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200 GAZZETTA MUSICA LE DI MILANO tocca l’arte scindagli! se l’indifferenza pella scuola francese o tedesca od italiana, non ha cancellato anche l’individualità dell’artista, che è ben altro, ma non si faccia colpa a chi, potendo essere francese, italiano e tedesco insieme, non scelse di essere cittadino di una sola nazione. Ora Gounod ha nella sua musica fuso felicemente le varie scuole; la meno accarezzata è l’italiana; ma la melodia abbonda, e se ha ritmi e andature qualche volta manierate, obbedisce però sempre all’ispirazione e non mai alla tormentosa ricerca di effetti strani, che, a dire di molta buona gente, è il non plus ultra dell’arte. L’opera di Gounod è prima di tutto pregevole perchè la musica si mantiene fedele alle situazioni; il duetto tra Faust e Margherita è una pagina d’amore inebbriante; la scena delle croci è l’espressione d’un terrore religioso pieno di solennità, i canti di Margherita passano dall’ingenuità leziosa della fanciulla alla passione dell’amante, al pentimento della colpevole. I pezzi caratteristici sono molti; cito la canzone Dio delVor, i bellissimi cori della Kermesse, lo stupendo walzer, il coro dei soldati, la serenata di Mefìstofele e la scena della morte di Valentino, dove il dramma musicale ha contorni giganteschi. Insomma è scenicamente un lavoro bellissimo. Il signor Jullien, che prende ad esame quest’opera rimprovera a Gounod di non aver osato abbastanza, e dice che, a costo di far gridare il mondo e la critica, egli non avrebbe dovuto rinculare dinanzi ad alcuna audacia nel trattare un soggetto di questa grandezza. Non sappiamo veramente se il tempo darà ragione al sig. Jullien che pronostica maggior severità nel giudizio dei posteri, ma affermiamo che questo della posterità è l’incubo che uccide tanti begli ingegni, e che non vi è alcuna ragione di abbandonare il criterio del gusto dell’oggi per creare lavori d’arte adattati al gusto di domani. Il quale gusto di domani (supponendo di essere fra coloro che hanno la fortuna di indovinarlo), non è provato che sia il gusto di doman l’altro, e molto meno il gusto di tutta quanta la posterità. 0 perchè sfidare l’indifferenza di una generazione viva per tentare il plauso di una generazione che ha ancora da nascere? Siamo schietti: questa menzogna dell’avvenire se ha fatto tanti geni incompresi di tanti che avrebbero potuto essere stimati e felici, serve anche a nascondere la dappochezza di una colluvie di mediocri, che vogliono parere puritani mentre non sono che impotenti. Ma ascoltiamo ciò che scrive il signor Jullien: «Malgrado il suo rispetto della situazione e dei caratteri, Gounod non ei pare abbia tradotto che ad intervalli il senso intimo della leggenda tedesca. La semplicità gli fa sopra tutto difetto, e del pari quel candore ingenuo che respirano le minime parole di Margherita e di Faust, questo sapiente dottore di cui’ la scienza, penosamente conquistata, s’invola al soffio della giovinezza, allo spettacolo della natura». E delle accuse che si muovono a questo spartito quella che ei pare più giusta o almeno più giustificabile. E vero: forse la semplicità di Margherita che vediamo nell’opera di Gounod non è la semplicità che si vede nell’opera di Goethe. È forse meno sincera, meno borghigiana, è una semplicità cittadinesca, vale a dire una maschera alla civetteria. Ma forse anche contribuisce molto a quest’opinione l’interpretazione che le cantanti sogliono dare a questo personaggio ideale, quasi sempre troppo giovane per i loro anni e troppo ingenuo per la loro esperienza. Chi scrive queste linee non ha visto la prima rappresentazione del Faust alla Scala, nè sa come la signora Bousquet si tenesse nei panni di Margherita; ma ha assistito più volte al Fau,st in Milano e altrove e di Margherite ne ha contato una dozzina, e può dire che si assomigliano tutte nel lasciar cadere le parole come fossero perle, nel canticchiare a denti stretti, e in quella indiscrezione di moine, di gesti e di canti che fa parere la Margherita di Gounod la più ipocrita collegiale di Parigi. Dove il signor Jullien scrive giustamente, è quando trova che Gounod più si avvicina al modello di Goethe e più mostra di sentire il fascino dell’ispirazione. «Egli è del resto assai curioso di notare come l’autore s’eleva a misura che si accosta al dramma originaie. Il principio, la scena di disperazione del Dottore risoluto a morire, e la fine, l’atto intiero della prigione, tutto pieno di passione e d’entusiasmo religioso e di rabbia satanica, sono pezzi da maestro. La scena del duello è pure assai drammaticamente trattata, e il musicista, a differenza di Berlioz, ha dato alla serenata di Mefìstofele un colore meno inebbriante ma più sardonico. La canzone del re di Thulé (messe in disparte le interiezioni di Margherita, delle quali non è traccia nel monologo di Goethe) è un’ispirazione deliziosa; la scena di Margherita al filatoio è piena di slancio e d’ardore ansioso; infine l’aria di Faust: Salve dimora, ecc., benché inferiore alla melodia di Berlioz, respira la calma e la pace del santuario virginale». «Che Gounod si accosti ancora al suo modello, e scriverà due pagine veramente straordinarie. Vogliamo parlare della morte di Valentino e della scena della chiesa. Qui l’autore segue passo passo il testo tedesco. A questo contatto la sua melodia s’eleva, lo stupore della folla, lo smarrimento di Margherita, tutto, fino al coro d’una brevità così terribile e così vera che chiude l’atto, rende il colore della scena originale. Si può dire altrettanto della scena della cattedrale. Certo il quadro del maestro francese non è così terribilmente grandioso come quello di Schumann, ma qual’è, merita molto riguardo...» Il signor Jullien, dopo essersi chiesto che cosai’avvenire prepara all’opera di Gounod, conchiude per avvalorare le sue supposizioni così: «La recente riproduzione del Faust all’Opéra ha cominciato a darci ragione. I pezzi, le scene che più si soleva ammirare parvero ancora belle, ma si credette di scoprirvi sotto una certa viziatura di sentimentalismo; le fine armonie del musicista, le sue cadenze preferite parvero un po’ leziose. Invece il finale della prigione produsse un effetto più grande che per il passato, le maledizioni di Valentino e la bella scena della cattedrale, che una volta si ascoltavano con orecchie distratte, fecero passare come un brivido di terrore in mezzo al pubblico...