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290 GAZZETTA MUSICALE DI MILANO Sabato, 31 agosto. Siamo finalmente alla vigilia, alla vera vigilia, all’ultima vigilia, perchè, a parlar propriamente, in aspettazione dei gran spettacoli, la stampa è da quindici giorni che fa vigilia. Domani la Scala spalanca solennemente le porte della stagione di settembre col Freyschütz’, domani si inaugurerà pure il corso di rappresentazioni d’opere in musica al teatro Re Nuovo; Santa Radegonda non starà molto indietro colla commedia; poi verrà la volta di quel benedetto Foro, la cui apertura, da tanto tempo annunziata per oggi, avrà invece luogo sabato venturo. L’opera di inaugurazione è Gli Ugonotti; l’esito sarà certamente ottimo per mille ragioni, e prima di tutto perchè bisogna che non sia altrimenti quando si ha un battesimo che si presta a tristissimi giuochi di parole. Guai se il teatro del Foro Bonaparte si aprisse per far fiasco! Chi porrebbe un argine alla vena umoristica dei cronisti? Frattanto i forestieri che sono a Milano per vedere l’Esposizione artistica, se vollero passare la sera non ebbero altri spettacoli se non quelli del Tivoli, cioè i due serragli riuniti di bestie feroci, Bidel e Faimali, e l’opera al Politeama, più una rappresentazione nè carne nè pesce, alla Scala, composta dell’illuminazione a giorno, dell’apparizione del Re, di alcuni pezzi vocali e istrumentali e del nuovo ballo Bianca di Nevers del coreografo Pratesi. Le sole parti riuscite alla perfezione furono le due prime; quanto ai pezzi di musica, le signore Langlois e Daniele trovarono il pubblico benigno, come è la regola, ma se lo. meritarono e questa è un’eccezione. I cori parevano sbigottiti, l’orchestra non era molto sicura. Il ballo si può dire che nel complesso piacque; non è di quei balli che chiedono gran tributo alla luce elettrica, ai voli, agli sfondi e alle trasformazioni, ma di quelli alla Rota, che con pochi elementi cercano di comporre un tutto che si regga per l’eleganza e per la novità delle danze e per l’azione. Ma Rota era Rota e invece Pratesi non è Rota. Qui ciò che è ballabili, disegno di atteggiamenti, scelta di colori, buon gusto di vestiario, la parte cioè in cui un coreografo non ha bisogno d’essere che un coreografo, è ben riuscita; ma quanto all’interesse dell’azione e alla novità, dove cioè non basta essere coreografi ma bisogna essere alcun poco... Rota^ la cosa è assai diversa. Piacquero alcuni ballabili, specialmente quello bellissimo, nel primo quadro, dei mietitori che entrano con un carro, tirato da veri buoi i quali furono accolti con entusiasmo. Incoraggiati dai battimani, quelle due buone bestie faranno proseliti; aspettiamoci di vedere assai presto altri animali cornuti incaricati di trascinare i carri di futuri allori coreografici. Altri graziosi ballabili sono: un passo a nove, quello dei quattro elementi, e la mascherata finale. Fu applaudita la prima ballerina signora Petronio, che è un’esordiente bravina; e più il primo ballerino Mascagno che fa prodigi di equilibrio e di leggierezza. Belle alcune scene; splendido il vestiario, bene eseguite le danze. A differenza del coreografo signor Pratesi, il suo collega signor Pulini del Politeama è seguace della nuova scuola Borri, Monplaisir e soci; il suo Dardo d’amore, andato in scena testé, non trascura nulla di ciò che può fare il piedestallo della gloria alla coreografia jnoderna; ei è luce elettrica, ei sono sfondi, voli e trasformazioni, ei è eleganza di vestiarii e sottanine corte, molto corte, ma ei è anche una cosa di cui molti campioni della APPENDICE — — — —

LA SORELLA DI VELAZQUEZ LEGGENDA STORICA DI MARIA DEL FILAR SINUÉS DE MARCO VERSIONE DALLO SPAUNUOLO DI DANIELE RUBBI (Continuazione, Vedansi i N. 25, 26, 27, 28, 29, 30, 31, 32, 33 e 34). XIV. LA CROCE DI SANTIAGO. Giovanni de Pareja rassomigliava più a un demonio fuggito dall’inferno che ad un essere umano; era orribilmente stravolto, e la sua pallidezza tanto cadaverica, che, malgrado l’abbronzata tinta del volto, lasciava chiaramente scorgere l’alterazione de’ suoi lineamenti. La capigliatura, formata da lunghe e spesse anella d’un nero lucentissimo, avea bruciata in più luoghi, come pure il vestito, tutto stracciato e nel maggiore disordine. La fronte ampia e stupenda era coperta di sudore; le narici, dilatate, somigliavano quelle d’una fiera che ha vinto il cacciatore in una lunga e disperata lotta; il labbro superiore, contratto lievemente da un sorriso d’orgoglioso trionfo, lasciava vedere il bellissimo smalto de’ bianchi e piccoli denti. Nell’entrare depositò Anna ai piedi di Velâzquez, e la povera fanciulla rimase come una massa inerte e gelida stesa sul pavimento. — Al fuoco!... Al fuoco! esclamò di nuovo il Re indicando il luogo da dove vedeva uscire una colonna di fumo. - È necessario vedere se è spento. — Non tema V. M., rispose il duca dell’Infantado, nelle cui severe e belle sembianze brillava una viva espressione di contento e pareva dicessero: io aiutai ad accendere quel fuoco, ma mi adoprai pure perchè si spegnesse. In ciò dire, fissò Velâzquez; ma il pittore appoggiavasi ad una parete, abbattuto dalla profonda emozione che la vista di Anna gli aveva prodotto. Don Giovanni Hurtado de Mendoza alzò da terra il corpo esanime della giovane, e lo collocò su una seggiola, frattanto che il favorito, confuso della sua sconfitta, fuggiva con circospezione, giurando vendetta contro Velâzquez ed il duca. Il pittore di camera avvicinossi lentamente alla povera fanciulla e pigliò una delle sue mani. Era fredda come il marmo. — Morta!., esclamò retrocedendo d’alcuni passi. — Morta e disonorata!... gridò Rubens, il quale non s’era potuto accostare alla figlia, perchè colpito da doloroso letargo. — No! esclamò con sicura voce il duca dell’Infantado: no! viva, e degna, assai degna del padre suo! L’ambasciatore fiammingo alzò un ansioso sguardo su quegli che gli aveva dato cosi consolante affermazione, e corse alla figlia come attrattovi da forza irresistibile. — Sì! continuò il duca dell’Infantado; credetemi Rubens... per il nome che porto, per la mia fede di cavaliere, vi giuro che vostra figlia è pura come la luce del sole!... Velâzquez, per compiere la volontà della madre di Anna, fece credere alla fanciulla che era sua sorella, sacrificando l’amor suo per rispetto a quella che le diede la vita e per non mancare ai suoi doveri di sposo e di padre. — Dio vi benedica, figlio mio, esclamò l’ambasciatore aprendo le braccia al pittore di camera, che tutto commosso vi si gettò con effusione.