Pagina:Gazzetta Musicale di Milano, 1845.djvu/20

natore cattivo, pochi mediocri, e la massima parte sovranamente buoni. I nostri violini, per (pianto mi venne fatto di osservare nelle molte città d’Italia che ho perCsJ corso, non temono rivali; la prima viola, alcuni violoncelli, e quasi tutti i contrabbassi (il primo dc’quali è forse il miglior contrabbasso d’orchestra, che esista), una parte degli strumenti a fiato di legno, e parecchi fra quelli di ottone possono degnamente collocarsi a lato dei migliori che siano nella nostra Penisola. Nel decorso di questa lettera tenterò di chiarirvi com’ella sia in atto. Noi abbiamo cinque teatri, nei quali si rappresentano, ogni anno, in certe stagioni, opere in musica. Ve li nominerò per ordine della loro vastità c della loro importanza: c sono il Regio, il Carignano, il d’Angcnnes, il Sutera, e il Diurno. Il parlarvi dell’orchestra di ciascuno mi porterebbe a soverchia prolissità: mi limiterò dunque a quella dei tre primi; e voi potrete facilmente estendere sulle altre le mie riflessioni, purché solo sappiate decrescere sotto ogni riguardo il merito dell’orchestra di mano in mano clic il teatro diminuisce di vastità e d’importanza. Il teatro regio è, dopo quello delia Scala di Milano e quello di S. Carlo a Napoli, uno de’ più vasti teatri d’Italia. Comecché io giudichi mal fondato il lamento di taluno che dice essere questo teatro poco sonoro: tuttavia, siccome ho I - già detto de’ cori, il numero degli strumenti d’arco, non ostante l’abilità de’suonatori, non mi pare sufficiente, sì per la vastità del locale, i sì per il contrapposto degli altri strumenti. Quivi j i violini sono 17 compreso il direttore, le viole 4, i violoncelli 5, i contrabbassi 6, in tutti 52; i I quali sono contrapposti a quattro coppie di strumenti a fiato di legno, e a 10 strumenti d’ottone, oltre i timpani, la gran cassa e compagnia. Il difetto si rende vieppiù sensibile al teatro Carignano, dove il numero de’ violini scema di 4, delle viole, dei violoncelli c dei contrabbassi di 2, mentre quello degli strumenti a fiato resta il medesimo. Peggio poi al teatro d’Angcnnes, dove gli strumenti d’arco non giungono a pareggiare in numero gli strumenti a fiato. Oltre questo difetto, havvene un altro nella proporzione delle diverse specie d’istrumcnli d’arco fra loro. Le viole nelle nostre orchestre non solo, ma, se non erro, in tutte le altre d’Italia e d’oltremente sono al più nella proporzione di una contro due violini primi o secondi (1), spesso di una contro tre, e talvolta ancora in proporzione più disparata. Il che, a mio giudizio, reclama una riforma. Passi che le viole fossero poche in confronto de’ violini nella maggior parte delle opere teatrali anteriori alle prime di Rossini. In quei tempi la loro quasi non era che una parte riempitiva, c per lo più esse non facevano altro che raddoppiare il basso. Ma nella musica odierna le viole hanno acquistato un’importanza tale, che è meraviglia come finora non j sia stata al giusto riconosciuta; un’importanza, che pareggia ordinariamente quella dei secondi violini, e che, disconosciuta, fa andar perduta quasi sempre la parte di questi belli strumenti, e toglie al compositore una porzione delle sue risorse. - Quasi altrettanto debbo dire dei violoncelli; i quali, sia per ben collegare i suoni gravi i e potenti dei contrabbassi con quelli degli strumenti acuti, sia per dar rilievo alla melodia che talvolta ad essi viene parzialmente assegnata, sia ancora per dar corpo alla loro massa, quando è sola in azione, dovrebbero essere in maggior numero. - Un ultimo difetto io lo veggo ancora ncll’assegnamento delle parti ai tre tromboni. Qui il trombonista più abile fa la parte più acuta, il meno abile la più grave. Da ciò deriva che la parte più grave degli strumenti d’ottone