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96 in casa per abbracciare i viaggio WEBER Come avvenisse che in cinquantadue anni di vita ed in Francia non si fossero schiuse in Germania gloriosa le porte GAZZETTA MUSICALE DI MILANO mia che sua lo credo che Vostra Grazia ha dovuto ricevere la lettera il giorno stesso in cui io ho letto la vostra accusa Haydn di essere capace di dimenticare la amica e benefattrice! Oh! se voi sapeste quante volte io desidero di trovarmi soltanto un quarto d’ora con voi al clavicembalo e di mangiare dopo una buona zuppa tedesca! Ma non si può già aver tutto al mondo. Dio mi dà fino ad oggi una buona salute ed io spero di conservarla con una vita regolare. Io conto di rivedere Vostra Grazia fra sei mesi ed allora avrò molte cose da raccontarvi. Addio. Good night, it is time to go to bed, cioè: è tempo di andar a letto. > chè mio odio più oltre egli esprime ancora gli stessi sentimenti: Cara signora, bisogna che io mi adiri con voi percredete che io preferisca Londra a Vienna, e il soggiornò qui a quello della mia patria. Io non già Londra, ma non vorrei passarvi certo tutta la mia vita, dovessi anche guadagnarvi milioni. Ve ne dirò la cagione a viva voce. Mi rallegro come un fanciullo pensando a rientrare miei buoni amici». Fu verso il principio di soddisfatte le condizioni del agosto 1792 che Haydn, suo contratto, potè ritornare a Vienna. Egli riportò da questo primo un benefizio di circa 12,000 fiorini. LE PRIME RAPPRESENTAZIONI DEL del teatro la Scala ad un’opera di un intelletto proclamato grande anche da chi si piacque a demolire i piedestalli eretti ai grandi dal generale consenso, è fenomeno che si stenterebbe a credere, se non fosse vero, e che non si può assolumente comprendere. Tant’è: era proprio cosi; il Freyschütz di Weber, il capolavoro d’un genio, dopo cinquant’anni di trionfi era rimasto nuovo per la Scala, quasi nuovo per Milano, chè d’una cattiva rappresentazione al Carcano nel 1855 appena è a tenersi conto. Fu avvertito da altri in questo stesso giornale che la prima rappresentazione d’un componimento musicale che ha T ammirazione generale e una gloria semisecolare doveva essere meno la cresima del genio di Weber, che la cresima del criterio artistico del pubblico della Scala; e nondimeno io penso che se il pubblico della Scala si fosse annoiato non si sarebbe tenuto per scrupolo di sorta dal manifestare apertamente la sua noia; certo la gloria di Weber non ne avrebbe patito una scalfittura, ma chi avrebbe osato biasimare il pubblico, questo ente collettivo, che se anche ha una fìsonomia propria, quando si annoia e quando si diverte, non cessa d’essere un complesso di parecchie centinaia di persone che si annoiano o si divertono? Nelle accoglienze fatte alla Scala al Freyschütz non vi fu nulla, sono lieto di affermarlo, di cerimonioso, nulla di convenzionale, nulla di forzato. Il pubblico aveva la coscienza d’essere un giudice autorevole, e non pensò di correre rischio di tradire Weber, o di tradire sè stesso, abbandonandosi ingenuamente alle sue impressioni di tutti i giorni. Il Freyschütz uscì da questo esame solenne, intatto; nè vo’dire che la sua gloria sia cresciuta, ma forse Weber vivente andrebbe orgoglioso di questo alloro tardivo più che di cinquant’anni di trionfi. Il pubblico della Scala (diciamolo a costo di insuperbirlo), il pubblico della Scala, che ha dispensato la gloria a tanti grandi, è pur esso una delle glorie musicali italiane. L’impressione generale provata alla prima rappresentazione del Freischütz fu dunque buona: sarebbe stata entusiastica quando non si domandava alla musica altro fuorché d’essere