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GAZZETTA MUSICALE DI MILANO 225 festa dell’imperatore. Carlo VI occupò il posto del direttore; Fux gli stava di dietro, voltando i fogli. Nella partitura trovavasi un passo difficilissimo a dirigersi, ma l’imperatore l’interpretò con tanta maestria, che Fux, malgrado le regole dell’etichetta, gli gridò un bravo sonoro, poi volgendosi all’imperatore gli disse: «In fede mia, di Vostra Maestà si potrebbe fare un eccellente maestro di cappella!» L’imperatore volgendosi tosto, rispose: «Cospetto! mio caro maestro, lo so bene anch’io, ma preferisco restare imperatore.» Rivista Milanese Sabato, 6 luglio. Gran dicerie al solito, ma questa volta abbastanza prossime, e abbastanza sicure per meritare di essere raccolte. Il nuovo teatro Dal Verme è quasi compiuto; è un vasto edilìzio a forme grandiose ed eleganti e pare destinato ad essere durante la stagione estiva il ritrovo favorito dei Milanesi d’ogni ceto; avrà caffè e trattoria annessa, spaccio di guanti e non sappiamo quante altre beatitudini. Questa specie di paradiso terrestre sarà aperto agli Adami e alle Eve domiciliati in Milano nel mese di settembre prossimo, con quell’altra delizia melodica che è la Favorita, interpretata da quel portento canoro della Galletti-Gianoli, dal baritono Giraldoni e dal tenore Aramburo, di cui la stampa ha strombazzato ai quattro venti le scritture ufficiali. Si dice pure che l’impresa attenda ad assicurarsi per quella prima stagione anche i coniugi Pozzoni-Anastasi. E troppo, è troppo, noi la preghiamo a mani giunte; se questa ed altre dicerie si avverano, come faremo ad aspettare senza deliquii il mese di settembre? Si sa inoltre che in quel benedetto mese avremo il Freischütz alla Scala col basso Maini e colla signora Pasqua, e che si inaugurerà l’Esposizione Artistica, il monumento a Leonardo da Vinci, e il Salone restaurato del Marino, senza contare le prime frescure autunnali eccetera; insomma beato* chi saprà sopportare la vita fino a settembre! Gli spettacoli che abbiamo al presente pajono fatti apposta per farci sognare ad occhi aperti le delizie del futuro; Le Educande di Sorrento al Fossati, e il Noce di Benevento al teatrino estivo, la compagnia drammatica Calamai alla Commenda, la compagnia acrobatica Ciotti al Politeama e punto e basta. Delle Educande di Sorrento abbiamo parlato più d’una volta; quanto all’esecuzione non ei è gran fatto male, e in alcune parti ei è del buono. La signora Lamberti non ha gran voce, ma in compenso la adopera con un metodo eccellente, e si mostra abbastanza disinvolta a dispetto del naturale impaccio d’esordiente. Bene la signora Pala-Graziosi nella parte di Donna Placida, a cui per altro dà un carattere forse troppo caricato. Il difetto opposto, cioè disinvoltura eccessiva, convien rimproverare al baritono Graziosi, artista di belle maniere e molto corretto nel canto;, infine merita una parola d’elogio e di incoraggiamento il signor Reslieri, uscito testé dalle officine benemerite in cui si lavora divulgare le idee e le castronerie, per solfeggiare in chiave di tenore; ha voce gradevole e intonata e canta con arte sufficiente avuto riguardo al bevre studio. E allievo del maestro Leoni. Allo stesso teatro questa sera va in scena la Cenerentola. Al teatro estivo ha visto la luce una nuova fiaba il Noce di Benevento, parole d’un incognito, musica del signor Alfa Omega. In ogni tempo il noce ebbe fama d’essere una pianta traditrice per le sue esalazioni soporifere; quelli che intervengono al teatrino estivo ne fanno esperimento; si fidano dell’ombra, del susurro... e si addormentano. La fiaba è in fatti nulla più che ombra e susurro e non mette il conto di parlarne; quanto alla musica ei è del buono assai, e ha fatto nascere in tutti il desiderio di penetrare il mistero alfabetico che nasconde il nome del compositore; il mistero è però rimasto inviolato. Al teatro della Commenda fa buoni incassi la compagnia Calamai; basti dire che la dirige quel capo ameno di