Pagina:Gazzetta Musicale di Milano, 1872.djvu/264

258 GAZZETTA MUSICALE DI MILANO Un’altra notizia sull’uso del cannone come istrumento musicale data dall’anno 1836 al campo di Krasnoe-Selo nel governo russo di Smolensk, dove ad una gran cerimonia iniziata con 120 spari di cannoni seguì un’accademia musicale a cui prese ancora parte con colpi ritmici il nuovo strumento da concerto. Non è molto il cannone comparve assai volte nelle esecuzioni di musiche guerresche a rappresentarvi il rumore della battaglia, ond’è che oggidì potrebbe vantare i suoi bravi diritti all’onore di essere chiamato strumento da concerto. Tutti ricordano, nè giova arrestarsi qui a dirne molte parole, le due feste musicali che ebbero luogo a Boston nel 1869 e 1872, sotto la direzione di Gilmore; in entrambe i cannoni ebbero gran parte musicale, e non forse la peggiore. Chi sa se nel nostro tumultuoso periodo musicale non sorga un compositore che, vago di ottenere effetti colossali alla Gilmore ed alla Sarti, si provi ad addomesticare all’intonazione e all’armonia tutte le armi da fuoco e riesca’ a regalare ai suoi uditori un concerto esplosivo! La musica dei sordi non sarebbe più un’utopia! E pensate come sarebbe bello, per esempio, il seguente annunzio: «Gran concerto d’artiglieria eseguito da 24 cannoni cromatici;» e come si rinnoverebbe la suppellettile rettorica delle cronache teatrali, quando si potesse leggere nei giornali: «Il celebre concertista di cannone signor X ei trascinò all’entusiasmo colla sua delicata esecuzione; nel primo tempo (andante sostenuto) del concerto eseguito da cannoni del calibro di ventiquattro, ebbe momenti di vero artista, esplosioni soavissime; e nel finale in tempo accelerato la commozione degli astanti era vivissima.» (dal tedesco). Rivista Milanese Sabato, 3 agosto. Il terzo saggio degli allievi del Conservatorio ha confermato l’impressione lasciata dai due primi. Questa volta il pubblico era affollato, e dopo ciascuno degli undici pezzi di cui si com poneva il programma, gli applausi proruppero impetuosi come tanti piccoli uragani; alla fine del trattenimento, proprio quando APPENDICE LA SORELLA DI VELAZQUEZ LEGGENDA STORICA DI MARIA DEL PILAR SINUÉS DE MARCO VERSIONE DALLO SPAGNUOLO DI DANIELE RUBBi (Continuazione, Vedansi i N. 25, 26, 27, 28, 29 e 30}. IX L’AMBASCIATORE. Due giorni dopo, verso le sette della sera, un cocchio chiuso tirato da due magnifiche cavalle grigie, conduceva a Madrid Velâzquez. L’artista era tanto preoccupato che non pose mente ad altra carrozza pure chiusa, e assai scrupolosamente, che passò vicino alla sua. Non udì per conseguenza una voce dolcissima, a lui nota, che dimandava con ansietà: — Giungeremo presto dove è mio fratello, signor conte? Quella voce era di Anna, la quale stava nella carrozza chiusa col conte-duca, e che correva verso l’Escoriai. Velâzquez prosegui il cammino, e alle sette e mezzo discese innanzi al palazzo. Una folla immensa s’accalcava alle porte e vedovasi ferma innanzi ad esse una lunga fila di splendidi equipaggi vuoti, senza I l’ultima nota dell’ultima battuta dell’ultima sinfonia dell’allievo Cerquetelli si fu perduta nello spazio, un uragano per davvero volle dire la sua e sequestrò il pubblico negli anditi e nei loggiati del Conservatorio. L’uragano non entra nel programma, e lasciamolo stare; parliamo invece dalla sinfonia del Cerquetelli, che non solo ei entra, ma ei fa la prima figura. Il giovinetto compositore, a cui sorride un bell’avvenire, aveva dato prova fin dallo scorso anno di molta capacità; questa volta egli si presenta con forze