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170 GAZZETTA MUSICALE DI MILANO tiera orchestra dimostra come il popolo sappia comprendere e stimare i buoni lavori quando in modo come questo li vengono esibiti. Lascio lo Scherzo della sinfonia eroica di Beethoven, perchè è un po’troppo scolastico e un certo passo dei corni nel trio non ebbe una esecuzione finita; l’esito non corrispose al nome dell’autore ed alla generale aspettativa. Per contro la colossale sinfonia dello Struensée, di cui era ancor fresca la impressione avutane nel gran Concerto di beneficenza della scorsa quaresima, fu viemmaggiormente gustata e suscitò essa pure un vivissimo entusiasmo ed anzi se ne voleva la replica, la quale invece fu concessa al preludio primo dell’opera Lohengrin. L’ultimo piatto, il piatto dolce, destinato a far buona la bocca, era una gliiottornia della credenza rossiniana e si chiamava la sinfonia della Gazza ladra: e questo basta per dire che fece superba compagnia a quella di Foroni, suscitando, un diavolio di plausi e mandando a casa la gente contenta come pasque. Domenica, 26 corrente, avremo il secondo, con programma tutto variato, con un pezzo vocale per giunta e con una individualità artistica un tempo, ora filarmonica, che renderà il Concerto ancora più splendido e interessante. Dopo domani va in iscena Y Attila al Balbo, e quindi incomincieranno le prove d’orchestra della nuova opera Caterina di Belp del giovane maestro napolitano signor Bozzelli, insegnante nel Liceo musicale di Bergamo, e non direttore, come erroneamente ho detto nell’ultima mia. Chi ha udito al cembalo questa nuova produzione, ne parla assai favorevolmente: desidero che gli arrida benigna la sorte e che faccia onore al Conservatorio Partenopeo, presso il quale il novello compositore ha compita la sua musicale educazione. Nei primi giorni del mese prossimo poi avremo anche al Vittorio un’opera nuova, del merito della quale giudicherà nell’entrante settimana il pubblico genovese. Al Rossini, continuando L’Ombra a godere del massimo favore si alterna col Don Pasquale, ed ogni sera il teatro fa, come dicono i francesi, salle comble. U. GïCNOVA. 16 maggio. Progetto d’Appalto del teatro Carlo Felice - Madamigella Pejazet - Spettacoli del teatro Paria - Chi dura vince al Nazionale. Le future sorti del massimo teatro Carlo Felice sono bene o male assicurate. A noi non spetta il vedere se i padri coscritti di questa magna città abbiano o no provveduto conforme alle esigenze dell’arte e della importanza del teatro, il fatto è che la sera dell’8 corrente l’oracolo diede il suo responso, e per tre anni e forse anche per sei non si ritornerà più sull’argomento. Per darvi un’idea di quanto si fece e si stabili, vi estendo per sommi capi il progetto d’appalto pel detto teatro, elaborato dall’Assessore Federici e sanzionato dal voto del municipale Consiglio. L’appalto del teatro Carlo Felice deve cominciare dal l.° ottobre 1872 fino a tutto il l.° ottobre 1875, prorogabile per un altro triennio qualora non disdetto prima. È obbligo dell’impresa di dare spettacolo d’opera e ballo dal 26 dicembre alla domenica delle Palme. In tale periodo si dovranno dare cinque opere serie, compresa una nuova per Genova, e una grande opera-ballo: più due grandi balli, e non potranno darsi che due serate fuori d’abbonamento. L’impresa avrà la facoltà di aprire il teatro nel restante dell’anno per rappresentazioni d’opera, balli e commedie. Nel triennio d’appalto, l’impresa non potrà rifiutarsi di mettere in scena, a tutte sue spese, almeno tre opere nuove, di maestri preferibilmente genovesi, e gratuitamente. In compenso di ciò per la stagione d’obbligo l’impresa riceverà dal Municipio L. 55,000, l’uso di 19 palchi e l’orchestra di 63 professori, ma dovrà dare cauzione di L. 30,000. I veglioni saranno a beneficio dell’impresa, ed avrà l’uso del ridotto. Si dice, ma non lo credo, che tre sieno i concorrenti. Vedremo chi sarà il fortunato cui toccherà questo affare d’oro!!! Il Paganini ha chiuso i suoi battenti l’altra sera, e la signorina Dejazet è partita, lasciando nel pubblico genovese il desiderio di vederla ancora, nel Museo. Al Doria proseguono le rappresentazioni del Ballo in maschera e dei Puritani, la qual ultima opera seralmente migliorò, e attira buon pubblico. Nella ventura settimana udremo in tale teatro la nuova e prima opera del maestro Sassaroli: Riccardo duca di York. Le cose del Nazionale procedono bene, il Chi dura vince del Ricci, che venne messo in scena la sera