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GAZZETTA MUSICALE DI MILANO 247 Il Mariani nella interpretazione del Ballo in maschera si è mostrato in tutta la sua potenza. Impossibile sarebbe lo accennare a tutte le bellezze cine egli fece scaturire dal verdiano lavoro. L’impronta soave al terzetto nell’atto primo (tenore, soprano e contralto), l’affascinante brio della barcarola: Di’ tu se fedele il successivo quintetto proposto dal tenore colla frase: È scherzo od è follia, il gran duo d’amore nell’atto secondo, il terzetto che lo segue, il successivo coro col quale si chiude l’atto secondo, tutto il terz’atto, particolarmente la scena a tre bassi che si risolve in quintetto, e finalmente la chiusa dell’opera; tutti questi pezzi, ripeto, e molti altri, che troppo lungo sarebbe il nominare, ebbero tale impronta speciale da sembrare in molte parti del tutto nuovi. Sovra tutto però merita menzione speciale il modo nel quale si interpretò la scena a tre bassi nell’ultimo atto ed il finale dell’opera: nella prima vi è tale un’impronta vera, straziante e nuova da far sbalordire, e al finale si prova una sensazione indescrivibile. Il canto dolcissimo di Riccardo morente, l’accompagnamento soave del coro, il canto risoluto, straziante, disperato di Amelia che, con sublime pensiero filosofico, tutto domina e signoreggia pel singolare risalto che ha saputo darvi il Mariani, fanno un assieme sovranamente bello. Detto tutto il bene possibile ed immaginabile della interpretazione ed esecuzione instrumentale, dovrei dirne altrettanto, o quasi, pella interpretazione ed esecuzione vocale, La Bianchi Montaldo, quantunque evidentemente presa da ingiustificata paura, fu un’Amelia distintissima. La Mariani (Oscar) e la Tiozzo (Lirica) fecero egregiamente. Il Villani (Riccardo) ha cantato in modo insuperabile e diede proprio a vedere che dallo stesso Verdi aveva avuti, benché indirettamente, tutti gli opportuni suggerimenti, Sottolineo V indirettamente perchè nel 1859 il Villani trovavasi a Roma allorché il Ballo in maschera veniva posto in scena per la prima volta. La parte di Riccardo era sostenuta dal Fraschini, ma il Villani appartenendo alla compagnia, potè udire tutte le prove ed apprendere dalla voce stessa dell’autore il modo di interpretazione che il Verdi desiderava: quindi nella interpretazione del Villani havvi l’intenzione del maestro accoppiata al talento artistico di que’due valorosi campioni della scena che si chiamano: Fraschini e Villani. Il Maurel (Renato) fu pure festeggiatissimo ed a tutto diritto, perchè anche in quest’opera, e infinitamente più di quanto la parte di Faraone nel Mosè (troppo bassa pelle sue corde) gli permetesse di farlo, si mostrò valentissimo e per voce e per eletti modi. Il Maurel dovette replicare la sua grand’aria, come la Mariani dovette replicare una strofa della sua ballata. Si voleva anche la replica del gran duo soprano e tenore, ma si venne al consiglio di desistere, e saviamente, da una pretesa che aveva del temerario in vista della stagione nella quale ei troviamo. I cori, per merito particolare del bravissimo Acerbi, fecero tutto il loro dovere; le seconde parti così e così. Messa in scena decorosa. Ieri sera doveva esservi una gran serenata nel gran canale, ma la pioggia la fece differire a domani; ve ne dirò qualche cosa fra otto giorni. Presto arriveranno Cotogni e Ciampi terminando i loro impegni a Londra credo col giorno 20 corrente, per cui le fila degli artisti al Malibran si ingrosseranno sempre più. F F PARIGI, 17 luglio. Ancora il Teatro Italiano — Z’Opéra-italien che non deve confondersi col ThéâtreItalien — Z’Armonia francese — La Forchetta armonica. Questa volta, salvo qualche novello mutamento, credo poter affermare che, invece d’un solo, ne avremo due - parlo del teatro Italiano. Nulla di più semplice e di più chiaro; il ragionamento è stato il seguente: la gestione d’una scena lirica italiana a Parigi è molto malagevole; è impossibile senza una forte sovvenzione di non rimetterci; ora siccome tenendo aperto un sol teatro italiano l’imprésario vi perde, tenendone aperti due, l’uno e l’altro guadagneranno. Avreste creduto il contrario, non è vero? l’avrei creduto aneli’ io, ma pare che ei siamo ingannati, e che se è difficile di cavarsela radunando i dilettanti di musica italiana in una sola sala, è più facile di ottener un buon incasso sparpagliandoli in due teatri diversi. Se ciò non tosse, il sig. Lefort non farebbe costruire una nuova sala di spettacolo, ora che il Verger ha pagato la pigione della sala Ventadour e ne ha confermato il fìtto por dieci anni. Ma il Verger non avrà la sovvenzione, che forse non sarà negata al Lefort. Che importa? si avrà sempre un noce vole dualismo, un antagonismo spiacevole, una concorrenza svantaggiosa che