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^.CUTO. 212 GAZZETTA MUSICALE DI MILANO Grandi simpatie accolse fra noi quest’opera insigne e si applaudi freneticamente la stupenda sinfonia, un duetto, mezzo-soprano e basso, la romanza del tenore e quella del soprano (Isabella) che è pure una soavissima ispirazione. Sono questi i pezzi più importanti del primo atto; nel secondo furono compresi e applauditi l’aria del soprano, il terzetto fra i due soprani e il tenore, cioè sbagliava, il baritono; sic voluere priores, e io già vi annunziai che il maestro Fornari si permise di trasportare da una chiave all’altra tutta la parte di Cafarelli. Il coro così detto della mascherata, è un pezzo bellissimo, vivace, strumentato rigorosamente, ma produsse poco effetto, chè le masse vocali di questo teatro, se pur dieci o dodici coristi possono costituir massa corale, sono insufficienti. Il settimino finale è bellissimo, melodico il breve adagio; rapida, di effetto è la stretta. Il terzo atto conta fra gli altri bei pezzi un terzetto sillabico fra due soprani e tenore, che è un capolavoro; se ne richiede ogni sera la replica. Il coro di arcieri, e il quartettino insieme con la scena finale dovrebbero esser eseguiti meglio. Ciò non ostante il pubblico li gustò. Ed eccomi, senza volerlo, scivolato nell’esecuzione: e qui la cosa cangia aspetto. Acuto compiacesi col maestro Fornari, perchè, a dispetto di quel maledetto municipalismo esclusivo che ei vietò sempre di conoscere ed apprezzare i capilavori stranieri, prese ogni cura perchè l’opera sortisse esito lieto. Ma non torca il muso se gli dico schiettamente, come sempre soglio, che una musica che destava tanto interesse doveva essere provata di più, e bisognava accrescere l’orchestra di qualche altro strumento da corda, violini e viole segnatamente. L’Hérold spesse volte trae degli effetti nuovi e bellissimi dal quartetto ad arco, ma essi qui perdonsi, o non sono eseguiti nella loro integrità. La parte vocale fu debole assai; meno il Montanaro, che cantò da maestro, gli altri davano chiaramente a divedere essere impacciati troppo nell’eseguire un genere di musica diffìcile e nuovo per essi. Le modeste dimensioni del palcoscenico valsero pur esse a scemare in più d’un punto l’effetto della musica, la quale, presentata che sia su maggiori scene, non tarderà a farsi largo. Una musica tutta canto e tutta cuore ha diritti veri alla cittadinanza d’Italia, peccato che nessuno se ne sia ricordato prima. E dire che quest’opera fu rappresentata la prima volta all’0péra-Comique il 15 dicembre 1832! Il Consiglio comunale è stato sciolto; il Mosella può dormire sonni più tranquilli. Al S. Carlo continuano le rappresentazioni del Ballo in Maschera. L’esecuzione è di molto migliorata. Il Celada e la Blum sono applauditi nel duetto al secondo atto e ognuno separatamente negli a solo rispettivi. Il Ministero della Pubblica Istruzione alla fine pensò a questo nostro Collegio di musica. Il Consiglio direttivo fu nominato pochi giorni fa ed è composto, oltre il Rossi direttore, del Serrao e due maestri da scegliersi fra quelli di composizione e canto, di. uomini dotti, e pieni di zelo e di operosità. Sono dessi il cav. Raffaele de Novellis, presidente, il Commendator Valerio Beneventani, deputato al Parlamento, il commendatore Luigi Settembrini, professore di letteratura italiana nella nostra Regia Università, cav. Federigo Persico, professore di diritto amministrativo pure nel nostro Ateneo; il cav. Spinelli dei principi di Scalea. Affidato alla cura di questi valent’uomini e diretto dal Rossi, il nostro Collegio di Musica, vo’ sperare, riprenderà tosto il suo lustro, e si farà vivo per grandi cbncerti storici, e per l’esecuzione di quei capi lavori che è vano sperare di udire altrove. PARIGI, 19 giugno. La Princesse jaune di Saint-Saëns all’Opéra Comique — Il libretto di Luigi Gallet — La scuola neo-alemanna — Bonsoir, voisin di Ferrando Poise, allo stesso teatro — Parallelo. Nella mia precedente lettera vi annunziavo che la sera stessa del giorno in cui io scriveva, doveva aver luogo la prima rappresentazione della piccola opera-comica di Camillo SaintSaëns, intitolata La Princesse jaune, e ve ne promettevo un rendiconto. Veramente se il caldo tropicale che affanna in questo momento Parigi non consigliasse di rimandare a tempi più miti le novità teatrali, per non farle eseguire innanzi alle scranne d’una sala vuota, trascurerei volontieri di parlar dello spartito di Saint-Saëns, come di cosa di poco momento. Ma ve ne intratterrò per due ragioni: la prima è la mancanza assoluta di altro argomento; la menoma operetta nuova è considerata come un favore della provvidenza; avrei dunque torto di metterla da banda. La seconda ragione è nell’importanza, giusta o ingiusta, fondata o no, che si lega all’individualità del compositore. Bene o male, Saint-Saens non è quel die chiamasi d’ordinario un Quidam, in altri termini «le premier venu», secondo voglia scegliersi