a questo quadro, e sfido Rubens a strapparmelo se crede d’avere qualche ragione su di esso. Il Re della pittura, tutto mesto, tacque. — Prima di lasciarvi per sempre, Don Diego, aggiunse la madre di Anna, voglio giustificare innanzi a voi e in presenza del cadavere della mia disgraziata figliuola la mia condotta. Nulla rispose Diego, ed essa prosegui in tal guisa: — Mi chiamo Anna, e sono figlia del nobile e valoroso conte di Egmont, della ricca e numerosa famiglia di questo nome; a quindici anni mi maritai con un cugino mio che ereditò il titolo di mio padre per la morte di questo. Enrico era bello, giovane, buono e mi adorava. Io l’amava pure, e due anni dopo il mio matrimonio, gli aveva dato due figli; allora avvenne che il mio sposo andasse a pregare Pietro Paolo Rubens perchè mi facesse il ritratto. Amo passare sotto silenzio i primordi! della mia seduzione, e parlerò soltanto del giorno in cui Enrico, avvedendosi del mio stato, mi chiamò nel suo gabinetti — Anna, mi disse, gettandomi le braccia al collo; per la terza volta stai per procurarmi la fortuna d’essere padre, e nulla mi hai detto!... Abbassai gli occhi; la mia fronte coprissi di rossore, e scoppiai in lagrime. Giammai seppi mentire. Il volto d’Enrico, sempre sereno, rannuvolossi. — Anna, mi hai tradito? mi chiese pigliandomi affettuosamente le mani. In allora mi gettai ai suoi piedi e gli narrai tutti i particolari del fallo mio, meno il nome del mio complice. — Chi è il padre del figlio che porti “nel seno? mi chiese allora. — Uccidimi, Enrico, uccidimi, esclamai, ma non mi fare una domanda alla quale non posso rispondere — Dunque lo ami molto? — Oh, no, Enrico! dissi con tale accento di verità, che ne rimase quasi convinto; non lo amo, no... la mia colpa è stata la conseguenza di una vertigine... ma non voglio dire il suo nome, perchè ti batteresti con lui, e potrebbe ucciderti!