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chc senza le voci delle donne la musica manca necessariamente di quella soavità che la fa degna di prender bella parte nei rili di nostra religione. Vi sono alcuni che pretendono la presenza, la coopcrazione delle donne nelle ecclesiastiche musiche, dover riuscire di scandalo come causa di seduzione per gli uomini che assistono alla sacra funzione: «Ma per simil ragione, egli» osservava saviamente, non dovrebbe anche» agli uomini interdirsi di prendervi parte, poi» che la loro presenza, i loro canti, possono» esser causa di seduzione alle donne che devote» intervengono ad assistervi»? In fatti, la tranquillità della coscienza, la purezza dell’animo delle donne, mollo più deboli c sensibili, c così tanto più esposte al pericolo, non merita di esser tutelala altrettanto che quella degli uomini, i quali più sono in grado {ter la franca educazione che han ricevuto di guardarsi da sè? «Non la coopcrazione delle donne alle musiche sacre, ci soggiungeva, ma la tiepida fede, la mancanza di zelo e di religioso fervore nei maestri che profanano il tempio con mondani e talora voluttuosi canti teatrali, è la cagione di ogni scanO» dalo, di ogni male». Queste cose, già vere di per sè, forza maggiore in vero acquistavano sul labbro di un uomo di puri costumi ornato, e in cui di fulgida luce splendevano le più belle morali virtù: tra le quali ultima non era la umiltà. Pieno il pollo di fervido zelo per la religione c per l’arte, bello infatti era il vederlo contentarsi (specialmente nella esecuzione delle sacre musiche) del più infimo posto: «Qui serviamo Id» dio, egli diceva; non vi debbono essere prc» cedenze». Scrisse Ettore anche molla musica istrumcntalc, di cui la maggior parte fu per uso della società filarmonica diretta da suo fratello Dcifebo. Era inoltre eccellente direttore, mirabile per la calma dignitosa c la padronanza che di sè stesso sapea conservare, per l’antiveggenza nel prevenire il disordine, per la prontezza nel rimediarvi avvenuto che fosse, del pari che per la somma delicatezza ch’ei poneva nel non offendere, per quanto possibil fosse, l’amor proprio dei suoi sottoposti. Considerato così brevemente il Romagnoli sotto l’aspetto di musicista, mi resta a dirne qualche parola come dotto, come letterato. Occupatosi egli non senza qualche successo di poesia, ad onesta ricreazione degli anni suoi giovanili, si dette ad incremento degli studj musicali a tradurne nella nostra favella i relativi scritti di Rameau, di D’Alcmbert, di G. G. Rousseau: alle quali occupazioni intramesso la compilazione di un ben ordinato e voluminoso trattato di geografia, arricchito di molte mappe da lui stesso disegnate. Egli stesso si fu similmente, che, avendo a socio dell’impresa il Prof. Giacomo Barzellotti, sommistrò al Gervasoni gli articoli relativi ai musicisti senesi per le sue memorie storico-musicali. Compilò pure una coscienziosa Guida col titolo Cenni storico-artistici di Siena e dei suburbj, che nel 1822 fu pubblicata in iscorrcttissima edizione, c quindi con molte aggiunte e correzioni fu ristampala in Siena nel 1856. Due voluminosi tomi di aggiunte alle Pompe senesi del padre Azzolino Ugurgieri sono del pari coscienzioso lavoro del Romagnoli, in cui per mezzo di altrettanti articoli disposti alfabeticamente si contiene una completa biografia di quanti cittadini senesi si distinsero in ogni genere d’illustrazione, a cominciare dalla metà del secolo XVII c continuando sino al finire della laboriosa vita dello scrittore. Ricchezza di esatte notizie, ponderazione e buon gusto nei molti lettcrarj ed artistici giudizj onde è piena, sono le qualità per cui quest’opera principalmente si distingue. Ma l’opera capitale del Romagnoli, quella a cui dedicò specialmente venti anni di studj indefessi, ed a cui lavorò si può dire finche visse, si è quella che intitolò Storia dei Bellartisli