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GAZZETTA MUSICALE DI MILANO 261 cato con maggior calma; è certo però che, a questi tempi di carestia tenorile, i Gulli non si trovano ad ogni piè sospinto. Non mi piace quando strilla per farsi applaudire dai trasteverini, perchè allora sforza la voce e questa diventa ingrata e gutturale; ma quando si contenta di cantare ha momenti felicissimi. Eseguisce per esempio, l’andante dell’aria del Trovatore, Ah! sì ben mio coll’essere, ecc., in modo da ricordarmi il Boucardé ne’ suoi bei tempi. Vi presento ancora il baritono Ciapini ed il basso Morroto, due bravi artisti, pieni di zelo, ed ai quali il pubblico fa sempre buon viso. Vi presento inoltre il maestro Mililotti che dirige egregiamente l’orchestra, vi presento lo scenografo, il vestiarista, l’attrezzista gli impresari (che per verità sono i più benemeriti), i cavalli del torneo, e finalmente vi presento me stesso che ho avuto il coraggio e la costanza di rimaner per tre ore pigiato alla porta della prima galleria con una coprente d’aria che mi soffiava nelle spalle e per conseguenza con grave pericolo di cogliere una terzana per amore dell’arte. Questo si chiama amar l’arte più della vita! Ora credo che su queste fortunate scene si prepari V Emani, a cui terrà dietro la Contessa ei’Amalfi. In settembre l’arte musicale cederà il posto all’arte equestre e verrà Ciniselli co’ suoi quadrupedi. L’Accademia di Santa Cecilia ha chiuso le sue riunioni inviando telegrammi di congratulazione al Re Vittorio Emanuele ed al Re Amedeo. E giunta di già la risposta del Re Vittorio Emanuele e fu pubblicata nei giornali. Un freddurista spietato ha subito osservato che Un’Accademia musicale doveva necessariamente protestare contro il pessimo uso che gli spaglinoli facevano dei tromboni. Scherzi a parte, l’Accademia di Santa Cecilia ha voluto mostrarsi anch’essa istituzione italiana, e la deliberazione d’inviar que’ telegrammi è stata qui generalmente lodata. Già vi ho fatto cenno dei lavori ch’essa ha compiuti nelle sue riunioni: Riforma degli Statuti, regolamento della Cassa di risparmio, regolamento del nuovo Liceo musicale. Per istituire quest’ultimo converrà far appello al Governo e al Municipio. La lettera del mio amico Pelissier, segretario deH’Accademia, è prova di fede robusta nelle buone disposizioni del governo rispetto alle cose musicali. Sono anch’io d’avviso che al governo convenga ricorrere, ma sono persuaso che il governo nulla farà per questo Liceo, se non vi è costretto dall’opinione pubblica. Ed è principalmente a renderci questa favorevole che dobbiamo rivolgere tutti i nostri sforzi. Nei teatri di prosa si fa d’ogni erba fascio. Al Corea si rappresentano drammacci da Stadera, e si che vi recita la Compagnia di Cesare Rossi; allo Sferisterio si passa dall’Ebreo errante al Conte di Montecristo, e da Montecristo a Troppman il feroce assassino della famiglia Kink. Questo è il repertorio delle nostre arene ed è giusto notare che di entrambe è impresario il non mai abbastanza lodato Jacovacci, gran dilettante di drammi à sensation. Ha fatto eccezione alla regola un nuovo lavoro del Costetti, Sposi in chiesa, commedia popolare scritta per ‘far conoscere ai romani la necessità di unire il matrimonio civile al matrimonio religioso. Fu applaudita e replicata più volte al Corea, ma poi Jacovacci è ritornato agli antichi amori, perchè, dice lui, il pubblico non va in teatro se non vede almeno quattro morti ogni sera sulla scena. E con questo vi saluto. TORINO, 1 agosto. Messa funebre del maestro Desanctis — Così fan tutte al Gerbino — Le Educande di Sorento — All’Alfieri — Un canard. Il maestro Desanctis, non c’è che dire, s’è rivelato un eccellente compositore: la sua Messa funebre eseguita lunedi scorso nella basilica cattedrale di San Giovanni, è un lavoro imponente in cui si sente il maestro educato a buoni studi, ricco di talento e d’immaginazione, pratico delle voci e degli strumenti, istrutto nella grand’arte delle combinazioni fonetiche e severo espositore della terribile e maestosa solennità