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GAZZETTA MUSICALE DI MILANO 187 a questo povero signor Alberti? Si può aspettar bene da uno che entra ampio, aperto mallevadore del Musella che non rispetta nè contratti, nè pubblico, nè autorità. Non vi pare il rimedio peggiore del male? A parlar candido il Consiglio Comunale poteva risparmiare un altro chiasso, con quella seduta, tanto più che era sicuro di far molto rumore per niente. Prima di lasciare il San Carlo, sappiate che lessi, perchè riprodotte dal Pungolo, alcune idee del d’Arcais sul nostro maggior teatro. Sono assennatissime e giuste proposte che bisognerebbe vedere attuate, ma ne dubito; le scuole corali dovrebbero già essere un fatto compiuto, ma il Municipio non curò mai d’imporne l’attuazione al Musella, che per obbligo del contratto, doveva aprire le Scuole Corali; per le altre proposte circa le masse mi sottoscrivo pienamente; ma le accetterà la presente maggioranza comunale? Se l’egregio marchese D’Arcais avesse fatto la proposta di cui è parola nella Riforma, o le avesse scritte in una lettera al giornale Roma di qua, vi affermerei che già si sarebbe messo in moto la Giunta per risolvere la questione, ma Tesser venuta fuori nell’Opinione è un brutto peccato originale e chi sa se il battesimo del Pungolo varrà a cancellarlo. Intanto a quelle proposte altre saranno da me aggiunte riguardo alla Commissione teatrale e ringrazio • fin d’ora il marchese D’Arcais che mi dà agio di prender parte ad una quistione iniziata felicemente con una sua autorevole parola. Novità zero; al Filarmonico si è riprodotto il Crispino e la Comare, quel gioiello di musica comica piena a ribocco di pensieri eleganti, inspirati, seducenti e briosi. Le opere a questo teatro succedonsi troppo rapidamente, ciò che talvolta è a danno del perfetto accordo e della sicurezza d’esecuzione Così avvenne pel Crispino; spero che nelle rappresentazioni ulteriori l’esecuzione segni un qualche grado di più nel termometro del miglioramento e volontieri discorrerò di tutti. Al teatro Nuovo invece della Norma si dette il Trovatore con la Cicinelli, la D’Auria, il tenore Joulet e il baritono Capurro. Non si passò una cattiva serata; fra le donne preferisco la D’Auria: canta con sicurezza, ha voce intonata di mezzosoprano, e accentò ben assai il racconto: Condotta eli’ era in ceppi. Udii il tenore Joulet, cioè Jaulain, a Salerno e non mi piacque. Ritengo pertanto che indisposto per le cattive accoglienze avute la prima sera cantasse colà svogliatamente; egli è certo che nel Trovatore fu un Manrico degno di molti elogi; è ancora impacciato nel pronunziare l’italiano, ma è accurato sempre e talvolta elegante nel fraseggiare; disse come non si poteva meglio l’adagio della sua aria. Se il Capurro non esagerasse sovente e se la Cicinelli gridasse meno sarebbe uno spettacolo degno di maggiori scene. ^Acuto. GENOVA, 28 maggio. Riccardo Duca di York, opera nuova in cinque atti — parole e musica del maestro V. Sassaroli, rappresentatasi per la prima volta la sera del 26 maggio nel teatro Doria. Esecutori: Imelda Gerii, prima donna — Rovaglia, contralto — Butti, baritono — Parmizzini, tenore. Giudicare d’uno spartito nuovo, di maestro favorevolmente conosciuto in paese, che per di più qual nipote di Mercadante, dedica alla di lui memoria il suo primo lavoro, non è facile impresa, ed è tanto più ardua cosa quando lo spartito, per le difficoltà della composizione e per la fretta di metterlo in iscena, non riesci nell’esecuzione troppo perfetto, e molte furono le incertezze e i vuoti rilevati dal critico. Nuli’ostante dopo aver attentamente assistito alla prova generale e alla prima rappresentazione me ne potei fare un criterio abbastanza esatto che coincide anche col parere di altri imparziali uditori. Il maestro Sassaroli volle svincolarsi dalle pastoie di un librettista, e tolta la penna se ne fece uno egli stesso. Preso un argomento dalla storia d’Inghilterra e svisando uno degli episodi della lotta delle case di York e Lancaster ne fece un dramma che riassumo brevemente (1). Enrico d’Inghilterra vinto in pugna Riccardo di York lo conduce prigione in uno alla moglie ed al figlio. Enrico innamorato di Caterina, moglie di Riccardo, offre a questi di salvarlo assieme col figliaci suo, qualora dinanzi al Parlamento dichiari aver spudoratamente assunto un titolo che non gli appartiene ed esser invece T ebreo Perchino. Riccardo, (1) L’autore accenna aver desunto l’argomento da documenti storici di Arnaud. Non avendo potuto trovare tali cronache esaminai qualche altro autore, ma in nessuno trovai F episodio tal quale lo portail Sassaroli. Nel Cantù, Storia Universale, Voi. 