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260 GAZZETTA MUSI E durante il mese di giugno l’introito dei teatri parigini fu di 733,223 e 45 centesimi. Al teatro Gerbino di Torino, nel prossimo agosto, verrà posta in iscena una nuova opera buffa, Le nozze di Michelina. L’autore è il signor Eduardo Montaubry, più noto come il tenore Edoardo Mariani.
- E aperto il concorso per esame e per titoli al posto di organista in
secondo nel Duomo di Milano collo stipendio annuo di L. 800. — Si ricevono le domande presso TAmministrazione della Fabbrica del Duomo in Milano. > E tuttora d’appaltarsi il teatro di Pisa per la ventura stagione di carnovale e quaresima. — La dote è di 32,000 lire. — Si esige un deposito di 6000 lire. Il tempo utile alla presentazione dei progetti dura sino al 15 Agosto. v E d’affittarsi per il carnovale venturo il teatro Balbo di Torino.
- E pubblicato il concorso d’appalto per il teatro dei Rinnovati di Siena,
stagione di carnovale 1872-73. — Si esige spettacolo d’opera. Per le condizioni dirigersi al signor Gerolamo Bargagli, Segretario della Direzione.
- E aperto il concorso d’appalto per il teatro Comunale di Terni, stagione
di carnovale 1872-73. — Si esige spettacolo d’opera in musica. — La dote è ai 14,000 dire. I progetti dovranno essere presentati entro il 14 agosto p. v., diretti a quel Municipio. ¥ Al teatro Vittorio Emanuele di Torino furono applaudite alcune can-! tate del maestro Corinno Mariotti, eseguite in occasione della festa di una società filantropica. ¥ A Ginevra la sera del 21 luglio si diede uno spettacolo che era annunziato nel modo seguente: Doppio assedio di Parigi. Incendi, disastri, assassini, esecuzioni e caccia nelle catacombe, rappresentati dal signor X col mezzo del gas ossigeno!!! CORRISPONDENZE ROMA, 30 luglio 1872. Il Politeama in Trastevere — Trovatore e Marco Visconti — Telegrammi dell’Accademia di Santa Cecilia — Sul nuovo ^Liceo Musicale in fieri — Altri spettacoli. Unico conforto alla nostra ardente sete di musica continua ad essere il Politeama in Trastevere. Come parmi d’avervi già scritto altra volta è un teatro che ha la forma d’una gabbia od anche di un vagone.... da fumare, perchè vi si fuma liberamente, tanto più che in caso d’incendio vi è il Tevere vicino. Il sig. Vannutelli CALE DI MILANO proprietario del teatro stesso ed il signor Fanfani sono due impresari intraprendenti, attivi e teneri del decoro dell’arte. Essi hanno dimostrato a chi non lo voleva intendere, che a Roma la più sicura ricetta per far quattrini si è di servire bene il pubblico. Dopo un Trovatore eseguito come non sempre lo si ode in teatri di prim’ordine, ei hanno dato un Marco Visconti che se lo avessero i frequentatori dell’Apollo, se ne leccherebbero, come dice il poeta, i polpastrelli e bugne. E cosi, sia che Manrico intoni il famoso Miserere, sia che Tremacoldo canti la rondinella pellegrina, si fa a pugni per entrare nel vagone che contiene circa tre mila persone, comprese quelle di terza classe che pagano cinquanta centesimi. Il buon Pretrella intervenne alle prove ed alla prima rappresentazione dell ’opera sua e le notizie delle ovazioni che gli vennero fatte a quest’ora saran giunte a Milano. Non enumero le ovazioni al proscenio, non i mazzi di fiori, non le corone d’alloro, non le poesie, non i bis che furono innumerevoli. Non vi dirò neppure che sulla porta del Politeama verrà collocata una lapide per ricordare ai posteri che la sera del 22 luglio il maestro Petrella vi ha posto in scena il suo Marco Visconti. Tutte queste cose le dovete sapere, come pure saprete che all’egregio compositore fu offerta dagli impresari una cena, alla quale erano invitati i rappresentanti della stampa, e fra questi il vostro corrispondente, che essendo venduto alla Gazzetta Musicale, come dice qualche giornalaccio di qui, si reputò onorato di far un brindisi al Petrella di cui non siete gli editori. Spero che per questo non mi diminuirete lo stipendio e potrò continuar a mangiar alla greppia dei fondi segreti della casa Ricordi. Quanto all’esecuzione dell’opera, è stata veramente tale da