Pagina:Gazzetta Musicale di Milano, 1872.djvu/249

GAZZETTA MUSICALE DI MILANO 243 Anche questa settimana fu povera di spettacoli teatrali; abbiamo avuto in compenso una novità, un’opera copiica in tre atti del maestro Rasori al teatro Fossati. Il maestro Rasori è un giovinetto che s’avvia baldanzoso verso la ventina o l’ha di poco passata. Dirige l’orchestra del teatro Fossati con abilità, ha già scritto un paio di sinfonie. Da questo a scrivere un’opera ei corre, ma chi è oggi che non iscriva un’opera? Il Don Marzio, a cui ho assistitito ieri, ebbe nell’insieme esito barcollante, incominciò con applausi, andò innanzi tra gli applausi e le disapprovazioni e fini tra le disapprovazioni. Classifichi chi legge. Giova per altro dire che l’esecuzione fu pessima, l’orchestra slombata e sgangherata affaticava a tener dietro al direttore dando uno spettacolo veramente compassionevole, i cori stonavano invariabilmente, gli artisti erano impacciati e paurosi, il buffo cantò tutta sera in chiave di raffreddore; si salvarono la signora Lamberti, che ha un filo di voce gradevolissimo e molta abilità, e il baritono Carpi, disinvolto ed intonato. Anche il beniamino del pubblico, il tenore ZanardiLandi, che ha talvolta dei cattivi momenti, ne ebbe uno che durò tutta sera. Con questa specie di esecuzione si strozza anche un capolavoro. Ma il Don Marzio non è un capolavoro. Ci sono qua e là delle buone intenzioni, arte non ve ne manca, e lo strumentale è trattato piuttosto bene; abbondano i canti, talvolta belli, ma l’originalità manca sempre; il ventenne maestro ei fa sapere che egli ammira Rossini, Cimarosa e Verdi e Petrella ed Offenbach; lo stile è a volte fiorito, a volte liscio e severo, a volte smorfioso come quello di Offenbach; il più bel motivo dell’opera è un’aria del baritono nel Rigoletto; ei sono altre belle cose, parecchie di Rossini e di Cimarosa, che il Rasori crede sue in buona fede. Non ne ha colpa; quando si hanno i suoi anni si crede sempre la stessa cosa, e si scrivono le opere alla maniera del Don Marzio, quando non si scrivono peggio. E per esempio, fatta la parte al biasimo, mi congratulo col giovine autore delle buone disposizioni che ha dimostrato. Ci è un sestetto nel secondo atto che mi pare uno spiraglio d’un avvenire molto luminoso. Coraggio, adunque, signor Rasori, e sopratutto, quando farete un’altra opera, fatela eseguire meglio. 3. Parecchi giornali hanno annunciato la rappresentazione d’nn^ opera nuova del maestro Cagnoni a Firenze col titolo Giraldo,. Quei giornali sono in errore. La Gir aida del maestro Cagnoni non conta.meno di venti anni, di vita, e fu rappresentata appunto in Milano nel 1852, al teatro Santa Radegonda con lieto esito. Il più curioso è che alcuni hanno rimproverato a quest’opera alcune reminiscenze del Papà Martin, ultima opera di Cagnoni. È probabilmente il contrario che è avvenuto. V" Liszt lasciò la città di Kassel, che gli fece bellissima accoglienza, e ritornò a Weimar, ove, secondo il Giornale di Colonia, si occuperà di una grande composizione per una serie di feste musicali che avranno luogo nel prossimo settembre al Wartburg. 4 E d’appaltarsi il teatro di Sassari per autunno e carnevale 1872-73 o anche per più anni. — Preferibilmente si accetteranno progetti di spettacolo d’opera in musica. W Per l’autunno venturo è d" appaltarsi il teatro Alfieri d’Asti, con una dote di 14,000 lire., Si esigono due opere serie e due balli grandi. Dirigere i progetti al Sindaco. Terminate le rappresentazioni dell’opera italiana al Covent Garden di Londra, un Impresario francese, Dion-Boucicault, ne prenderà possesso per farvi rappresentare una gran féerie, dal titolo Sans-souci, con musica di Hervé. -R Dal Marocco sta per arrivare in Europa una compagnia di Mori, che hanno formato un’orchestra di nuovo conio. I loro strumenti non sono altro che stoviglie (gulabes) sulle quali battono con un legno (arazug), ottenendo effetti mirabili. Ultimamente essi si sono fatti udire a Tripoli, suonando fra gli altri pezzi la sinfonia della Semiramide e il rataplan delPAsse^zo di Leida di Petrella. Così il Trovatore. L Imperatore di Russia ha assistito non è molto alla rappresentazione dell’Orfeo_di Gluck, che fu interpretato dagli allievi del Conservatorio di Mosca. Lo Czar, ammirato, accordò subito una sovvvenzione a quell’istituto, che annovera fra’ suoi professori un italiano, l’ex-tenore Galvani. Si dice definitivamente scritturato alla Scala per la ventura stagione, il