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244 GAZZETTA MUSICALE DI MILANO

  • Al teatro Comunale di Ferrara riuscirono benissimo due esperimenti

annuali degli allievi dell’istituto Musicale. Un programma vario fu esaurito fra gli applausi; i giornali lodano, fra gli altri allievi, il sig. Luigi Borgatti, che da poco dedito allo studio dell’oboe, diede splendido saggio della sua abilità. ¥ Il nostro collaboratore marchese D’Arcais fu nominato ad unanimità presidente dell’Accademia di S. Cecilia di Roma. L’Esposizione Nazionale di Lione fu inaugurata solennemente il 7 corcorente; concerti musicali rallegrarono la festa dell’industria. V- La città di Hannover ha aperto un concorso per un monumento da erigere a Marschner. Si tratta d’una statua di bronzo maggiore del vero, che sarà collocata presso al teatro. La città di Colonia ha accettato il disegno dJun nuovo conservatorio, e sono già incominciati i lavori. Il nuovo edilìzio, oltre i locali necessairi alle scuole, avrà sale di riunione e di concerto. Noi possediamo opere di tutti i-colori, scrive l’Etoile’, abbiamo: la Dame Bianche, il Domino noir, il Chaperon rouge, i Chaperons blancs, il Domino rose, la Barbe-Bleue, la Beine topaze, e in fine la Princesse jaune’, senza contare il Trou vert!!