dell’11, ebbe esito buonissimo. L’esecuzione è abbastanza buona, quantunque il basso e il baritono abusino un po’ troppo del gesto plateale per lasciare un cattivo effetto.nel pubblico. La prima donna, debuttante, va incoraggiata, ma sarebbe utile che studiasse meglio il carattere che rappresenta’, nè vesta da grisette allorché figura da superba contessa. Ieri sera assistei in questo simpatico recinto alla beneficiata della signora Giovanelli; oltre al Nuovo Figaro cantò la scena e aria dei gioielli nel Faust, essendo per ciò applauditissima e più volte chiamata al proscenio e regalata di molti bellissimi mazzi di fiori di cui quattro ornati da ricchi nastri di seta. Nel ballo piace sempre la prima ballerina Contardini. Le due Società filodrammatiche qui esistenti, versarono cospicue somme agli istituti di beneficenza, profitto delle loro filantropiche rappresentazioni. E già tappezzata la città dagli avvisi della Compagnia Rossi Mario, che andrà al Politeama a succedere a Chiarini che se ne va. ed è già annunciato l’arrivo dell’equestre compagnia Guillaume. N p. p PA-RlGrl, 15 maggio. Le Cento Vergini, opera buffa dei signori Clairvìlle, Chivot, Puru, musica del maestro Lecoq — Il Trovatore, la Traviata e la Norma al teatro Italiano. Le Cento Vergini, ecco il titolo d’un’opera buffa in tre atti, parole dei signori Clairville, Chivot e Duru, musica del signor Lecoq. Veramente essa non è nuova di pianta, perchè è stata rappresentata nel verno scorso a Bruxelles, ed è appunto il successo ottenuto nella capitale belga che ha spinto il direttore del teatro della Variété a metterla in scena a Parigi. Come musica, non è che una imitazione o piuttosto un’esagerazione del genere d’Offenbach, che dopo aver fatto tanto girar le teste qui, comincia a passar di moda, salvo a piacere immensamente in tutto il resto dell’Europa, senza pregiudizio del Nuovo-Mondo. Il sig. Lecoq avrebbe ingegno da rivendere, ma ha un gran torto: quello di non sapersi decidere ad esser sè stesso. Quando a rari intervalli vi si decide, la musica che scrive è davvero originale e gradevolissima; ma il più delle volte non fa che imitare servilmente il procedere di Offenbach e di Hervé. La colpa è meno sua che del pubblico, il quale applaude più fragorosamente la cattiva imitazione che il buon originale. V’ha, per esempio, un quintetto che fa le delizie dell’uditorio, la stretta sopratutto. Francamente, è una pagliacciata. Mover un valso su queste parole iniziali: Il ri est pas de bonheur è originale e veramente piacevole. Ma che volete! quando non vi sono les ficelles di Offenbach, il successo di queste musiche non è completo. L’argomento del libretto è assai scabroso, e se è più che leggiero nel fondo, rasenta l’indecente nei particolari. Eccolo in succinto: Il duca Anatolio di Quillenbois parte per l’Inghilterra la sera del suo matrimonio per andare a passarvi la luna dì miele con la sua sposa Gabriella. Un tal Poulardot, ex-fabbricante di pasta, viaggia aneli’ esso con la sua sposa (non giovine come Gabriella, ma piuttosto attempata) e incontrato che ha il duca, non lo lascia più un minuto, e prende posto a Londra nella stessa taverna. Bisogna premettere che cento Inglesi sono partiti per colonizzare l’Isola-Vérde, che hanno portato colà tutto quello che poteva esser necessario a tante migliaia di miglia di distanza, ma hanno dimenticato una derrata più che necessaria: le donne. Dopo essersi annoiati considerevolmente durante qualche tempo, scrivono in Inghilterra perchè si spediscano loro cento giovinette. L’ammiragliato, commosso dalla posizione veramente critica dei nuovi coloni, consente, fa imbarcare cento fanciulle su d’un piroscafo e le manda all’Isola-Verde. Ma il naviglio si perde. I coloni reclamano di nuovo. L’ammiragliato fa una seconda spedizione. Tutto questo è l’antefatto; la commedia comincia al momento in cui le seconde cento fanciulle vanno a sottoscrivere (volontariamente, beninteso!) su d’un registro, perindicare che vogliono partire per l’Isola-Verde. Il caso vuole che Gabriella, la sposa del duca, e madama Poulardot, sua amica,, vanno a visitare il naviglio. Il capitano crede che vengano per imbarcarsi come le altre, fa loro sottoscrivere il registro, il che esse fanno supponendo che sia una formalità di bordo,, ed eccolepartite per l’Isola-Verde. Immaginate un po’ la costernazione del duca che ha appena sposato la gentile Gabriella, e di Poulardot che vede rapirsi la sua cara metà. Al secondo atto la scena è all’Isola-Verde; i coloni, aspettano