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SUPPLEMENTO AL N. 4 DELLA - 3 - GAZZETTA MUSICALE DI MILANO

La mente è una casa che conviene fornire di arredi. Gli studi sono i mobili. Il compositore che non sa l’arte è un operaio che non ha utensili nè materia su cui lavorare. Negli studi tecnici nulla vi ha di inutile, ogni artifizio usato a proposito può costituire una parola polente, ma per usarlo all’uopo conviene saperlo adoperare con perizia e disinvoltura. Apprendi l’arte, e mettila da parte, dice il proverbio. Quel maestro, il quale fa sfoggio di contrappunto ove non è richiesto, dà segno di essere privo di senno. Quello che non lo fa ove è a proposito, dà segno di essere privo di scienza; fra pazzo ed ignorante v’ha poco divario, se non che il pazzo che sa, può avere lucidi intervalli, l’ignorante rimane sempre al buio. Il bello è l’immagine del vero. Il bello si sente, il vero si conosce, si intende. La medesima relazione che passa fra il vero ed il beilo esiste fra il sentimento e l’intelligenza. La mente spiega, coordina i fatti ad un principio, l’immaginazione raccoglie sensazioni ed effetti, e li ripone nel magazzeno della memoria per evocarli all’uopo e combinandoli cavarne nuovi effetti. Ma l’immaginazione, che un dottissimo nostro chiama la matta di casa, conviene sia provveduta dei mezzi tecnici, come l’operaio di utensili, e se qualche volta può essere lasciala trascorrere libera, ha pure spesso bisogno o di freno o di direzione o di eccitamento. È difficile trattar bene un soggetto che prima non si abbia meditalo; impossibile se l’artista non si è prima provveduto collo studio di quanto può essere dal soggetto stesso richiesto. L’approvazione o disapprovazione del senso è di somma importanza in fatto di musica e d’arti in genere; ma conviene procacciarsi coll’esercizio continualo la maggiore squisitezza possibile del senso, per potersi fidare di lui. Le regole non sono leggi arbitrarie, ma leggi fatte dietro l’osservazione di ripetuti fatti producenti tali o tali effetti buoni o cattivi, affinchè i compositori sappiano preventivamente ciò che far possono, od evitar debbono, onde ottenere i primi, scansare i secondi. Può darsi però che nel fervore dell’immaginazione il compositore trovi un fatto nuovo, una combinazione, la quale per alcune circostanze, mentre sembra contraddicente ad una data regola, produca ciò non pertanto un buonissimo effetto. In tali casi conviene riportarsi al giudizio del senso, e, se questo è realmente favorevole, non temere le censure dei critici, i quali non tarderanno a ricredersi, certi che il nuovo fallo verrà col tempo a modificare la regola. Egli è in tal modo che l’arte progredì, e molte regole antiche o si modificarono, o perdettero ogni vigore. Ma conviene che il nuovo trovalo sia dal commi senso assentito. Le produzioni artistiche non debbono piacere ai soli dotti; ma nemmeno ai soli indotti. Quelle sono veramente pregevoli che incontrano l’approvazione degli uni e degli altri; ciò nullameno non polendo riuscire a tulli gradito, vorrei piuttosto ottenere l’approvazione di chi sa ed intende, perocché se anche fra questi molli talora s’ingannano nei loro giudizii; più spesso accade s’ingannino gli altri, e che il pubblico esalti oggi ciò che jeri calpestò, calpesti oggi ciò che jeri idolatrava. Vi sono due modi di studiare le opere dei sommi maestri: l’uno si limita a intendere l’esteriorità delle forme, l’altro consiste nell’indagare come essi abbiano inteso il vero e saputo nobilitarne l’immagine, e il concello. L’uno e l’altro sono utilissimi a chi vuole farsi artista; ma il primo vuole essere esteso a tutte le forme per apprendere a non seguirne alcuna, il secondo esercitalo per formarsi un gusto proprio, e intendere meglio la propria tendenza: entrambi per acquistare un modo proprio, un proprio carattere. Chi riesce a formarsi uno stile si pone a capo del gusto del pubblico e, se ha ingegno educato e polente, riescirà facilmente a farselo amico ed avere seguaci: chi per lo contrario corre sulle orme altrui corre, rischio di trovarsi ultimo, solo, negletto e disprezzato. Ma il riuscire originale non basta se l’originalità non porla con sè il carattere della manifestazione di un sentimento, di un vero, che è il carattere della spontaneità; eppcrò all’artista non bastano i mezzi tecnici, è necessaria la cognizione di questo vero, cognizione che può solo acquistare collo studio dell’uomo e di sè stesso. Sia qualunque il mezzo meccanico con cui un’arte si attiva, e parla, il suo linguaggio non può altrimente interessare se non riproducendo l’uomo all’uomo nelle vicende de’ suoi affetti, de’ suoi dolori, delle sue speranze, de’ suoi timori. Il pittore, lo statuario che non intende la corrispondenza fra l’uomo interno e il suo organismo, che non sente come questo si alteri, si modifichi a seconda delle passioni, dei conflitti che l’animo sostiene o soffre, per quanto abile disegnatore, dipintore o modellatore egli sia, non darà mai vita alle sue figure. Così il musicista che non sa discendere in sè stesso, che non sa trasformare l’esistenza propria in quella di un essere immaginato; non farà che vani accozzamenti di suoni, e se cerca un’originalità altrove che nel proprio sentire cadrà nel contorto, nel freddo, nel lambiccalo. Ad evitare questo pericolo basterà egli lo studio scompagnato dal genio, o questo senza di quello? L’uno e l’altro son necessarii, che entrambi sono sterili da solo, entrambi fertili se accoppiali. Chi non ha genio non si attenti entrare nel sacrario delle arti; esso rimarrebbe sempre profano; ma del pari chi non istudia non isperi giammai di vedere diradarsi la nebbia che ne nasconde il nume sedente sull’ara. Non chiuderemo questo qualunque siasi scritto senza raccomandare agli studiosi un’opera pregevolissima e di grandissima utilità per lo studio tecnico, non è molto pubblicala dal dottissimo maestro Luigi Picchiami, autore ben noto di scritti didascalici in cui chiarezza, semplicità, ordine e giustezza di idee si riuniscono a bella lingua, e appropriata dizione. Quest’opera ha titolo Saggio di studi di composizione musicale sopra alcuni paramenti di Fenaroli, ed è un modello preziosissimo, sull’esempio del quale. chi non si stancherà di esercitarsi, ne avrà sicuro vantaggio; perocché vi apprenderà non solo l’arte di disporre le parli di una composizione in bella armonia, ma quella ancora di ricavare da un’idea altre idee che vi si possano accoppiare in modo da darsi reciprocamente rilievo, e concorrere tutte a rendere il discorso musicale elegante ed efficace, grandioso ed interessante il concetto. Quest’opera meriterebbe un elogio assai più esteso di quello cui per non dilungarci maggiormente