é sempre la più snervata, e la meno ben eseguita: anzi succede bene spesso ch’essa appena si senta, soffocata com’è dalla franca esecuzione delle altre due, e tanto meno quando tutti gli ottoni I sono in azione. Di quanta importanza sia una (1) AI nostro I. R. Teatro alla Scala abbiamo otto viole a confronto di dodici violini primi, ciocché è nella proporzione di una ad uno e mezzo. {La Redazione) ’ " ’ riforma a quest’oggetto, ognuno può vederselo; il la quale è agevole a farsi col solo scambiar le ’ parti ai suonatori. Ma a proposito dirò di passaggio, non sarcbb’egli buona cosa l’introdurre nelle nostre orchestre un trombone basso, e così avervi due tromboni tenori ed un basso, invece di tre tromboni tenori? Ciò però sia detto sempreché i compositori trattino il trombone basso come trombone d’orchestra, e non come trombone concertante. L’area della nostra orchestra è un parallelogrammo rettangolare, lungo quanto é larga la platea del teatro, e largo quanto basta per capire comodamente, nei teatri Regio c Carignano, quattro persone sedute di fianco l’una all’altra, oltre ad uno spazio vuoto per dare accesso ai posti dei professori addetti all’orchestra; nel d’Angennes quanto basta a capire due persone sedute di fronte, frammezzate da un leggìo. In tutti c tre i teatri il Direttore siede sur uno scaffale alquanto elevato, nel bel mezzo del lato del parallelogrammo clic aderisce alla platea, con la faccia rivolta verso il palco scenico. Nel teatro Regio alla destra del direttore sono collocati i 16 violini in quattro file, due primi, e due secondi per ogni fila, dopo i quali seguono quattro violoncelli, e tre contrabassi, e infilici timpani; in mezzo, quasi dirimpetto al direttore, stanno il! primo violoncello e il primo contrabbasso frammezzati dal maestro al cembalo; poi seguono nelle file a sinistra le viole, oboi e flauti, clarinetti c fagotti, una coppia di corni e ofieleidi, l’altra coppia di corni c due contrabassi, tre tromboni, c poco stante da questi, la banda turca. Negli altri teatri la cosa va a un dipresso su questo fare, salvo la diversità, che induce necessariamente la natura della località, e la quantità degli individui componenti l’orchestra. Avuto riguardo alle esigenze delle località, panni che disposizione migliore di questa non potrebbesi dare alla nostra orchestra. Difatto il direttore con un semplice girar d’occhi può veder tutti i suonatori, i quali tutti, nella stessa maniera possono veder lui; il direttore ha d’intorno a sé il così detto quartetto, la base dell’orchestra; le diverse masse d’istrumcnti d’arco e da fiato di legno e d’ottone trovansi riunite, fuor solamente i violoncelli e i contrabbassi, i quali sono saviamente distribuiti nel centro e nelle due estremità dell’orchestra, sì per mantenerne l’appiombo che dipende principalmente da questi strumenti, sì perché il direttore non sia assordato dal loro frastuono, quando fossero collocati vicino a lui per averli riuniti. In quanto all’effetto acustico che produce, mi pare altresì che tale distribuzione sia molto ben congegnata, perciocché, essendo le masse d’istrumenti disposte successivamente per lo lungo dell’orchestra, la forza dell’ima non è mai soverchiata da quella dell’altra, c l’uditore può coglierle distintamente e pienamente tutte. Un solo inconveniente é per coloro che vi si mettono troppo davvicino, perché allora questi sentiranno troppo fortemente la massa vicina, c poco o nulla le altre, secondochè vanno allontanandosi. Ma questo è inconveniente, a cui diffìcilmente si può ovviare in qualsiasi maniera d’orchestra; se già non torna affatto impossibile l’evitarlo. Discorsa così l’organizzazione delle nostre orchestre, è a dirsi come sieno messe in azione. Ma di ciò in un’altra. Gradite intanto ch’io mi dichiari Di Torino,.... gennajo 