soddisfare il maestro ed il pubblico. Vi presento in primo luogo la signora Cinti, una biondina, (allieva del R. Istituto fiorentino) che ha una vocina simpatica e canta con garbo; poi la Colarieti, un mezzo soprano che percorrerà senza dubbio una brillantissima carriera ed applaudirete forse un giorno alla Scala. Aspetto avvenente, voce bellissima ed intonata, intelligenza, tutto sta riunito in questa cantante che fra breve prenderà posto fra la celebrità. Il tenore Grulli è il Moriani, il Rubini, il Mario di Trastevere, ripassando il Ponte Sisto, probabilmente sarebbe giudi— Velâzquez! ripetè Pietro Paolo chinandosi a contemplare l’artista e pigliandone le mani. Don Diego apri i grandi occhi neri, e li fissò ansiosamente sulle persone che lo circondavano; quando il suo sguardo incontrò quello di Rubens due lagrime gli spuntarono sulle ciglia. Diego Velâzquez possedeva il migliore ritratto che il Re della pittura s’era fatto da sè stesso. Rubens aprì le braccia al disgraziato giovane, che vi si gettò singhiozzando. — La vostra vista, signor ambasciatore, è la sola che possa dare qualche refrigerio a Velâzquez nella sventura da cui è colpito, disse il duca aiutando il povero giovane a rimettersi in piedi. — Oh! ripetè Rubens, la sventura! Non basta o mio Dio che essa segua me, ma anche che l’abbia a trovare ovunque io vada? La fisonomia di quell’uomo rimase per alcuni istanti assai mesta. Però i suoi lineamenti ricuperarono tosto la loro serenità e gli occhi si fissarono di nuovo in Velâzquez con affettuosa espressione. — Per l’alba, gli equipaggi di S. M. la Regina e di Sua Signoria il signor ambasciatore, che partono per l’Escoriai! gridò in quell’istante la voce del capo delle scuderie. — Volete accompagnarmi, Velâzquez? chiese Rubens a don Diego; desidero che rimaniate al mio fianco i pochi giorni che ho da vivere sotto il vostro cielo. — Donna Anna deve essere fra le zanne dell’Olivares! disse il duca dell’Infantado all’orecchio dell’artista. Partiamo. — Sono vostro, rispose fiocamente Velâzquez e con accento sconsolato. — Ebbene entro quattro ore, Velâzquez, vi aspetto nella mia camera col signor duca, e offro a entrambi due posti nella mia carrozza. Rubens fece un saluto affabile, e si ritirò seguito dalla sua comitiva. — Coraggio Velâzquez! disse il duca, chiudendo dietro essi la porta della camera dove erano entrati. li pittore si lasciò cadere su una sedia, e con accento disperato e nella strozza esclamò: — Venduto da lui!... Venduto!... Venduto! X ANNA. Erano scorsi due giorni da quello in cui Isabella di Borbone, Pietro Paolo Rubens e Diego Velâzquez de Silva erano giunti nel palazzo dell’Escoriai. Le quattro ore pomeridiane finivano di battere all’orologio di S. Lorenzo quando aprissi una finestra dell’appartamento del conte-duca, posto vicinissimo a quello del Re; l’altra ala del palazzo serviva di abitazione alla Regina, all’infanta Maria Teresa e alla corte di entrambe. La finestra in questione, era fornita di fìtte gelosie; ma, pure, un raggio di sole, che penetrava da’ suoi cristalli, fece brillare con dorati riflessi un capo coperto da folti e biondi ricci. Quel capo era di Anna. Rimase brevi istanti silenziosa e immobile, al pari di una statua di marmo, con rocchio fìsso sull’aperta campagna che le si stendeva innanzi. Poscia appoggiò le braccia sul parapetto, lasciossi cadere su una sedia dietro di essa e coprissi il capo colle mani. Non era più la stessa Anna che Velâzquez conobbe in Anversa, e neppure quella involata all’artista dalle trame del conteduca Olivares. Nei due giorni passati dalla prima volta che la presentai ai miei lettori, le sue guancie eransi incavate e gli occhi infossati; i soavi e purissimi contorni della bocca avevano perso tutta la grazia candida e giovanile. acquistando invece quella rilassatezza, che è sempre sicuro indizio della rovina totale della salute. La sua statura pareva più alta, in causa della progredita gracilità; i suoi splendidi occhi azzurri s’eran fatti più grandi, e quantunque le braccia e le mani conservassero le seducenti forme, apparivano assai dimagrate. (Continua)