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GAZZETTA MUSICALE DI MILANO 131 effetti fonetici non destinati a sorprendere, ma sibbene a commovere, a dilettare, a dar maggior risalto al significato della parola e della melodia. Quanto all’esecuzione i primi onori spettano alla signora Derivis, Vespina, soprano di mezzi estesi, che canta con brio, agisce con disinvoltura, seduce, e rapisce con lo sforzo di note acute e picchettate, brillanti, argentine. La signora Luini ha buona voce, modula con passione, si esprime con sentimento e sa trovare l’accento drammatico per cui interessa e commove sotto le spoglie della povera Gina. Il tenore Cantoni canta con grazia e con molta espressione, sta benissimo in scena e quando veste l’assisa è un ufficiale compito. Il baritono Polonini, da bravo dottore, completa con disinvoltura il quadro. È Genova, 16 aprile. Eccomi nella superba città che, come Venezia, vanta tante tradizioni; qui pure fiorirono le arti e le scienze, e la musica ebbe i suoi cultori. Oggi Genova non è più dei Genovesi ma di tutto il mondo,

  • e però variano i gusti, come diverse sono le provenienze degli

abitatori di questo emporio commerciale. Siccome non è mio compito l’entrare in materia diversa da quella che ai teatri e all’arte musicale si spetta così mi atterrò anche qui a quella stessa linea precedentemente da me battuta. L’attenzione generale ora è rivolta al teatro Carlo Felice, o meglio al suo avvenire, perocché anche qui il Consiglio Comunale sta per decidere se o no dovrà decretare la dote. Da quanto mi consta a Genova le faccende d’interesse di quel tempio dell’arte sono diverse dalle altre città poiché i proprietari dei palchi è al comune che pagano il canone, ed è perciò naturale che il Municipio debba sborsare la dote all’Impresa. Continua in proposito della cessata impresa Lavaggi il mal umore nelle masse, che a tutti i costi vogliono l’ultimo quartale non ancora pagato. Il Lavaggi a quanto dicesi, avrebbe tutta la buona intenzione di appagare il loro giusto desiderio, ma si scusa dicendo che non ha denari, vantando molti crediti verso i dandy de la haute che si abbonano e non pagano. I giornali locali se ne occupano con calore e vedremo come finirà. Al Paganini agisce la compagnia francese Terris e Coste che fu già costi, e del cui merito è inutile vi parli, solo vi dirò che Le Joueur de flute ha fatto fiasco e che Les Brigands piacquero perchè dovevano piacere. Al Doria sabbato andò in scena il Ballo in maschera e la bella musica di Verdi potè tanto sul non scarso pubblico da renderlo indulgente alle incertezze, alle stonature, e persino ai vuoti degli artisti e della scena, Lo eseguivano le signore Gerii, Trafford e Rovaglia, ed i signori Parmizzini e Buti. Al Nazionale di recente si riprodusse la ormai nota opera dell’Usiglio; di cui per l’addietro vi diedi il mio parere, e l’esito per vero fu lusinghiero, specialmente per parte della Pecollo giovane debuttante. Il Parolini è un baritono disinvolto che canta giusto; sobrio e faceto riscontrai il Marchisio, e tollerabile il Lendenara. A questo teatro si dà pure un ballo del Rostagno, Le Reclute, che piace, ed a giorni lo stesso coreografo metterà in scena il Monsieur Dandan. Al Politeama, geniale ritrovo diurno, agisce Chiarini il quale co’ suoi esercizi acrobatici, e colle pantomime fa retate magne. Una volta che mi sarò affiatato nella città potrò parlarvi dei concerti pubblici e privati di cui non v’ha penuria. p-r p. p. Napoli, 15 aprile. Son tornato ai patrii lari e sono andato al Filarmonico a udire Y Osteria d’Andujar; l’impresa Fornari fa cattivi affari, pochissimi convengono a questo teatro e credo che il prezzo alto dei biglietti è la precipua cagione che ne faccia allontanare i.buongustai. Vi parlerò della musica, e prima ve ne rifarò la storia, perchè ne narrò la genesi l’articolista del Piccolo di qui e cadde in molte inesattezze. L’Osteria