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GAZZETTA MUSICALE DI MILANO 13 avrei mai aspettato un miracolo simile. La voce soave, potente, estesissima, eguale, di questo tenore, tanto bene si attaglia alla sua parte che pochi tenori gli possono esser rivali Nella precedente mia corrispondenza vi faceva intravedere un gran dubbio sulla buona interpretazione di quest’opera da parte del tenore, ma il mio dubbio si dissipava alla luce della verità, e ne godo assai, Il Camelli, don Gasparo, fece bene la sua piccola parte, ed i cori questa volta superarono sè stessi. L’orchestra ne fa delle belle e la messa in scena di più belle ancora. Altro che la messa in scena (KM Aida al Cairo: qui, qui bisogna venire, al Camploy e anche un po’alla Fenice! Al Camploy non si è pensato quale opera succederà alla Favorita: vedono che il successo continua, e dormono sugli allori. Non mi sono mai ricordato di tenervi parola d’una nuova Messa scritta dal maestro Coccoli, che interinalmente funge qual maestro di Cappella alla nostra Basilica, in sostituzione del povero maestro Buzzolla morto or quasi un anno. Il nuovo lavoro del Coccon è pregevolissimo: particolarmente il Kyrie è qualche cosa di bello. Nel Gloria e nel Credo vi sono due fughe assai ben intese e sviluppate Solo, a modesto mio avviso, trovo che da tutto questo lavoro non emana quella gravità maestosa, filosofica, serena, che dev’essere la prima prerogativa della musica sacra. Non intendo che la musica sacra, perchè sia tale, debba essere monotona, uniforme, ma non si può provare che un sentimento disgustoso notando nella musica fatta per il tempio la cantilena profana o la marcia un po’ sguaiata. Questo, ripeto, non è che un mio apprezzamento, e consiglierei il maestro Coccon, che avrebbe più disposizione per la musica teatrale che per la sacra, a girare un po’ il mondo, soffermandosi nei centri musicali più importanti e poscia fare qualche cosa. Metto pegno che farebbe bene. P- F, IO Gennaio 1872. La quistione del teatro italiano è presso ad esser risoluta. Il Ministero accetta la proposta di far alternare le rappresentazioni di opere italiane con quelle di opere francesi. I proprietari della sala discutono le clausole del contratto per appigionarla al nostro direttore. Questi ha trovato la massima parte del capitale, e cerca il resto; nè gli sarà difficile trovarlo. Quando l’avrà in sua mano otterrà dal Ministero la permissione di aprir il teatro. Non manca più che la Compagnia. Siccome non si può scritturare un artista, senza esser sicuri d’aver il teatro, bisogna aspettare. Sicché è impossibile che il teatro s’apra, (supponendo che tutto riuscirà) è innanzi il l.° Marzo... vale a dire all’epoca presso a poco nella quale gli altri direttori lo chiudevano! Che il cielo la mandi buona al Martinet, che s’imbarca in cosiffatta avventurosa speculazione. Glielo auguro di tutto cuore, ma temo forte che faccia un capitombolo. Direttore del modesto Ateneo ha condotto finora assai bene la sua barca; ma come farà quando avrà sulle braccia l’aristocratico teatro italiano ed un rivale dell’opera e dell’OpéraComique. Aggiungete che dovrà privarsi naturalmente d’una quantità di opere italiane che sono tradotte in francese. Sarebbe assai strano, infatti, se una sera facesse rappresentare Rigoletto, la Traviata, Un ballo in maschera in italiano, e le sere seguenti le stesse opere in francese. Una delle due rappresentazioni farebbe torto all’altra, o almeno bisognerebbe fare un appalto distinto; e questo non è l’avviso del nuovo direttore. Ad ogni modo il prezzo d’un palco o d’una sedia di platea non può esser lo stesso per l’una e per l’altra rappresentazione. Si sa che i grandi artisti italiani, parlo dei principali, costano ben più caro che quelli che cantano le opere francesi. E per tutto dire questi ultimi preferiranno essere scritturati nei teatri francesi, perchè noi saranno semplicemente per una stagione o per sei o sette mesi, come alla sala Ventadour, ma per un anno intero. Tutte queste considerazioni non sembrano al Martinet abbastanza gravi par fargli abbandonare ’l suo disegno. Egli ha l’ambizione di dirigere un gran teatro, e vuole ad ogni costo riuscire. L’importante, per ora, è che il teatro italiano sia aperto, e non v’è dubbio che, lasciandolo al Bagier, non si riaprirà più. A mio avviso sarebbe stato meglio cederlo ad una Società, come aveva proposto Bagier. E Martinet sarebbe rimaso AM Ateneo. Togliete a Diogene la sua botte; mettetelo in un palagio, è perduto. L’Accademia di musica ha trovato un mezzo assai facile ed assai comico di sperimentare i cantanti prima di scritturarli. Credete che basti al nuovo direttore sig. Halanzier, di udirli e decidere se deve o no valersi del loro concorso? No. Li fa esordire in una delle opere del repertorio (che, come sapete, è sempre lo