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-AJXTKTO XXVII. KT. 23 9 GIUGNO 1872 HEDATTOHE SALVATORE FARINA SI PUBBLICA ÓGNI DOMENICA Al presente numero è unito il N. 11 della Rivista Minima. IL FAUST DI GOETHE E LE SUE TRADUZIONI MUSICALI IV. IL FAUST DI SCHUMANN L’autore del Paradiso e la Peri e di tanti altri capilavori, lavorava da molti anni ad un Faust che la morte gli tolse di condurre a fine. Era la sua opera favorita e poi che ne ebbe conquistata l’idea nella primissima giovinezza, vi consacrò nel corso della vita i momenti in cui l’ispirazione gli pareva più potente e la musa più arrendevole. Certo nessuno meglio di Schumann avrebbe potuto dipingere con note il profilo delicato di Margherita e l’affannosa figura di Faust e la smorfia satanica di Mefistofele; la sua tavolozza aveva mille colori e la sua mente sapeva accendersi di entusiasmo per tutto ciò che è fantastico ed ideale. Schumann non scrisse come Berlioz una leggenda drammatica, nè un’opera, come Gounod; egli prese il poema di Goethe intero e cercò di sostituire la nota alla parola; meglio che una traduzione è una trasfigurazione. Il Faust di Schumann si divide in tre parti, delle quali solo la terza è completa sebbene non contenga che la scena finale del secondo Faust. Delle altre due la prima conta solo tre scene staccate, la seconda molti frammenti del secondo Faust, la scena di Ariele e dei Silfi in principio, poi la scena delle streghe, il dialogo di Faust coll’Affanno e la morte del protagonista. Musicalmente,, ripetiamolo, è soltanto completa la terza; l’unica scena che la compone vi trova uno sviluppo grandioso. Tutti questi frammenti staccati, destinati a formare col tempo un tutto, furono raccolti insieme alla meglio dall’autore quasi presago del poco tempo che gli era concesso al lavoro, e fatti precedere da una grande introduzione che porta l’impronta del suo genio. È un misto di grazia e di terrore, di fierezza e di leggiadria che dà al vivo l’immagine sintetica del poema. Del primo Faust Schumann non pose in musica che la scena del giardino, quella della chiesa e la preghiera di Margherita alla Vergine. «Altri potrà sviluppare più lungamente le stesse scene, (giardino ’e chiesa), dice il signor Jullien più volte citato, per obbedire alle esigenze del teatro, ma nessuno porrà nel primo colloquio degli innamorati un incanto più velato e una tenerezza più squisita, nessuno accascierà con un dies irae più tremendo, il tardo pentimento della sfortunata Margherita. La scena del giardino, questo casto colloquio di due anime ancora pure, è d’una melodia delicata; la frase di Faust che si scusa di aver preso la mano della giovinetta è d’una soavità penetrante e tale la dolce risposta di Margherita. Ella coglie un fiore e lo sfoglia, e il dolce mormorio dell’orchestra accompagna con ardenti parole dette a voce bassa: «Egli mi ama!» esclama essa, e Faust prorompe in una melodia ammirabile che sembra portare al cielo il suo grido di trionfo. Tutto in questa musica., tutto, perfino il riso secco del demonio, traduce in una maniera inimitabile la scena originale: Il giardino di Marta.» «Schumann e il principe Radzavill ebbero soli T dea di trattare la scena in cui Margherita implora la Madonna dei sette dolori, trascinandosi ai piedi dell’immagine santa. Qual pagina ammirabile hanno ispirato al maestro di Zwickau le supplicazioni della peccatrice! Da prima la sua preghiera è tutta piena d’unzione, ma il dolore la tortura al pensiero di trovare la madre del Cristo inflessibile ed esclama con voce affannosa: «Vieni, salvami dall’onta e dalla morte; degna abbassare o madre dei dolori, uno sguardo sulla mia miseria!» «Quanto alla scena della chiesa, Schumann ne ha fatto una creazione intraducibile. Non mai la musica ha espresso con maggior forza l’ardente pentimento della fanciulla colpevole, le schernitrici imprecazioni del demonio. E quando prorompono i cori, pare che la terra si apra, pronta ad inghiottire la disgraziata vittima.» A questo quadro appassionato succede la scena di