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pure di delitto. Egli è perciò che è divenuto oggetto di paura pel popolo. Or mentre una sera splendidamente banchetta, Manfredo è visitato da un pellegrino, che svelagli l’innocenza di sua madre e confessa d’esser l’autore della morte di lei. Manfredo allora cieco di sdegno avventasi sul malarrivato e l’uccide. Nel castello di Atripalda avviene tutto ciò. Siamo in un paese della Calabria al primo atto, propriamente a Scilla, situata rimpetto a quello scoglio che i nostri maggiori miravano con ispavento. Vi si celebra la festa della messe, e se il Duca, signore di quella terra, darà F assenso, due giovani villici Lina e Rannuccio saranno sposi. Manfredo con altri cavalieri che vanno sempre in busca di galanti avventure, è là; quei giovani di perduti costumi adocchiano Lina, la quale sarebbe vittima della loro tracotanza se Manfredo generosamente non la difendesse. Fra Lina e Manfredo scorgesi il sentimento di un affetto arcano. In. mezzo al tripudio pertanto un uomo solo resta pensieroso, nè prende alcuna parte alla generale esultanza; è Cencio, Dopo poco si fa presso a Manfredo e gli apprende che cerca di lui una donna la quale comunque velata è riconosciuta per la Duchessa di Scilla. Lina pur se ne accorge e quando la Duchessa e Manfredo - entrano in un albergo vicino, arriva il Duca e chiede nuova del signore di Atripalda. Ei tesse novelli idillii rispondono; Lina allora conosce di quanta onta è per venir ricoperta la Duchessa, sua benefattrice, ed entra furtiva nell’albergo. Manfredo esce solo, e imbattutosi nei suoi compagni e da costoro fatto segno a scherzi di cattivo genere, è sul punto di impegnarsi in un conflitto, ma Lina col capo basso, confusa, presentasi; salva con ciò la Duchessa, perde sè stessa e quando presentasi per ricevere le largizioni del Duca, ne è privata e, pesandole sul capo F accusa di cortigiana, è dannata al bando. Tutti la fuggono, anche la Duchessa le si mostra ingratamente disdegnosa, Cencio la maledice. Contro tutti vuol difenderla Manfredo, ma poiché non può trarre la spada per una vassalla abbietta, viste esser vane le proteste, impone a tutti di rispettare in Lina la contessa d’Atripalda. E Rannuccio? Lina non può dimenticarlo, perciò accostasi a Manfredo e gli dice che acconsente, ma passerà dall’ara al chiostro. Acconsente Manfredo, ma quando è per compiersi la cerimonia nuziale, Cencio svela F origine di Lina che è figlia del Duca d’Atripalda. Manfredo, che vede tutto perduto, uccidesi, si scopre a Lina e comandatala a Cencio, la unisce a Rannuccio e muore. Questo lavoro del Cimino è pieno di effetto e di vita, offre caratteri ben delineati e splendidi versi. Or della musica. Lo stile del Manfredo in generale è ineguale; manca affatto la così detta tinta locale; figuratevi, il Petrella fa ballare il walzer al tempo della seconda crociata e fa cantare i contadini festanti su melodie altamente concitate. La parte inventiva non è costantemente felice, si che spesso trovate analogia con le sue musiche precedenti, la Jone specialmente, - là qualche ricordo di Verdi, qua un’imitazione gounodiana. La parte armonica, già ve lo scrissi, è accurata e rivela un progresso; lo strumentale se non è profondo e nuovo, racchiude bellissimi disegni ed effetti. Il prologo è lavoro sbagliato. Ebbe la felice idea di far sentire F orgia, ma non la rese bene con un movimento di ballo poco felice. Il recitativo di Manfredo ha troppi frastagli orchestrali eia parola perdesi; l’idea del finale è monca e non bene sviluppata. Nel coro di mietitori il canto delle donne è fatto sul vecchio stampo, quello de’contadini è poco a proposito, ma vi è dell’effetto. La romanza del tenore è poca cosa; graziosa è la sortita del coro quando viene ad annunziare che il duca assente alle nozze fra Lina e Rannuccio. Il duetto fra soprano e tenore è di molto effetto, elegantissima è la frase del soprano. Bella ed acconcia musica accompagna tutta la scena dell’arrivo del Duca di Scilla; il Petrella, che pose sempre mente al pezzo con forme viete, è qui accuratissimo e trova accenti bene appropriati quando si fa beffa di Manfredo. Il walzer è grazioso, ma stuona col carattere. Nel duetto fra soprano e baritono v’è grande ricercatezza armonica e la melodia è, se non nuova, elegante. La stretta non offre nulla di