stesso); se piacciono, li scrittura, se no, li ringrazia e buon dì. Ecco perchè vediamo, una dopo l’altra, le riprese di tutte le opere di Meyerbeer, Halevy, Rossini, Auber, Verdi, Gounod, ecc. Un tenore si presenta, gli si offre la parte d’Arnoldo nel Guglielmo Teli; un contralto vuol essere scritturato oM Opéra, canterà la parte d’Azucena nel Trovatore o la Fede nel Profeta; un basso vuol esser ammesso all’Accademia di musica, subito la ripresa del Roberto il Diavolo, e cosi via. Il mezzo è eccellente, economico e pratico. Solo lo splendore dell’Opéra può soffrirne; ma che importa alla direzione? La maggior parte dei maestri le cui opere sono così sacrificate all’esperimento d’un nuovo artista, son morti o assenti. Auber, Meyerbeer, Halevy, Rossini, Donizetti non sono più, perciò non potranno lamentarsi se gli Ugonotti, la Muta di Portici, Y Ebrea, Guglielmo Teli, la Favorita sono malmenati; Verdi è in Italia, Gounod è ammalato nel Belgio; non udiamo il Trovatore, Don Carlo o il Faust. Solo Ambrogio Thomas è qui, ma la ripresa Amleto non sarà fatta nelle stesse condizioni. E la Sessi che canterà la parte d’Ofelia, scritta per la Nilsson; Obin quella del Re. Le altre parti saranno affidate agli stessi artisti che la cantarono la prima volta. Ed intanto si aspettano invano opere nuove! Non è egli strano, per non dir ingiusto, che la prima scena lirici francese abbia a fruire d’una dotazione di seicentomila franchi, che noi tutti quanti qui siamo dobbiam pagare colle imposte, senza che il foglio d’oneri, o come qui chiamasi le cahier des charges, sia rispettato? Se i seicentomila franchi debbono servire per far cantare tutte le vecchie opere da artisti per la più parte ignoti o mediocrissimi, il pubblico potrà un giorno o T altro domandare per qual ragione esso li paga. Ma che fare? La dotazione è stata concessa dall’Assemblea, composta precisamente dei mandatari e rappresentanti di questo stesso pubblico. Sicché è come se fosse stata concessa da esso e per conseguenza dovrà pagare e tacere. E se i giornali si lamentano, il direttore ed il Ministero li lasceranno dire. Viva la libertà!... La prima rappresentazione di Fantasia essendo ancora differita, e quella del Roi Carotte non avendo luogo che sabbato, non potrò parlarvene che nella prossima mia... Ma. ed è il caso di dire Lugete, Veneres Cupidinesque!, il maestro Offenbach è ammalato. Se fosse quistione di Thiers, la capitale non sarebbe tanto costernata. Tutte le così dette cocottes e tutti i petits-crevés non s’incontrano che dirigendosi reciprocamente questa domanda: — Avete nuove di Offenbach? Come va Offenbach? — si direbbe che dal suo stato di salute dipenda la sicurezza dell’intera popolazione. Non sarei meravigliato se domani o l’altro vedessi nei giornali un bollettino periodico del ’écorne l’autore del Roi Carotte ha passato la notte, a quella guisa che abbiamo veduto farlo durante la malattia del principe di Galles. Del resto, una tal quale diffidenza che non riesco a vincere, mi farebbe credere che questa malattia, che non suppongo menomamente grave (se pure è vera) sia un nuovo mezzo di reclame per la rappresentazione del Roi Carotte. Su che non si specula in questa benedetta Parigi! Intanto i prezzi dei biglietti ascendono di giorno in giorno a prezzi favolosi. Tutto è questione d’amor proprio, o per meglio dire di vanità; non già che chi spende cento e dugento franchi per una sedia di platea alla prima rappresentazione di questa féerie sia molto curioso di vederla; no; ma vuole piuttosto esser veduto e poter dire il domani: «Io era alla prima rappresentazione del Roi Carotte.» Alfonso Karr aveva ben ragione quando diceva che la più parte dei viaggiatori non lasciano il loro paese per viaggiare, ma per aver viaggialo. Nè vi sorprenda che parlando della féerie di V. Sardou e di Offenbach mi sia servito del vocabolo vedere. Le parole e la musica, infatti, non sono che l’accessorio. La parte principale è il macchinismo, la messa in scena, che ha costato una somma incredibile. Ecco a che si spende il danaro! per mettere in scena una grande opera d’illustre compositore non si spenderebbe il quarto della somma. E quest’opera si darà durante mezzo secolo; mentre il Roi Carotte durerà un anno al più! A A Londra, 2 gennaio. (Ritardato.) L’Atheneum pubblica la seguente lettera indirizzata dal fu sir Henry Bishop a Miss WhitnalL ora Mrs Scarisbrick, maestra di canto in Liverpool.» Londra, 17 settembre 1849. Cara signora. Ho ben poco a dire rispetto a quanto mi domandate sulla romanza - Home, sweet home-. Fu Miss M. Tree, che la cantò per la prima volta nella mia opera di Clari e la cantò con una forza e una espressione sì intensa che non ho mai udito eguale. Quello era invero la perfezione del canto delle ballate inglesi. Alcuni anni dopo insegnai quella romanza a una giovine si