senesi. Relativamente ad essa mi limiterò a riferire ciò ne scriveva poco avanti la sua morte il Proposto Bibliotecario senese Luigi Dc-Angelis: «In quella immensa biografia, così il DcAngelis, ha veramente mostrato l’autore il suo vivissimo amor patrio, avendo scorso foglio a foglio, per classicamente condurla, tutti gli archivj senesi c sopra tutti quello dell’estinta repubblica. L’archivio diplomatico ritornato intatto da Parigi nel 1813, ove era già trasportato per ordine di Napoleone, fu riordinato in questa epoca dal sopraintcndcntc Zaccheri, dal dotto Barone Rumhor e dall’instancabile Romagnoli. E questo elesse il nostro Ettore a palestra dei cari ed ameni studj suoi per oltre dieci anni. Completò quivi la sua storia artistica c la divise in dodici volumi, ricchi di circa settecento sessanta articoli contenenti la vita dei pittori, architeli i, scultori, musaicisti, miniatori, orafi, bronzisti, nicllatori, ingegneri, pittori in vetro, cesellatori, plastici, intagliatori, intarsiatori, incisori, zecchieri, smaltatori, paesisti c commettitori di pietre, senesi e della senese provincia, dal principiare del secolo XII fino ai viventi. Immensi documenti inediti arricchiscono questi articoli. Gli ordinamenti di pubblici lavori, le preziose lettere, i facsimile dei principali autori, la dotta prefazione, i discorsi situati in fronte ad ogni volume, il suo indice, veramente interessante rendono quest’opera ammirabile, ecc.» Pari alla dotta operosità del Romagnoli fu il generoso disinteresse con cui pose a parte chiunque il richiese delle notizie da lui con tanta fatica raccolte per servire alle opere sue. «Ne» ebbe infatti il Davìa per le porte di S. Petroj> nio (così il Conte Giovanni Pieri nell’elogio» funebre del Romagnoli letto nell’adunanza del» dì 3 aprile 1840 dell’accademia senese dei Fisio» critici, di cui il Romagnoli stesso era membro).» Ne ebbe infatti il Davìa per le porle di S. Petronio, il Vcrmiglioli per la storia del Pinturicchio, il Lillà per le famiglie illustri, il Troya per il Veltro allegorico, il Repelli per il Dizionario, il Dc-Angclis per la Biografia degli scrittori senesi, il Gervasoni per le vite dei musurgici, ed il defunto Plattcn per non so qual lavoro. Ei stava trascrivendo l’intiera interessantissima vita di Giorgio Martini per un letterato distinto di cui ho perduto il nome,» allorquando fu sorpreso dalla morte». Morendo, legò il Romagnoli alla biblioteca pubblica di Siena il manoscritto di questa opera interessantissima, che sarebbe a desiderarsi fosse presto resa di ragion pubblica con le stampe. Entrare a descrivere i particolari della vita privata del Romagnoli non è mia intenzione: noterò solo che buon marito, buon padre, quanto era stato figlio esemplare, fu cristiano filosofo nella morte, tantoché, sorpreso nel 28 marzo 1857 da tocco apopletico, mentre tutti lo crcdevan ristabilito, ei, riguardandosi ormai per brev’ora nel mondo, venne a bella posta in Firenze per prender commiato dagli amici, quasiché si trattasse di un ordinario viaggio, c per rivedere gl’insigni monumenti artistici onde questa città è ricchissima. Tornato in Siena ed infcrmataglisi la moglie mentre la assisteva nel ricevere i conforti della religione, cadde semivivo per nuovo soprassalto del male nel dì 15 gennajo 1858, c dopo brevi giorni morì. Dal sullodato conte Giovanni Pieri, amicissimo e già discepolo suo nella musica, ne fu trasportata la salma c datole amorcvol sepolcro tra i suoi nella sua cappella di S. Antonio in Presciano posta nel suburbio senese: ne fu poi onorata la memoria con mortuaria iscrizione al sepolcro, e con l’apposizione di marmorea lapide con iscultavi epigrafe panegirica nell’atrio che mette alla pubblica comunal biblioteca di Siena, sua patria diletta. L. F. Casamorata. PIANOFORTI BOISSELOT. (t) p r^Q°i abbiamo avuto più d’una voila s^’j I ^(l’occasione di segnalare gli sforzi che Bl ** ipÇ’ signori Boissclot di Marsiglia, atf