notevole, nè il canto del baritono, nè quello del soprano sono sviluppati e le parole ei sono messe con grande stento. L’adagio del finale, F unico brano rimarchevole nel secondo atto, non è molto peregrino, ma la chiusa è bellissima; v’è un crescendo di voci di grand’effetto e molto ben strumentato. Il preludio dell’atto terzo è di buona fattura: il canto principale è affidato ad un tremolo di violini insieme co’violoncelli, parmi pertanto di sentire la Jone. La scena del sonno è abbastanza lunga, ha un primo tempo che è un canto sempre recitato; l’orchestra non ha mai posa; l’ultimo tempo è migliore e la melodia più squisita: ricorda il fare del Gounod, specialmente nelle proporzioni strumentali. Il dilettino fra soprano e tenore che segue è pur esso molto elegante, ricorda un poco quello della Giovanna di Napoli, comunque’ nella melodia vi sia maggiore sviluppo. Noto con piacere che è questo il brano dove l’esecuzione raggiunge quasi il perfetto; il Barbacini e la Krauss fanno sfoggio di arte e di stile. La scena finale racchiude alcune preclare bellezze, riodesi e piace maggiormente una frase del duetto al primo atto; stupendo è il canto affidato ai violoncelli, tuttavia questa scena è lunga e illanguidisce assai. Ora che ho enumerati i pregi e i difetti de’ singoli pezzi volendo riunire in un solo fascio le sparse membra dirò che questo del Manfredo è la musica più corretta che il Petrella abbia mai scritto; poco vi si appalesa però quel soffio ispiratore che fece molto pregiare le sue opere antecedenti. Della Patti che dirvi? Chiunque udì quei suoi sbalzi di ottave, quelle sue cascate in gorgheggi, quei suoi picchettati rompicolli, quel suo mi sopracuto purissimo, restò sbalordito, incredulo ai propri orecchi ma commosso?.... no. Tutt’arte e ninna scintilla: tutto in lei è prodigio veramente sovrannaturale di studio e di meccanismo, ma il sacro fuoco? F italianità del sentire? La Patti, ben ne ho paura, nel canto puro e legato fallirebbe all’incarco, e poco la salverebbero quelle artificiosissime eccentricità di vocalizzo sempre ricche di gusto e di eleganza, ma alla lunga monotone e snervanti. Si produsse in due concerti cantando nel primo: il delirio della Lucia di Lammermoor; le variazioni di Prodi, F éclat de rire ed una tarantella del Bevignani; nel secondo eseguì F aria finale della Sonnambula, il bolero dei Vespri Siciliani, le variazioni del Carnevale di Venezia e di nuovo F éclat de rire. Ieri in casa Clausetti mattinata musicale, - gran folla e splendida accademia. Questa mattinata pareggiò la più brillante che offerisse il Circolo Bonamici di felice memoria. Il Sarria ed il Fortini eseguirono acconciamente una loro fantasia per due pianoforti su motivi del Verdi; la Valenza cantò da sua pari una romanza con violoncello obbligato del giovane Cammarano ed un’altra del Guercia: L’ho perduta. I concertisti De-Crescenzo, Pinto e Braga suonarono il l.° tempo e l’adagio del Trio in re maggiore di quell’impareggiabile classico Beethoven; del Mendelsshon il De-Crescenzo fece gustare il l.° tempo del secondo concerto in re; Gaetano Braga ei fece udire tre suoi componimenti: Jjes adieux à^Varenne; la Berceuse Napolitaine ed il Corricelo. Da ultimo il giovane Gennaro Bisaccia esegui la gran fantasia di bravura del Profeta del Fumagalli; accompagnava al pianoforte il maestro Marsella. M’accorgo che di molto, ho ecceduti i limiti di una semplice corrispondenza, tuttavia non posso terminare senza congratularmi con tutti i bravi esecutori, col De-Crescenzo che m’apparve eccellente interprete de’ concerti del Beethoven e del Mendelsshon; Pinto con la Valenza, e col giovane Bisaccia, una rigogliosa organizzazione pianistica. Al Cammarano, che fa intravedere buone disposizioni al comporre, dirò che la sua romanza mi piace, ma parmi che il violoncello canti troppo, e che tutti gli effetti siano affidati allo strumento ch’egli suona acconciamente. Che volete, potrò essere accusato di simpatia, ma io udirei sempre suonare il Braga, e le sue vaghe e sentite ispirazioni di preferenza mi farei ripetere e spesso. Al Filarmonico è andato bene il Don Pasquale e si ebbero molti applausi il Montanaro, la Sainz, il Mastriani e il buffo Tessada. Domani sarò in riva al Seia; son curioso di osservare il nuovo teatro di Salerno, ve ne farò la descrizione fra otto giorni. ^CUTO.