Leopoldo Vestri. Chi non l’ha sentito nella parodia del Ballo in maschera, corra a prendere il biglietto la prima volta che la vedrà annunziata; tutti quelli che l’hanno sentito non mancheranno certo alla parodia dellALW promessa dal Cartellone. La fortuna del Politeama va di trotto come i suoi cavalli. Lasciamola andare. fi. — L’avventura è originale! disse il duca appena Velâzquez ebbe finito di leggere. — Quando appresi il contenuto di questo scritto, continuò l’artista guardandolo, un sentimento di profonda e dolorosa pietà s’impossessò di me; la sorte lagrimevole di quella donna, che intravvedevo essere una nobile signora, mi commosse sino al punto di scoppiare in lagrime, e mi confermò nel proposito che avea di condurre con me in Ispagna la mia innocente Anna. Pensava di condurla vicino a Giovanna, siccome esigeva la madre sua; e sebbene un sentimento di amarezza ingeneravasi nel mio cuore riflettendo quanto sarei stato felice se mi fossi potuto unire a quell’angelica creatura, posso dirvi con verità che la memoria dei benefici che avevo ricevuto dal padre della moglie mia, il serio e tranquillo affetto che questa mi inspirava, e l’amore della mia figlia dominarono ben presto quel pensiero funesto. Uscii di casa, e, dirigendomi a quella di un orefice, comperai un medaglione d’oro con una catena dello stesso metallo; vi chiusi la treccia della madre di Anna, e lo custodii, aspettando l’ora d’andarla a trovare; intanto faceva con attività, i preparativi della nostra partenza, che doveva effettuarsi allo spuntare dell’aurora. Batterono, finalmente, alla grande cattedrale le undici e mezza, e allora pigliai una scala di seta, prima preparata, e mi diressi alla casa di Anna. Già essa mi aspettava d’in sul balcone; assicurata la scala, calò con piede fermo, e la mia mano, per la prima volta, toccò la sua, onde aiutarla a scendere. Quando toccò il suolo, misi al suo collo la catena dalla quale pendeva il medaglione. — Conserva, le dissi, conserva, Anna mia, questo ricordo di nostra madre che ti offre la mano di tuo fratello. — Ah Dio mio! esclamò con indicibile alle grezza; tu sei mio fratello? — Sì, risposi con voce sicura e chiedendo dall’intimo del mio cuore perdono alla madre mia per quella generosa bugia, che mi rammentava i miei doveri; sì, Anna, io sono il tuo fratello, e questa felice notizia l’ho rinvenuta nelle carte che mi consegnasti stamane. — Ah! è forse perciò che ti amai sin dalla prima volta che ti vidi! disse appoggiandosi con abbandono al mio braccio, e disponendosi a seguirmi. L’ingenua non pensò neppure di chiedermi quali erano i nostri genitori; quella infantile intelligenza, offuscata dalla totale ignoranza del mondo, non curava informarsi dei legami del sangue. Finalmente giungemmo alla mia abitazione. Allora pregai Anna che si coricasse nel mio letto, ciò che fece docilmente, e presto m’avvidi dal suo uguale e tranquillo respiro che dormiva. In seguito, approfittando di quel sonno, presi la penna e scrissi a sua madre una lettera concepita in questi termini:» Signora: Anna è in mio potere sicura e ricoverata per sempre; sono mariti) e padre, ed essa sarà la sorella di mia moglie.»La vostra figlia ed io partiamo per la Spagna entro due ore. Se un qualche giorno desiderate abbracciarla chiedete del pittore del Re Filippo IV. Diego Velâzquez de Silva». Spedii questa lettera e mi avvicinai al letto di Anna; dormiva come un bimbo nella culla, ma il mio puro amore di artista era stato santificato dalla lettera della madre sua, epperciò non accostai le mie labbra a quella fronte. Passai due ore a contemplarla; la vista del suo angelico sembiante, incoronato da biondi ricci, recava al mio cuore una calma e una gioia che giammai aveva provato. Ohimè! era l’amore, che segretamente sotto quella forma filtrava nell’anima mia e la soggiogava. Brillò finalmente il primo crepuscolo dell’aurora all’oriente; svegliai Anna, e un quarto d’ora dopo eravamo sotto la vela di un bastimento spagnuolo. Allo scomparire dal nostro sguardo