dovrà far male e recar pregiudizio all’uno ed all’altro dei due impresarii, e forse a tutt’a due. In questo caso chi ha buone spalle resiste; in altri termini, chi ha più quattrini è quasi sicuro di trionfar del suo concorrente. Il Verger continua a scritturar artisti ^er suo conto. Anzi, volendo dar più vita al suo teatro, s’è recato a Londra per udir la nuova opera il Guarany del maestro Gomes, sulla quale, a quanto dicesi, fonda grandi speranze per la prossima stagione teatrale; ma ha fatto i conti senza le inevitabili lentezze del teatro di Covent Garden. Invece il Lefort non si occupa che di costruire un nuovo teatro. Avremo dunque un Teatro Italiano ed un Opera italiana. Sa il cielo con quanta pena si arrivava a non perdere molto con un sol teatro; come si farà quando saranno due? Ma ciò non mi riguarda. Finché non avrò notizie più precise a darvi su questo secondo teatro italiano, non posso che astenermi. Tutto ciò che vi direi non uscirebbe dal campo delle semplici congetture. Già, del resto, la concorrenza è una vera monomania. Fate che venga a qualche speculatore un’idea felice, se ne troveranno venti che vorranno imitarlo. Uno solo avrebbe fatto fortuna, venti fanno bancarotta. Cosi anche nelle faccende che riguardano l’arte. Non v’era più Un’Accademia filarmonica. Se ne è fondata una: ed ecco che ne sorgono, sia con un titolo, sia con un altro, chi sa quante simiglianti! Se ne annunzia già una seconda ed una terza. La più recente ha preso il titolo di Armonia Francese. Questa esige nei suoi statuti che ogni membro sia francese; ed ha per esclusivo scopo l’esecuzione di opere musicali inedite o pubblicate nel corso dell’anno dai membri della società, dell’a-solo sino al nonetto inclusivamente. Beninteso che i membri suddetti debbono pagare una quota annuale di dieci franchi, se sono onorarli, e di cinque franchi, se non hanno quest’onore, vale a dire se sono membri effettivi. Auguro felice vita anche a questa novella società, ma non credo che il mio augurio possa avverarsi. La media proporzione tra i 5 ed i 10 franchi è 7 franchi e 50 centesimi. Bisogna trovar mila soscrittori per raccogliere da sette ad ottomila franchi. I soscrittori saranno naturalmente i giovani compositori che non possono far eseguire la loro musica altrove. Come membri della nuova società avran diritto a farla eseguire nel locale ad hoc. Ora, secondo il programma, i fondi delle quote annuali saranno destinati a coprire le spese, per la copisteria ed anche per la stampa dei pezzi di musica. Vi saranno venti sedute ogni anno. Calcolate un poco: abbisogna una sala con tutto l’occorrente, abbisogna egualmente tutto quello che concerne la pubblicità, affissi, programmi, ecc.; abbisogna finalmente procurar le spese per la copiatura delle parti d’orchestra. Nulla dico dell’esecuzione, che forse sarà affidata a dilettanti, perchè se lo fosse ad artisti converrebbe pagarli e bene. Tutto questo con sette od ottomila franchi, volendo supporre che mille persone abbiano la compiacenza di sottoscrivere! Quest’ultimo punto è ancora assai problematico. Mi si dirà che voglio farmi profeta di sventura. No, ma prevedo quel che avverrà. Ad ogni modo non domando meglio che ingannarmi nelle mie previsioni; ma finché non mi si proverà col fatto che ho torto, persisto a credere che la novella società sarà tutta platonica, e come diceva Voltaire delTAccademia francese: «Sarà una buona fanciulla che non farà mai parlar di sé.» In un altro ordine d’idee la società che ha per nome La Forchetta armonica pare destinata a più lunga vita e sopratutto a vita più amena e giuliva. È già decenne. La è una istituzione letteraria, musicale e gastronomica. Voglio dire che i fondatori e membri principali hanno la buona idea di riunirsi ogni mese in un modesto banchetto. Colà si comunicano a vicenda le loro idee. Lo scopo della società è di raccogliere tutto quello che riguarda la letteratura musicale, vale a dire le opere letterarie, i libri, opuscoli, ecc., che trattano di storie della musica, di biografie di compositori o d’artisti, e simili materie. Ha già dato alla circolazione più di sessanta volumi e ne tiene almeno un egual numero in serbo che aspettano la pubblicazione. Nulla dunque di meglio. Se non che (ah! v’è un se non che’.} la società è un v^ro cenacolo. Ad eccezione d’una dozzina di membri (quelli cioè che si radunano ogni mese a questo modesto e fraterno convitto) gli altri scrittori di opere letterario-musicali sono messi da banda. I soli membri del cenacolo sono citati, di essi soltanto si fa menzione; gli altri non esistono, sono i profani. Avete letto le Camaraderie di Scribe; essa vi darà un’idea di quel che è la Forchetta armonica. Peccato! perchè se volesse esser veramente quel che dovrebbe, potrebbe divenir veramente utile all’arte.