della liturgica parola, fatta più grave e più mesta dalla memoria di quel magnanimo principe che per la salute d’Italia moriva esule volontario in Oporto. La Messa in origine era scritta per le quattro voci di soprano, contralto, tenore e basso con cori, ma mancando assolutamente ragazzi, o musichetti di buoni ed estesi mezzi vocali, il maestro ha dovuto ridurre alcuni pezzi a voce di baritono, levare molte cose ed aggiungere lo stromentale a certi pezzi di concerto alle sole voci affidate. Ciò malgrado però in quelle poche situazioni in cui le voci bianche dovevano emergere, gl’intendimenti del compositore non poterono essere sufficientemente apprezzati e certi effetti andarono miseramente perduti, tra cui quello del Sanctus, pezzo magnificamente preparato dal flauto e dall’arpa e che un coro di ragazzi collocati di faccia alla cantoria doveva far sentire come una angelica salutazione. Del resto le pagine più gustate e più salienti furono: il requiem d’introduzione di stile fugato, o meglio d’imitazione, il concertato del Te decet, il Chirie, Quantus tremar, Y Ingemisco grandioso duetto tra baritono e tenore, l’Agnus Dei e il Libera: interpreti principali e degni di lode furono il Lalloni, il Graziosi, il Panchini ed il Succio; egregiamente i cori di tenori e bassi e l’orchestra numerosa e ben disciplinata. Unica menda, in qualche punto, la prolissità; unico difetto la mancanza d’una vera fuga. Alla prova generale, che fu fatta nel teatro Vittorio, il maestro Desanctis ebbe il vivissimo plauso di un ristretto numero di maestri ed amatori: il popolo, nell’uscire di San Giovanni andava ricordando le impressioni ricevute ed alla sera all’argomento vitale dello sciopero, si aggiungevano i favorevoli commenti al lavoro dell’egregio compositore romano, il quale lascia cosi in Torino onorevolissima memoria, unico compenso alle sue fatiche non solo, ma ai gravosi dispendi cui ha dovuto sottostare per ottenere la migliore esecuzione possibile al suo lavoro. A tale scopo aggiungerò anzi due cose: la prima si è che il maestro avendo fatto a proprie spese allargare la cantoria, l’incaricato dell’addobbo non voleva saperne di coprire di nero drappo la nuova facciata dell’impalcato e solo mezz’ora prima della funzione dopo molti giri e rigiri venne riparato quello sconcio: la seconda che il Ministero, non contento di assegnare alla messa per Carlo Alberto la somma insufficiente di lire 900t si diverte a prolungare a tempo indeterminato il pagamento, con quanta noia e quanto discapito del compositore lascio a voi l’immaginare. L’opera classica (?) di Mozart Così fan tutte, non ha destato al Gerbino quell’entusiasmo che si proponeva l’impresa e che qualche corrispondente le ha fatto fare per mezzo del compiacente telegrafo. La musica è bella, è ben fatta, ma fa sentire tutti gli oltraggi che il tempo inesorabile ha gettato in volto a questa creazione umana: il libretto poi è addirittura’ insopportabile: si aggiunga poi a ciò le lungherie delle forme, le viete ripetizioni, una esecuzione buona per le esigenze di queste scene ma col tenore ammalato e con una esordiente, e finalmente un calore quasi tormentoso e sarà facile convincersi che lo spettacolo non diverta abbastanza; per sabbato prossimo si prepara Il Barbiere di Siviglia, intanto che si matura il nuovo spartito del maestro Mariani-Mantaubry, intitolato Le nozze di Marcellina, opera nuovissima, della quale si parla con molto vantaggio. Alla Contessa d’Amalfi nell’Alfieri sono succedute Le Educande di Sorrento, accolte’ un po’ freddamente a cagione del baritono che ha preso troppo sul serio la sua briosa parte e del tenore, che s’è dimenticato l’aurea massima di Rossini che per cantare occorrono tre cose: voce, voce e voce. Il sesso debole s’è mostrato più forte ed ha diviso col buffo i pochi onori della serata. Sono assai soddisfatto che la direzione della Gazzetta Musicale abbia accolto con riserva la notizia che io ho data con tutta asseveranza della scrittura della Lotti a questo teatro Regio. Pur troppo era un canard dei più mostruosi e siccome le disgra