d’Andujar del Lillo fu scritta e rappresentata al Fondo, ora Mercadante, nell’estate del 1840; eseguironla la Pixis, la Ruiz, il tenore Rossi e il buffo Salvetti, e la parte protagonista di Don Josè fu scritta per la signora Buccini, esimia prima donna contralto. Nel 1843 fu riprodotta sulle medesime scene, allora il maestro ridusse la parte di Don Josè per baritono ed affidolla a Gioacchino Massard, che dovea più tardi abbandonar il teatro per la mercatura. Erano sostenute le altre parti dalla Goldberg, dalla Fossi, dal Tamberlick, allora quasi esordiente e dal basso comico Salvetti. L’ultima volta che venne eseguita sulle stesse scene del Fondo fu nel luglio del 1853 e cantata dalla Borghi-Mamo, dal Pancani, dal Prattico e dal Salvetti ebbe favorevoli accoglienze e fu una bella soddisfazione pel povero Lillo che produsse ma senza buon successo in quella stagione teatrale il Ser Babbeo al teatro Nuovo ed il Figlio della Schiava al Fondo stesso. L‘ Osteria d’Andujar, come qualunque altra musica del Lillo, non manca di pezzi magistrali, vi si appalesa bene spesso nell’autore il desiderio di celare la troppa arte e vi riesce in più d’un punto tanta è la franchezza che vi si scorge, mista con una facile vena di canto; la scena è, avuto riguardo al tempo in che questo spartito fu scritto, ben trattata, e se dal lato dell’invenzione non tutto è pregevole, è però tutto accuratamente fatto. E poiché questa riproduzione del Don Josè fu cotanto accetta al nostro pubblico, mi viene il destro di riproporre un’altra opera del Lillo, ingiustamente obliata da che quella balorda censura borbonica proibilla. La Caterina Howard potrebbe oggi fare il giro de’ teatri italiani; vi sono molte bellezze per entro e una fattura delle più peregrine: Giuseppe Lillo morto giovane e demente era contrappuntista di grande valentia e strenuo compositore; dopo essere stato alunno del Collegio nostro e discepolo del Zingarelli, comprese più d’ogni altro che in quella scuola, non viziosa per altro, l’arte era ristretta in limiti angusti che la facevano comparire magra e sparuta. Già il Mercadante, il Bellini emancipavansi e con esempi di combinazioni armoniche rianimavano la scuola napoletana. Il Lillo edotto dalla propria esperienza, non dissimulava che Tarmonia a’ suoi dì non s’imparava che a furia di lungo e penoso studiare, e che divenuta nel discente un esercizio abituale, non aveva a guida se non l’autorità, la tradizione e pochi precetti sconnessi, onde un’arte non potrà mai esser riguardata in tutta la sua ampiezza. Reso accorto il Lillo di tale verità accinsesi a rifare la sua cultura musicale, e svolgendo i volumi di tutti i trattatisti italiani e stranieri, ed esaminando con severa penetrazione le opere di classici maestri pervenne a formarsi un metodo di contrappunto chiaro e facile, in cui tutto lo sviluppo delle teorie procede esclusivamente da principii certi e stabili. Questa digressione che mi sarà perdonata avuto riguardo che procede da un giusto e doveroso tributo di affetto e gratitudine di allievo a maestro mi faceva quasi dimenticare di dirvi che fra i presenti esecutori dell’opera del Lillo, il Cappelli baritono brillante e la Correris meritano molti elogi. Il primo si è disimpegnato a meraviglia; è un artista coscienzioso e se l’applaudiscono e lo festeggiano, gli è giustizia; canta bene, dice bene e veste bene. Alla Correris gioverà affidare di frequente parti simili a questa ed io restai veramente sorpreso e compiaciuto a vederla tanto snella, tanto briosa, tanto padrona; la Malvezzi e il Bini non guastano, ma il baritono Torre è un esordiente che si è avventurato troppo presto sulle onde instabili della scena. Qui sarebbe finita la mia corrispondenza, ma T Omnibus ed un altro giornale teatrale di qui che per avventura m’ebbi sott’occhi mi costringono a continuare. Il decano dei periodici napoletani dice che io non fui solamente storico, ma pure critico