  • Tre opere nuove sono aspettate a Pietroburgo; Pskowidianka. (La fanciulla

di Pskow) di Rimski-Korsakoff; Boris Godounoff di Mussorgski; l’0pritschik di Tschaikowski. ROMA, 16 luglio. L’Aida all’Accademia Filarmonica — A’ Accademia di Santa Cecilia, e il futuro Liceo Musicale — Sopettacoli in fieri. Ho un sacco di notizie tutte interessanti e prelibate e mi dispongo a comunicarvele, colla speranza che i vostri e miei lettori me ne sapranno grado. In primo luogo, continuano i concerti in piazza Colonna e in piazza Navona. E vero che in quest’ultima sono qualche volta disturbati dalle lotte fra i neri e i liberali, e lo scoppio delle bombe e i colpi di revolver accompagnano le dolci melodie, ma gl’imperterriti bandisti proseguono a dar flato alle trombe come se nulla fosse, ed io faccio come loro. Le musiche militari ei danno Y Aida e vi lascio immaginare che idea i romani possano formarsi della nuova opera di Verdi ruinata a quel modo. A proposito teW’Aida già vi scrissi che il gran finale dell’atto secondo doveva essere eseguito in uno dei privati esercizi della nostra Accademia filarmonica, sotto la direzione del maestro Alessandro Orsini. E questo esperimento ebbe luogo in condizioni tali che io non posso rallegrarmene. E possibile d’immaginare il finale delFAzcfo ridotto alla sola parte vocale con accompagnamento di.pianoforte, senza il potente ed efficace suo strumentale, senza la scena e la decorazione? I cori della Filarmonica, composti in massima parte di dilettanti, sono ottimi; però voi converrete meco che i cori non bastano a riprodurre esattamente gli effetti di questo grandioso finale di cui vi parlo. Le prime parti, di gran lunga inferiori ai cori, hanno fatto’ciò che hanno potuto e dice il proverbio che la più bella donna del mondo non ’può dare che quello che ha. Aggiungete un grave inconveniente avvenuto durante il concerto. La signora Palletta che era incaricata di una delle parti principali ed avea fatto tutte le prove, punta da non so quale offesa alle sue convenienze artistiche e dilettantesche, abbandonò improvvisamente la sala, e fu necessario sostituirle la signora Fidi, che non conosceva quel pezzo. La signora Fidi si trasse d’impegno onorevolmente; tuttavia, in mezzo ad un cumulo di tante circostanze sfavorevoli, ben pochi abbiamo potuto apprezzare la musica che veniva eseguita (*). In generale i concerti dell’Accademia filarmonica non possono esercitare alcuna salutare influenza sull’incremento dell’arte nella nostra Roma. Vi predilige la musica teatrale, quella stessa che il pubblico ha campo di udire tutto Fanno all’Apollo, all’Argentina, al Politeama. È ben raro il caso che vi si eseguisca qualcuno di quei componimenti musicali che di rado si possano udire nei teatri. Pochi mesi or sono fu cantata la Norma di Bellini in frac e cravatta bianca; l’altra sera abbiamo avuto VAida in crinolino; un’altra volta ei daranno forse il Trovatore o il Ballo in maschera. Per questo riguardo stiamo addietro da Firenze e da Milano, e notate che gli elementi vocali della nostra Accademia sono ottimi, come vi dissi più volte, ed una intelligente Direzione se ne potrebbe giovare per far udire anche a Roma molti capolavori italiani e stranieri che qui ben pochi conoscono. Forse coll’andar del tempo vedremo compiersi anche nella capitale la trasformazione ch’è avvenuta in altre città. Il gusto del pubblico non si forma da sè; conviene dirigerlo e guidarlo, e sovratutto è necessario che l’Accademia e il (*) Nel mentre in questi giorni alcuni giornali trovarono troppo severa la legge sulla Proprietà letteraria, noi al contrario deploriamo che la legge stessa non sia sufficientemente restrittiva in modo d’impedire ora e sempre sfregi di tale natura, che sono una vera profanazione dell’arte. La Direzione. vn. IL RATTO. Era la mezzanotte del 25 giugno, e Diego Velâzquez de Silva, assieme alla bella Anna, trovavasi nel suo studio, assorto, pareva, in profonda meditazione. La fanciulla, seduta alla finestra aperta, accarezzava colla bianca mano il capo di un grosso alano dal lungo pelo nero; anch’essa era pensierosa e mesta, come se il suo candido volto fosse stato lo specchio di quello di Velâzquez. Quantunque don Diego abbia già fatto il ritratto di Anna, mentre parlava nel bosco col duca dell’Infantado, mi proverò io pure a farlo al lettore. Questa gentile creatura toccava appena i diciasette anni; i suoi occhi azzurri, coperti da larghissime sopracciglia bionde, erano grandi, ben fatti e sereni, e la dolcezza di quegli sguardi armonizzava col candore dell’animo suo. Le scendevano i capegli in lunghe anella poggianti sugli omeri, spandendosi a guisa di una cascata d’oro sulle bianche spalle; il volto di forma ovale prolungata, leggermente dimagrito verso le tempie e la parte inferiore delle gote, presentava i segni infallibili di quella terribile malattia di consunzione, che s’impadronisce di tante fanciulle all’uscire dall’adolescenza, e che le getta nel sepolcro prima di vedere coloriti i loro sogni della fanciullezza. Quei desolanti sintomi davano alla figura di Anna il maggiore fascino che possedesse, imprimendole un triplice carattere di melanconia, di sofferenza e di innocenza, che avrebbe profondamente commosso il cuore più. insensibile. La sua veste bianca di pizzo, a maniche aperte alla fiamminga, disegnava i contorni perfetti, ma poco sviluppati della sua persona; erano le sue forme di cosi grande delicatezza, che conservavano, nonostante la loro morbidezza, un’impronta tuttora infantile. Il grosso cane Medoro, a’ suoi piedi, poggiato sulle gambe posteriori, alzava l’enorme capo sotto la dolce pressione della mano leggiera che sopra esso si posava accarezzandolo, e fissava i suoi intelligenti occhioni sul volto di Anna. Velâzquez era pallido, e i suoi neri occhi, circondati da un largo e scuro cerchio, apparivano mesti; davano a conoscere facilmente che da molte ore non li chiudeva al sonno. Infatti, la notte precedente non aveva avuto un istante di riposo, tormentato dal divoratore pensiero che gli inspirava la sorte di Anna. Quella creatura era per lui l’unico bene, e sapeva fin troppo ciò di che era capace il Re Filippo IL, quando si vedeva contrariato in qualcuno dei suoi amorosi capricci. A parte questa convinzione, Velâzquez non incolpava delle sregolatezze del Re il Re • stesso; ad onta dell’amicizia che il conte-duca gli dimostrava dopo fatto il celebre e magnifico ritratto, il cuore leale di Velâzquez non aveva creduto alla sincerità dell’affetto che gli ostentava il favorito. L’aito ingegno e il savio criterio dell’artista avevano indovinato quanto di falso e maligno esistesse nel carattere di don Gaspare de Guzman; aveva compreso che F ambizione era la passione dominante in quell’anima; sapeva che non intralasciava alcun mezzo per fomentare le passioni del Re e che era capace di tutto per soddisfarle, quando in tal guisa poteva innalzare alquanto il piedestallo della sua fortuna. Per questo gli inspirava tanti timori la sorte di Anna e tremava al pensiero che si potesse risvegliare nel suo cuore un diverso amore, che egli giudicava interamente sconosciuto al cuore puro di quella fanciulla. — Ama me soltanto come un fratello, diceva fra sè stesso, e questo amore, che fa parte della sua esistenza cosi^ abbandonata e solitaria fin dal giorno che mi conobbe, basta per farla felice... Ma se il Re giunge a parlarle e a scuotere il suo cuore, questo cuore innocente che se ne sta assopito per la mia abnegazione... oh! allora ella amerà Filippo IV.. Si, lo amerà... e... da quel giorno... il mio genio, la mia gloria d’artista si sprofonderanno nel sepolcro!... (Continua).