1843. Tutto Vostro Luigi Rossi. DELIA CANZONE ASSIDERATA DAL LATO DELLA MUSICA DE LA CHANSON CONSIDÉRÉE SODS LE SEUL RAPPORT MUSICAL. Lu a la Séance publique de la Société libre des beaui-arts. PAU J. ADRIEN DE LAFAGE (Trad. dal francese. - Continuazione e fine.) n Francia, la canzone ha, da un quarto di secolo in poi, preso una foggia più elegante, la quale (parlando sempre musicalmente) le ha fatto perdere parte del di lei incanto: non si riscontra più in essa l’antica semplicità: a’ giorni nostri ella rassomiglia ad una villanella, conciata a festa con abiti di città, cui, inceppate le mosse, é sparita ogni grazia e leggerezza propria. D’altronde molli capi speciali andarono perduti, e precisamente quelle arie si piacevoli per la loro forma ben marcata, vale a dire, per la loro snella andatura, per il loro carattere semplice e deciso. Ali! che quegli antichi monumenti della giovialità francese | pili non esistono se non che nella ricordanza di alcuni provinciali. Si sono messe da un canto le antiche strofe con ritornelli, e non si sa oggigiorno dar segno di maggior riprovazione per | una data composizione musicale che coll’accu- ■ sarla di sentire il Flonflon; eppure! quanti antichi Flonflons avuti a sdegno ed in obblio i erano arie studiate molto più che non si pensi, in cui, come nei versi dei grandi poeti, l’arte destramente veniva celata per dare a tutta la composizione l’apparenza del facile e dello spon- i tanco!... Non cadrà mai in mente ad un musicista di dichiararsi difensore deliberato del Flonflon e 1 tale certamente non è il pensici’ mio, ma egli è duopo rendersi conto di tutto; per cui si può dare una spiegazione del Flonflon senza prò- [ porre con ciò di rimetterlo in vigore. Osserviamo pertanto che i Flonflons, i Farelaridadondaine3 j’ le Turelure, le Lontani ad ari rei te, considerate j. nel loro vero punto di vista, non erano già così ridicola cosa, come qualcuno potrebbe crederlo I oggigiorno. Tali forinole non sono altro che onomatopejc (1) rappresentanti il suono degli istrumenti: esse servivano egregiamente a contraddistinguere l’istante in cui la musica prendeva in un modo assoluto il vantaggio sopra le parole, a segnalare il momento in cui la poesia lasciava alla musica la cura di far comprendere ciò che ella stessa ricusava di esprimere, allorquando nel trasporto di una eccessiva gajezza e dell’entusiasmo, o pur anco per bisogno d’azinne, ella aveva l’opportuno accorgimento di lasciare in piena libertà la sua rivale. In fatti la musica solo poteva provocare all’istante non già la danza incivilita, in cui più non si balla, tanto meno poi quella danza misurata a rigore di scuola, e pagata tanto all’anno, e tanto per ogni qual volta uno balla, bensì quei passi animati, quegli allegri scambietti, quei giri mossi da liete voci in coro, c tutte quelle figure, e quegli atteggiamenti non istudiati, ma ispirati dalla natura, graziosi, svariati, pittoreschi, corn’ella. In conferma di quanto sopra basterà una prova, la quale si è, che, in certi casi, la musica può ricorrere al Flonflon, trattandosi anche di composizioni di primo ordine. Un esempio felicissimo riscontrasi nel tanto dilettevole Matrimonio segreto, una delle più belle opere dell’illustre Cimarosa. Nel secondo atto, dopo la burlesca contestazione che forma la prima metà del bellissimo duetto dei due bassi, i personaggi venuti alla fine d’accordo, esprimono con una mutazione di movimento la loro scambievole soddisfazione: poscia, più non trovando parole bastantemente efficaci a ritrarre la matta gioja da cui sono compresi, eglino si dispongono a cantare ed a ballare sopra semplici sillabe; ed allora la musica, senza l’intermediario delle parole, prendesi il carico di trasfondere nell’animo degli spettatori l’immagine di una gioja, di una ebbrezza,