tenore Genevois. Giorni or sono, nell’istituto dei ciechi di Parigi ei fu uri interessante accademia musicale. Tutti gli esecutori, compreso il direttore d’orchestra, erano ciechi-, la meraviglia fu grande quando si udì il raro accordo e la precisione con cui suonarono quegli infelici! A. Rubinstein ebbe dal poeta Mosenthal il testo d’un’opera col titolo Lea, argomento tolto alla storia dei Maccabei. Il compositore promette di farne presto la musica. labbra della Regina. La povera Isabella doveva tutte le sue angoscio all’influenza fatale che il conte-duca esercitava sull’animo del marito. La Infanta raccolse le sue carte, e preceduta e seguita da due dame, si avviò alla camera del padre. L’indisposizione della Principessa era tanto leggiera, o per meglio dire, cosi abituale, che la Regina non si oppose a che si recasse nell’appartamento del Re, contenta che si procurasse qualche distrazione. — Ho da parlare a V. M. di una cosa riservata, signora, disse il conte-duca volgendosi imperiosamente verso le dame, le quali senza aspettare un segnale dalla Regina ritiraronsi nell’anticamera: decisamente il vero Re era don Gaspare de Guzman. — Vi ascolto, disse Isabella sedendo e appoggiando la mano sulla guancia con aria malinconica. — Sono venuto, incominciò l’Olivares, sono venuto a pregare V. M. perchè mi aiuti a salvare un’infelice fanciulla dall’amore del Re. Nel sentire quelle crudeli parole Isabella impallidì; portò le sue mani al cuore come se ivi avesse ricevuto una profonda ferita, e tosto due grosse e calde lagrime irrigarono le sue guancie. — Cosa posso io fare? susurro con tanto abbattimento che il cuore del favorito, suo malgrado si commosse. — Questa giovane si salverà se V. M. mi permette di condurla questa notte in questo appartamento. — Giammai! esclamò con veemenza la Regina; credo di operare con maggiore decoro mostrando di ignorare le sregolatezze del Re, di quello d’oppormi ad esse con inutili scandali. — Qui non vi può essere scandalo alcuno; io mi son visto obbligato d’offrire al Re che l’avrei avuta stanotte in mio potere, ma in pari tempo voglio salvare l’onore di quella infelice creatura, e liberare Don Diego Velâzquez da un’angoscia che gli costerebbe la vita, perchè ama codesta giovane con tutta l’anima sua. — E chi vi obbligava a pascere in tal guisa la passione licenziosa del Re per questa fanciulla? esclamò Isabella di Borbone alzandosi sdegnata e altera: chi se non la vostra infame ambizione ha colpa dei traviamenti del padre de’miei figli? Chi è la causa di tutte le mie afflizioni? Chi impoverisce e perde il regno? Voi.... sì! solo voi, favorito venale di un Re eccessivamente credulo.... E volete che io vi presti mano nelle vostre inique trame? Volete che io sia il docile istromento dei vostri ambiziosi piani, per raggiungere lo scopo che vi siete proposto di farmi perdere sull’animo del Re qualunque influenza? Non lo sperate giammai! — V. M. si rifiuta? chiese il favorito, il quale, ad onta delle violenti apostrofi della Regina, la guardava- con calma provocante. — Mi rifiuto, sì. — Andrò, dunque, ad avvisare Velâzquez. Un impeto di collera coprì di porpora il dolce e poetico sembiante della Regina. Si alzò essa dal luogo in cui era seduta, e avvicinossi lentamente, in tono austero e minaccioso, al conte-duca. — Se fate ciò, gli disse a bassa voce ma in tono altero, e accentuando le parole; se fate ciò, io sarò quella che vi getterà per sempre in un abisso.senza fondo; fate bene attenzione, don Gasparo di Guzman! Se vi esce di bocca il nome del Re, Isabella di Borbone, ve lo giura sul suo reale nome, sarà quella che scoprirà a Filippo IV la proposta che siete venuto a farle stanotte! Partite! La Regina indicò la porta all’Olivares con piglio severo; e questi, malgrado il patito oltraggio, usci posatamente, rammaricandosi d’essere stato colto per la prima volta in sua vita nei suoi proprii lacci. Quando si trovò nella seconda anticamera, la rabbia succedette al rammarico, e battè il pugno furioso sulla sua fronte. — Viva Dio, disse fra i denti, è proprio inutile che io cerchi di essere buono! La prima volta dacché vivo che mi avviene di attenuare una cattiva azione con un’altra buona, sono stato vergognosamente respinto!... Avanti dunque! La fiamminga sarà del Re; e Velâzquez... Velâzquez l’ho già ricompensato a dovizia del mio magnifico ritratto che mi ha fatto colla somma che per esso gli ho data... Ah! andiamo a vedere ora chi è che vince, signor duca dell’Infantado.