raddoppiate; la sua sinfonia ha un’andatura spiccia, contorni netti, istrumentazione buonissima e idee abbondanti ed originali, solo in alcuni punti mi pare avesse un ritmo a cui, non so come, si adattavano troppo bene nella mente gli atteggiamenti e le pose plastiche della coreografia; sarà forse un’illusione, ma molti l’hanno divisa meco e ciò toglieva alquanto alla dignità della forma sinfonica. Senza molta originalità, pur pregevole per la forma, è l’altra sinfonia dell’allievo Longhetti che ha corretto un tentativo poco felice dell’anno passsato con un lavoro che rivela ottimi studii. Oltre questi due esperimenti di composizione, il programma offriva molti pezzi di concerto; ce ne fu uno per contrabasso, eseguito dall’alunno Carini di cui si è già parlato favorevolmente, uno per pianoforte di Mendelssohn eseguito con valentia dalla signorina Porta, un altro per clarino, che fornì al giovinetto Bizzozero occasione di mostrarsi assai padrone del suo strumento; certo, se vivesse ancora quel cotale che assomigliava il suono del clarino al rumore che fa una bottiglia che si riempie direbbe che il Bizzozero riempie assai bene la sua bottiglia; e poi una per flauto ottimamente suonata dal sig. Gillone. Ma di tutte queste fantasie di concerto è ancora migliore la Fantasia appassionata di Vieuxtemps eseguita con mirabile sicurezza dall’alunno Napoleone Marcocchia; peccato che le corde del suo violino non fossero più scrupolosamente intonate, chè il Marcocchia è un allievo che merita d’essere un maestro. Nei saggi di canto abbiamo applaudito il tenore Colombana, il quale nella romanza delle Due illustri rivali di Mercadante fece assai miglior prova della prima volta; ha voce potente, calda; farà una buona carriera. Benissimo le alieve Bignami e Bardelli nel duetto della Messa solenne di Rossini, benino la signora Malvezzi che compensò colla passione la poca estensione della dubbio per essere entrati i padroni nella dimora reale; alcuni signori fiamminghi, a cavallo, ritti e immobili, splendenti pei loro bordati berretti e le vesti tempestate di gemme, dalle colossali stature, custodivano le carrozze. Una guardia fiamminga circondava la comitiva, contenendo con garbo ma con inalterabile gravità la folla, che si accalcava bisbigliando: — L’ambasciatore! L’ambasciatore! Il cocchio di Velâzquez entrò nelle scuderie del palazzo, e l’artista, senza fermarsi e neppure chiedere chi era T ambasciatore, salì ansioso all’abitazione sua, incontrandosi in fondo ad una galleria col duca dell’Infantado. — Avete veduto Rubens, don Diego? chiese il duca, stendendo la mano al pittore. — È qui Rubens! esclamò stupito Velâzquez e fermandosi malgrado la fretta. — È l’ambasciatore arrivato ora, inviato dall’Infanta governatrice delle Fiandre. — Dov’è? — In udienza dalla Regina, che venne incaricata dal Re di riceverlo. — Vi lascio, signor don Giovanni, disse Velâzquez stringendo di nuovo la mano al duca, e mettendo il piede sulla scala. — E dove andate, e d’onde venite? — Vengo dall’Escorial, e domattina all’alba torno colà conAnna. — Come! esclamò don Giovanni Hurtado facendo un passo indietro; come! Velâzquez, conducete quella fanciulla alla corte? Permettetemi che disapprovi la vostra idea. — Voglio che tutti ignorino che essa si trovi nell’Escoriai. — E come ne verrete a capo accompagnandola voi stesso? — Non lo so, disse Velâzquez chinando mestamente il capo; non lo so, ma Dio mi aiuterà. — Avete fiducia in me, per confidarmi donna Anna? chieseil duca fissando sull’abbattuta fisonomia dell’artista i suoi tranquilli e altieri sguardi.