l’idioma latino o il francese. Gli è un filarmonico di grande ingegno, un musicista erudito, e che ha fatto gli studi più severi in fatto d’armonia. Pianista, compositore, conosce in modo ammirevole l’orchestra, e sa istromentare un pezzo di musica come ben pochi oggigiorno. Si arresta egli a Berlioz o va fino a Wagner £ No’l so e no’l posso sapere perchè questo strano e dotto conpositore ha una facoltà d’assimilazione a nessuna seconda. Egli imita alla prefazione il genere di tal o tal altro maestro, beninteso che preferisce di molto gli armonisti ai melodisti. Perché? È forse perchè non ha immaginazione, fantasia, ispirazione, genio, tutto quello insomma che hanno i veri melodisti, quelli cioè che hanno sortito dalla nascita il dono del cielo? Anche questa volta debbo rispondere: noi so. Ma credo piuttosto che se non scrive come i melodisti è tanto perchè non può farlo che perchè non vuol farlo. Per meglio spiegarmi, dirò che no’l può, ma che se lo potesse, noi vorrebbe. Egli crede, come tutti quelli della scuola neo-alemanna che la melodia è giocattolo da fanciulli, passatempo di feminette, cosa facile e vieta, e penserebbe umiliarsi e scendere al livello del volgo scrivendo qualche cosa di melodico. Il libretto della Principessa gialla è di Luigi Gallet, lo stesso che scrisse la Djamileh musicata dal Bizet, compositore ejusdem farinœ e del quale vi ho già parlato a lungo in altra mia. Nulla di più semplice e di più infantile che l’intreccio di questo libretto. Eccolo in poche righe: Kornélis giovine filosofo olandese, è appassionato del Giappone, degli usi, costumi, e letteratura di questa lontana contrada. Sua cugina, Lena, che l’ama, dispera d’esserne riamata, perocché Kornélis adora una immagine, una donna dipinta, una principessa gialla, una figura di paravento! A mezzo d’un narcotico orientale, ecco che egli si trasporta col pensiero a Jeddo. Sogno o allucinazione, crede essere in questa città del Giappone; è felice, è al colmo del giubilo; poiché trova la bella principessa ch’egli ama tanto. Ma la trova sotto la sembianza di Lena sua cugina. Avrete già capito che è l’astuta ed amorosa Lena che si presenta a lui, vestita alla foggia giapponese. Qui una grande scena d’amore. Ma il narcotico perde il suo effetto; Kornélis si ridesta, e si trova nelle braccia della sua bella cugina. Questa volta non le preferirà una figura dipinta. Mi doma nderete come avviene che il popolo, il quale ha vanto d’essere il più spiritoso del mondo, possa contentarsi di simili fanciullaggini? Eppur così è. Ciò che farebbe un mediocre racconto da bambini è dato come libretto per musica ad un compositore che l’accetta, ne è lieto e lo mette in musica. Che vengano ancora a farsi beffe dei libretti italiani!... La musica di Saint-Saens è, come vi dissi, ben scritta, vale dire che annoia mortalmente da un capo all’altro. Figuratevi un eterno recitativo bene orchestrato. Vi cerchereste invano una frase melodica, quel che chiamasi costà un motivo. Impossibile di ritenerne checchessia. Ma, vorrei dire a tutta questa setta di pseudo-alemanni, anche la musica di Weber è bene scritta. Perchè dunque non annoia la gente come fa la loro? Mozart sapeva scrivere, se non m’inganno, e perchè il Don Giovanni non invecchia mai? Ma andate a far capire questa verità ai seguaci ed ammiratori di Riccardo Wagner. Vi risponderanno che essi non scrivono pel volgo, che se la loro musica non piace, tanto peggio per quelli che non l’amano. L’avvenire saprà rendere loro giustizia! — Che aspettino dunque l’avvenire. Bisogna per altro render al pubblico la giustizia che merita. Esso restò di ghiaccio all’esecuzione dell’operetta di Saint-Saëns. Non disapprovò, sia perchè non è l’uso qui di dar segni di disapprovazione ad una prima rappresentazione, a meno che l’opera non sia roba da chiodi; sia perchè volle tener conto dell’ingegno mostrato fino ad oggi del Saint-Saens in altri lavori sinfonici. Ma il tedio, la stanchezza, il fastidio leggevansi su tutti i visi. La stampa non è stata neppur essa favorevole al compositore e non poteva esserlo. I critici s’erano troppo annoiati. Ma siccome Saint-Saëns ha molti amici nel giornalismo, e questo essendo per lo più cortese, in qualche raro organo dell’opinione pubblica trovereste che La principessa gialla è risparmiata. Il vero è che ha fatto quel che potrebbe chiamarsi un po’brutalmente un vero fiasco. Ma è «ben scritta?» E si che è ben scritta, ma che m’importa, se mi fa scavezzar le mascelle a furia di sbadigliare. Se qualcheduno m’invitasse a divertirmi in sua casa, e volesse farmi assister alla lettura di un libro che tratti d’algebra o di trigonometria, credete voi che mi farebbe molto piacere? Eppure il libro non conterrà nulla che non sia perfettamente esatto. Non capisco perchè questi giovani maestri vogliano avere il privilegio d’imporre al pubblico la loro matematica musicale per annoiarlo così barbaramente. Oh se il facessero costà, come li fareste ritirar in buon ordine fischian