  • eti intelligenti fabbricatori di

>fâ pianoforti, fanno incessantemente | onde raggiungere il perfezionamento dell’arte i loro. Incoraggiati nel 1854 da una onorevole | menzione, ricompensati nel 1859 con una medaglia d’argento, essi hanno raddoppiato di zelo, ed in oggi ci presentano due notevoli invenzioni che ci sembrano destinate ad un grande successo, perocché esse aumentano le risorse del pianoforte somministrando all’esecutore dei mezzi che finora gli ricusava il clavicembalo ordinario. I pianisti della moderna scuola hanno interamente cangialo il giuoco dell’istrumento. Ciò che si vuole in giornata si è, avanti tulio, la più gran forza, la più grande possibile sonorità, perchè il pianoforte deve rappresentare o ri unire in sè tutta un’orchestra; quindi ({negli accordi sì pieni a doppia e tripla distanza i quali esigono un distacco delle dita accessibile soltanto alle gigantesche mani dei nostri virtuosi; quindi que’ passi di ottave eseguiti colla rapidità della folgore ed una moltitudine di difficoltà che non si trovano a portata del dilettante. Da un’altra parte si sforza di far cantare l’istrumento sia in accompagnare delle cantilene con arpeggi staccati, sia con una fila di note che vi si aggruppano all’intorno. Ma i passi di ottave esigono una mano vigorosa, una forza fisica della quale non tutti gli uomini possono disporre; quanto poi ai passi cantabili, questi si producono, come ognun sa, col mezzo del pedale che lascia alle corde tutta la durata della loro vibrazione. Ma questo pedale, coll innalzar d’un tratto lutti gli smorzato], ci porla l’inconveniente di lasciar vibrare simultaneamente tutte le note indistintamente, d’onde alcuna volta ne risulta una confusione od una armonia poco piacevole, e che d’altronde infastidisce di sovente l’artista, forzandolo d’abbandonare la tenuta di alcune note per evitare una tale discordanza. Colpiti da questi inconvenienti, i signori Boissclot si sono proposti due problemi, (fucilo di poter eseguire le ottave (o in generale molte note in una volta) non toccando che un solo tasto, e quello di poter sostenere quanto vogliasi ciascuna nota indipendentemente dalle altre, vale a dire di poter produrre una frase cantabile, circondata d’arpeggi oppure di note staccate. Questi due problemi essi li hanno risolti in modo soddisfacentissimo, l’uno nel piano-forte otturato, l’altro nel piano-forte de’ suoni sostenuli a piacimento. Il pianoforte ottavaio si costruì dietro due sistemi, de’ quali l’uno consiste nell’impiego della pluralità delle corde, l’altro nell’unione delle leve oblique. Si è secondo il primo sistema clic fu costruito il pianoforte a coda che si trova nel palazzo d’industria. Eccone il meccanismo: Ciascuna nota, in luogo d’avere tre corde come nei pianoforti ordinarli, ne ha cinque, delle quali tre sono accordate ad unisono, e le altre due, messe a sinistra, suonano l’ottava bassa. Quando il clavicembalo si trova nella sua posizione naturalo, il martello non balte che le tre (1) Questo articolo è tolto dalla Gazzetta Musicale di Parigi, e fa parte d’una serie di articoli dello stesso signor Anders, relativi alla grande esposizione, che ebbe luogo l’anno scorso in Parigi nel Palazzo d’industria. Noi vorremmo poter inserire almeno i più interessanti articoli di questa serie, ma la quantità delle materie e la ristrettezza delle nostre colonne ce lo impediscono. Daremoperò quanto prima un sunto de’principali oggetti musicali di questa ricca Esposizione compilato da celebre critico. Abbiam però voluto riportare questo articolo del signor Anders, essendoché ora che i Pianoforti del signor Boissclot di Marsiglia han traversalo le Alpi e son giunti presso alcuni dei nostri negozianti di strumenti e fanno anzi bella mostra di sè in parecchi de’ nostri salons musicali, è bene che si conoscano c si apprezzino nel loro giusto valore. La lled.