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GAZZETTA MUSICALE DI MILANO 133 pera di primissimo ordine: in inverno con spettacolo d’opera leggiera (compagnia di secondo ordine) e ballo grandioso. Tutto questo verrebbe assunto sì dall’uno che dall’altro impresario con la sola dote della Società proprietaria nella misura di L. 200,000 circa. Salvo sempre sia determinata una ragionevole durata dello spettacolo d’estate, e salvo sempre le necessarie garanzie, le offerte non sono che buone, e quindi accettabili, o tali almeno da meritare serio esame. Chi lavora da tanto tempo per apparecchiare a Venezia anche quest’anno in estate uno spettacolo di primo ordine al Malibran, bisogna dire sappia fare le cose ammodo. Ottenere il Mariani a maestro concertatore e’direttore d’orchestra, si fu cosa che giunse tanto inaspettata da far strabiliare. Il solo nome illustre del Mariani dà tale una cresima di importanza allo spettacolo che si prepara con tanto amore ed intelligenza, che non si poteva darla maggiore. Merita davvero un bravo di cuore colui (da voi già tanto conosciuto) che è l’incarnazione di tutto. Al Rossini abbiamo il Birrajo di Preslon con una esecuzione ancora più infelice di quella che si ebbe il Don Procopio. Potete quindi immaginarvi quanto magri affari faccia la povera impresa. Questa sera beneficiata della prima donna. Enrichetta Bozzetti, la sola che si sollevi un po’ dai bassi fondi, della ciurma tutta. Oltre all’opera surriferita la seratante canterà la romanza del Giuramento e la cavatina della Fedra, opera inedita del Mariotti, giovine compositore veneziano. Lo spettacolo drammatico danzante al Malibran dovette essere modificato, perchè le dimostrazioni dapprima spiritose ed innocenti contro il coreografo-straccivendolo, Sipelli, degenerarono in modo da doverle chiamare infamie. Non vi dico di più per un sentimento di rispetto, se non ‘a quelli che scesero tanto in basso, all’umanità oltraggiata, in quel povero diavolo che fu una specie di Masaniello del nostro Malibran. Il Brighenti-Rossi lo ha sostituito, e lo spettacolo procede adesso rachiticamente. Il Bellotti, aU’Apollo, continua le sue recite con discreto favore del pubblico. Anche qui come a Roma, a Napoli ecc., abbiamo molti forastieri, e sarebbe fortuna che nei prossimi mesi di maggio e giugno avessimo in qualcuno dei nostri teatri un buon spettacolo d’opera: ei sarebbe da far bene. Prima di chiudere permettetemi di dire al vostro proto che nella mia di giovedì scorso aveva scritto: sentimento artistico ed egli mi stampava: sentimento aristocratico. Chi è senza peccato scagli la prima pietra. 17 aprile. Per assistere alla prima delle tre rappresentazioni del Matrimonio segreto che ha promesso il teatro Italiano, (una iersera, martedì, l’altra giovedì e l’ultima sabato), son venuto in trainexpress da Villers-Cotteret, ove m’era recato per assistere ai funerali d’Alessandro Dumas. Permettetemi, come semplice digressione e benché l’indole di cotesto giornale non debba esigerlo, che dica qualche parola di questa cerimonia; mi resterà abbastanza spazio per parlare della rappresentazione del teatro Italiano, tanto più che mi limiterò all’esecuzione, non avendo a parlare del merito dell’opera. Cimarosa è ormai giudicato, e la posterità gli ha confermato il titolo d’immortale. Anche per Alessandro Dumas la posterità è cominciata. Ieri mattina una schiera d’eletti, tra uomini di lettere ed artisti di ogni genere, partita di buon’ora da Parigi, si rendeva a Villers-Cotteret, piccola città del dipartimento dell’Aisne, ove nacque il 2 aprile 1802 Alessandro Dumas, ed ove aveva manifestato il desiderio d’essere seppellito. L’autore dei Tre Moschettieri mori l’anno scorso nelle braccia del suo figliuolo in un castello vicino a Dieppe detto il Puy. Non era quello il momento di far trasportare alla città natale la spoglia terrestre, perocché due giorni prima della sua morte, il dipartimento era stato invaso dai Prussiani, e quello dell’Aisne, ov’é Villers-Cotteret, era già da