 ci limitiamo; ma il chiarissimo nome

dell’autore già ben noto e benemerito supplisce abbastanza a quello che tralasciamo di dire; e chi ha a cuore di istruirsi ed acquistare il franco maneggio della diffidi arte vedrà facilmente da sè la verità del poco che ne dicemmo. IL Boucheron. IL PRIMO GENNAJO. Un nuovo anno somiglia a que’ tiranni dell’antichità il cui ritorno, dopo breve assenza, era oggetto di sorde maledizioni, nel tempo stesso che s’accoglievano col sorriso sulle labbra e con le mani piene di offerte; offerte che del resto valevano qualche cosa di più dei nostri vani applausi, i quali ricordano il teatro anche laddove non dovrebbe essere ricordalo. Un anno di più! ripete ciascuno con un lungo sospiro, e ciascuno nasconde sotto codesta esclamazione e sotto codesto sospiro un timore o una speranza. Per la donna, tutte le primavere vanno a trasformarsi in inverno, e qui v’ha d’ordinario rimpianto di tempi che non son più; pel vecchio che cammina verso la tonfila, v’ha mestizia e dolore; per la giovane che vede dinanzi a sè la vita bella e ridente, gioje e feste. Se non che, le idee filosofiche sono felicemente soffocale dai doveri o dalle convenienze che impone il primo giorno dell’anno; giorno che molte in movimento tutta la scala sociale, recando intorno, in ragione del novanta per cento, melile parole, sterili voli, bugiardi augurii, riepilogali solitamente in un pezzetto di carta lucida e stampala, sulla quale v’ha un nome, una corona, uno stemma... e qualche volta una mentila alla verità ed al pudore. Volete entrare con me, lettori indulgenti, in una casa abitala da varie classi di persone? Da quanto là dentro succede, potrete a un di presso giudicare di tulle le altre case della città. Incominciate a trovare raccolte dalla portinaja le persone di servizio di sci o selle inquilini, le quali passano in revista i doni ricevuti per le feste o pel capo d’anno; e chi deplora l’avarizia dell’uno, chi esalta la generosità dell’altro... La fantesca di un maestro di musica sperava aneli’ essa un regalo... ma l’opera nuova del suo padrone è stala zittita e non si rialzerà mai più, a malgrado delle lodi imparziali di qualche disinteressato giornale!... Il primo piano è abitalo da un ricco banchiere, che ha una numerosa famiglia, e di cui è abitudine dare un pranzo c un concerto vocale e istrumentale il primo giorno dell’anno. Al pranzo, ognuno assiste solitamente con molto interesse e con giusta ammirazione; al concerto per lo contrario con manifeste dimostrazioni d’indifferenza o di noja. Molli elogi al cuoco, non una parola di lode al giovane maestro che ha composto, per la solenne circostanza, due nuovi pezzi pieni di estro e di gusto. Al secondo piano abita uno zitellone ricco, egoista, che pretende ancora alle fortune galanti di un Lovelace, che suona il flauto tulli i giorni di pioggia, e che maledice una sequela di nipoti che, in simile circostanza, non manca mai di recarsi a fargli le sue cordiali felicitazioni. Costui ha una fretta da non dire: deve provarsi degli abili nuovi, mandar regali alle signore che gli sono cortesi di buona accoglienza, far visite, consegnare biglietti e dividere la sua veglia notturna fra due o tre sale di belle dame alle quali ha la fatuità di credere di non essere indifferente. Al terzo piano trovasi un impiegalo che, nei brevi suoi ozii, suona il violino, lacerator di ben costruiti orecchi, come scrisse il poeta. Egli è uscito di casa per le visite d’obbligo a’ suoi superiori, ben inteso che farà precedere quelle dove teme o dove spera alle altre che non gli posson frullare nè in bene nè in male, nè in biasimo nè in lode. Al medesimo piano v’ha uno cantante: bi