bella e ben fatta; perchè questa del Weber oltre, essere bella e ben fatta, seppe essere drammatica, anticipando i tempi; ma oggi anche il drammatismo non basta; si domandano al compositore passioni vere, sentimenti veri, dramma vero; si vuole che la musica abbia nervi e sangue e viva la vita dei personaggi, e in questo Meyerbeer, Verdi, Gounod hanno fatto dopo Weber assai più di Weber. Il fantastico trova nel Freyschütz accenti di straordinaria potenza, ma l’elemento fantastico non basta a commuovere. La colpa è del libretto. Chi può dire che cosa avrebbe fatto Weber con un melodramma in cui, invece di ombre, si muovessero creature vive, passionate, annodanti coi loro affetti una tela che guadagnasse l’interesse degli spettatori? Qual’è oggi che possa a forza di buona volontà rinfanciullire fino a guardare con interesse la fiaba delle palle incantate che forma tutto il nodo del dramma, e la figura mutola di Samiel in omaggio della quale sono soppressi gli accenti delle passioni? Le situazioni fredde, quando non sono ridicole, hanno trovato nella musica del grande tedesco la vita che non hanno, e Weber ha saputo cosi bene rinnovare il miracolo, che il suo Lazzaro ha attraversato un mezzo secolo e non ha finito ancora il viaggio glorioso. E a pensare che quest’opera fu scritta cinquant’anni sono, quando Pacini, Meyerbeer, Mercadante ed altri facevano le prime armi con opere ora appena ricordate, e quando il solo Rossini aveva eretto col Barbiere, coll’Otello e colla Gazza Ladra il piedestallo alla sua immortalità, ei è da sbalordire per la potenza di vita che l’autore del Freyschütz ha trasfuso nella sua creatura. Il drammatismo, l’uso sapiente dell’orchestra, rimpasto delle voci, le grandi scene musicali sostituite alle forme viete dovevano allora parere cosa dell’avvenire - e non parvero, perciò che Weber non aveva del genio soltanto le arditezze e lo sprezzo d’altrui, ma anche l’ispirazione e l’abilità di fare ciò che sapevano fare gli altri. Il Freyschütz che fu il faro d’una nuova scuola non si divincolò dal passato fino a ripudiarne, i tesori, nè per amore di novità cessò d’esser fedele alla melodia che è ricchezza d’ogni tempo. Tolte alcune pagine descrittive, sublimi per verità, tutta la musica di Weber è sommamente melodica, e il pubblico della Scala la gustò alla prima. Non cito i pezzi che piacquero, perchè piacquero tutti; i più applauditi furono la sinfonia, che ebbe un’interpretazione corretta, il bellissimo coro delle beffe, musica pettegola tutta condita di scoppi di risa invano trattenuti, poi il primo coro dei cacciatori - Ogni belva che scorra la selva, e poche battute in tempo di valzer, che colla nudità d’un accordo e d’un arpeggio strapparono gli applausi perciò solo che sono opportunamente collocate. L’aria di Max - L’onda, il colle, il prato e il bosco - fu anche applaudita, e meritava d*esserlo assai più, ma il tenore Perotti era indisposto e non potè farne gustare tutte le bellezze. Il brindisi originalissimo di Gaspare fu invece accolto con entusiasmo, tanto che se ne voleva la replica, e il finale del primo atto fu pure salutato con festa. Nel secondo atto è un duetto a due donne graziosissimo, e un’aria spigliata e gaia che la Waldmann canta con maliziosa ingenuità, poi un’aria di Agata piena di carezzevole melanconia, un bel terzetto, tutti pezzi che furono assai gustati e applauditi assai. Succede la scena fantastica degli spiriti e degli incantesimi, che è musicalmente un prodigio di strumentazione e di descrizione; la musica riproduce l’uragano, lo scalpitar dei cavalli, i gemiti degli spiriti, ed ha un’impronta satanica potente e bizzarra; ma la.