molto tempo occupato dalle schiere nemiche. Conclusa la pace, sopravvennero i miserandi fatti della Comune, e dopo di essi l’inverno. Ora, Alessandro Dumas figlio, che sapeva quanto suo padre godesse ad inebbriarsi di sole, di brezza primaverile, dei profumi del prato, d’aria aperta e di luce, volle aspettar l’aprile per coricarlo sotterra, e dell’aprile i giorni più tiepidi e più fioriti. E scelse il 16 di questo mese che riempie i nidi di gorgheggi e le zolle di fiori. Ieri per la prima volta Alessandro Dumas era tra noi, e si taceva. Pel passato, quand’egli trovavasi in mezzo a noi, tutti tacevano per ascoltare la sua brillante conversazione; e ieri eravamo sorpresi e tristi perchè avveniva il contrario. La morte poteva solo far riposare quest’uomo che Michelet chiamò «una forza della natura» e che poteva dirsi il lavoro incarnato. Durante cinquant’anni egli ha divertito o interessato la Francia, l’Europa, il mondo intero; e ben pochi troverete tra la gente colta che non abbiano letto una o più delle centinaia d’opere lasciate da questo fecondo ed infaticabile improvvisatore. Non v’è genere che non abbia trattato, e nel quale non abbia avuto successo: romanzo storico o intimo, dramma, commedia, viaggi, memorie, versi, prosa, libro o giornale, sulla scena o nelle sale, ovunque il plauso lo ricompensava. E sempre buono, affabile, gaio, ameno, generoso sino alla prodigalità. Guadagnò milioni e non potè mai metter da parte qualche migliaio di scudi per comperare la modestissima casina nella quale era nato ed ove voleva morire!... Ma tutto questo non è argomento musicale, e non so perchè mi sia tanto soffermato a parlarvene, anziché rendervi conto di produzioni liriche, oggetto più speciale di queste mie lettere ebdomadarie. Vogliate condonarmelo, in considerazione dell’amicizia che mi legava al rimpianto autore del Montecristo. E non dimenticate che molti scrittori di libretti attinsero al suo Teatro gli argomenti e la sceneggiatura dei loro drammi lirici. Basterebbe citare - Caterina di Guisa [Henri ITI), Gemma di Vergy [Charles VII), Caterina Howard, Cristina di Svezia, Eslella di San Germano [Le Comte Hermann), ecc., ecc., ecc. Per venir dunque al teatro Italiano, ove sono andato d’un sol tratto al ritorno da Villers-Cotteret, vi dirò che il nome dell’Alboni sull’affisso aveva riempito la sala. Strana cosa, che qui la celebrità ha più possanza che il vero merito. Or son dieci anni, per non andar anche più indietro, l’Alboni non cantava meno bene di quel che canta adesso ed aveva una voce più fresca, almeno più giovine; e nonostante il suo nome non era sufficiente a far accorrere la gente al teatro. Oggi che non è della prima giovinezza, e che la voce comincia a risentirsi della lenta azione del tempo, oggi basta il suo nome perchè la sala sia colma, zeppa. L’esecuzione del capolavoro di Cimarosa fu più che conveniente iersera. Solo coloro che hanno inteso quest’opera cantata da Lablache, Tamburini e Rubini, dalla Persiani, dal Grisi e dall’Albertazzi possono essere più esigenti e partire meno soddisfatti. Ma la novella generazione è men difficile ad appagare. Me ne accorsi iersera ai plausi che scoppiarono al famoso terzetto - Vergogna, vergogna! Questa volta l’esecuzione era affidata all’Alboni, alla Penco, alla Rubini, e per gli uomini a Gardoni, a Borella, a Monari-Rocca. Tra le donne le due prime furono molto felici, un po’ meno la terza. Fra gli uomini, avvenne presso a poco lo stesso. Gardoni e Borella furono molto applauditi, sopratutto il primo di questi due artisti; il terzo fu giudicato insufficiente. Ha molto buon volere, è zelante, ma non è abbastanza dotato per sostenere una parte nella quale Tamburini ha lasciato le più belle ricordanze. Del resto, il pubblico del teatro Italiano è così cortese che non mostra mai d’essere scontento: applaudisce o tace. Ed ecco perchè le direzioni scritturano per lo più artisti che altrove non otterrebbero eguale indulgenza. Non bisogna per altro abusare di questa soverchia cortesia. A A r- p.