12, ei legge che una lotta ebbe luogo fra il Duca di York ed il Re Enrico VI, che nella battaglia di Wakefield, Riccardo fu sconfitto e ucciso, ed il di lui figlio che si era arreso fii barbaramente trucidato. sebbene conosca che i suoi amici si adoperano per salvarlo, pure con facilità acconsente a tale patto, e dinanzi al Parlamento fa solenne la voluta dichiarazione per iscritto. Enrico, crede che questo basterà a rendergli favorevole l’amata Caterina, ma essa lo respinge, non avendo prestato fede alla dichiarazione di Riccardo in Parlamento. Enrico incalza e prega, ed è in questo atteggiamento che viene trovato da Riccardo, allora uscito dal carcere, che furibondo sguaina la spada e s’avventa ad Enrico, il quale chiamate le guardie lo fa rimettere in carcere e lo condanna a morte. Caterina, disperata, nella notte va da Enrico a chiedergli la vita del marito; questi è in eccellenti disposizioni perchè preso da ingiustificati rimorsi, e senz’altro accorda la grazia, ma fatalmente Caterina arriva al luogo del supplizio quando la mannaia aveva spenta la vita del protagonista. Come si scorge i caratteri non sono bene delineati, nè v’ha energia in nessuno; la Caterina, che è donna altera, va dallo sprezzato amante a chieder la vita del marito. Il re Enrico, non si sa perchè, ha rimorsi, e come il più pacifico borghese dei tempi nostri accorda la grazia che una donna amata le chiede senza chiederle il guiderdone della concessione, e Riccardo acconsente a cambiar nome, qualità e razza, e di ciò nei secoli in cui l’onore era tutto, e le gelosie di partito e di comando primeggiavano. Il Sassaroli poteva collo stesso soggetto tessere un dramma con posizioni sceniche più interessanti e d’effetto crescente, fare dei caratteri decisi, ben delineati quale l’azione richiedeva e non privi di colorito, le scene che egli scrisse sono lunghe e le situazioni spesso false e ripetute in luogo di svolgere il suo soggetto in camere, avrebbe dovuto scendere al variato, e adornarlo di spettacolo che interessasse anche l’occhio dello spettatore. Perchè non ei fa assistere alle mene dei congiurati quando vogliono salvare Riccardo? Perchè non fa di Caterina una eroina che col pugnale costringa Enrico a salvare la vita dello sposo? Dov’è la disperazione della madre quando le viene rapito il figlio? Ma oltre allo svolgimento rachitico del soggetto i versi del Sassaroli non hanno di poesia che la forma materiale talché si potrebbero anche definire per prosa tagliata a varie misure (1), e questi malanni del libretto non poterono al certo inspirare T autore musicista. La musica di cui ora voglio dire è generalmente in tutto il corso dei cinque atti, ridotti a quattro, piuttosto rumorosa; gli istrumenti da fiato e la gran cassa dominano, sebbene talora i violini facciano sentire qualche discreto canto; non voglio dimenticare qualche bella frase per corno diligentemente sviluppata, ma nel complesso dello spartito, manca T unità del concetto e la uguaglianza dello stile, le maniere si succedono, le frasi sono spezzate e le melodie non continuate. Le forme sono antiche, soverchie le lungaggini e le ripetizioni delle cabalette, quantunque più felici degli adagi, i ritornelli sono all’ordine del giorno, e quel che è più la musica non sempre risponde al senso delle parole, poiché gli accenti di dolore vengono espressi con canti in tempo di scotisch, di tarantella o di walzer e v’ha pure qualche reminiscenza. Dissi sopra che lo stile non è regolare e che si riscontrano diverse maniere di fare, e perciò senza andare errati puossi conchiudere che quest’opera è un mosaico di pezzi fatti in varie epoche T una dall’altra lontana e sotto la impressione di idee T una dall’altra diversa, cementati con abuso di preludi spesso troppo lunghi i quali hanno lo svantaggio di tenere l’artista in scena inoperoso e impacciato nell’azione. (1) Riporto alcuno dei più originali di questi versi. Amor pugnò di patria Rise di patria amore S’alzi F anglico giudizio Sul destin del vii Peschino... Al vicin lido ascoso Evvi un navette, onde fuggir con lui..... immenso orrore Spirarti deve un empio, un seduttore Pensale trema, il folle stuolo Onde tanto infellonisti Fuggì, sparve.... L’aura, il sole, la terra ed i venti A sterminio di un empio tiranno Rugiranno tremendi su me. Gran Dio che tutto reggi L’ampia terrena mole Che desti al mar le leggi. Leggesi nel Movimento d’oggi un comunicato del sig. maestro Vincenzo Sassaroli, col quale invita tutti gli artisti di musica a intervenire nella sera del 29 (oggi) alla seconda rappresentazione della sua opera per darne un coscienzioso giudizio. Notisi che i giornali di qui non ne parlarono.