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SUPPLEMENTO al N. 3. ’©; © suggerito esser lui un giovane compositore, il quale ha sì ben trovato il segreto di farsi applaudire, che le opere sue vanno facendo il giro del mondo, e nella stessa musicalissima Napoli, ove i giornalisti non lo conoscono, ha tale una quantità di conoscenti, che non solo venne impegnato per dare un’opera questo medcsim’anno 1849, ma un’altra ancora per l’anno 1847. Il rispondere altro sarebbe fiato perduto per chi ha la bile negli occhi, nè può veder bianco, dove vede giallo, e giova risparmiarlo. Ove poi la risposta l’avessi dovuta far io, come incolpato fabbricatore di frontespizj, gli avrei soggiunto che sulle sponde dell’Olona non si suole, come altrove, attribuir valore alle cose che non ne hanno, c che le sopraccoperte delle musiche vaglion qui per sopraccoperte c nulla più. Che Verdi capitò sotto Rossini per la stessa ragione che Bellini capitò sotto Donizetti (10), per la stessa ragione che Mandanici capitò con Mcyerbeer, con Merendante e Mazzucato, cioè perchè nomi troppo lunghi non potevano stare in campi troppo piccoli. Che la sopraccoperta, volendo dare un elenco degli autori, non un panorama del tempio dell’immortalità, avevan diritto di figurare così i maestri Verdi c Mandanici come Rossini vivo e Bellini morto, quand’essi pure faccvan parte della raccolta. Che il fare diversamente, cioè rassegnare a ciascuno un posto secondo la sua celebrità, mi avrebbe fatto parere un fonditore di fame e di riputazioni, come dice il suo articolo, il che era appunto ciò che io non voleva essere. Se al signor Somma è parso altrimenti, la colpa non è mia, ma di chi vede il male dove non entra che la sua malizia. Ora ch’egli sa ciò che gli avrei risposto, e mi pare d’aver tenuto la mia promessa di farlo degnamente conoscere ai lettori della Gazzetta, lo abbandono alla sua fama, alle sue visioni, ai suoi deliramenti; e consigliandolo a lasciare in pace i galant uomini, che vi troverà il suo meglio, ritorno alle mie occupazioni cedendo ad altri il campo difficile delle polemiche, che per questo solo caso ho creduto dover usurpare. Giovanni Ricordi. (10) E dispiaciuto al sig. Somma ch’io abbia posto Bellini insieme a Donizetti, perchè l’uno è morto e l’altro è vivo. Davvero è singolare! lo voleva dare i nomi degli autori componenti la raccolta, non una nomenclatura dei vivi e dei morti. Chi si poteva peusare che tata così la mia sopraccoperta dovesse essere intcrprcinalignamenlc? TEATRO RE Farsa, posta in musica da un dilettante, c rappresentata la prima volta la sera 15 corrente dalla signora Sara, e dai signori B®ozzolini, lassarsi e ^Laureiti. 47 ■yP uesto modesto anonimo, questo discettante, che ben a ragione l’affisso i^della giornata aveva fatto preccdorè dall’epiteto di distintissimo, C5 è^non è altri che il sig. Conte Antonio Bclgiojoso. Ce lo dice apertamente nel suo numero di giovedì la Gazzetta Privilegiata, c noi amiamo ed andiamo superbi di ripeterlo, perchè dappertutto si sappia di quali veramente distintissimi dilettanti dell’arte musicale si arricchisca ogni dì maggiormente questa nostra Milano. Codesta Figlia di Domenico, lo si scorge chiaramente dal suo titolo, è La Fille de Dominique, spiritoso Vaudeville che noi udimmo alcun tempo fa a questo medesimo teatro, recitatovi da una compagnia francese. Questa Figlia ne riaperse perciò la mente a dolci memorie, che è a dire a quelle d’una Mad. Albert, che cantava come la Persiani (almeno le belle romanze del Masini), c che recitava come come infatti sapeva recitare Mad. Albert in questa graziosa Pièce de’ signori De-Villeneuve c Charles, atta eminentemente a dare svariato saggio del multiforme talento di quella egregia artista. Ma se noi abbiamo perduta La Fille de Dominique, in suo luogo abbiamo or guadagnata La Figlia di Domenico; vogliam dire che se più non ci è dato ammirare Mad. Albert, abbiamo d’altra parte la soddisfazione di veder accresciuto il non ricco numero delle nostre buone operette buffe, di una, quale si è questa del Conte Belgiojoso, ricca de’ più bei pregi. Quanto il Vaudeville succitato si presti a vestirsi delle forme complete dell’Opera noi sapremmo dire. L’argomento scherzoso sembra a primo aspetto prcstarvisi assai bene: ma, venendo al fatto, due difetti sensibili ne si parano immediatamente dinanzi. 11 primo risulta da ciò, che tolta la parte della protagonista, le’altre sono veri pertichini, affatto inutili all’azione, che dieon niente, che fan niente: non sono che macchiette della figura del (piatirò principale. Ed infatti non è quest’operetta che una grand’aria della prima Donna, che dura quanto dura l’intera farsa, c che viene accompagnata or da uno, or da due, ed or da tre pertichini, e dai cori. Tale è il senso che se ne ritraggo, per (pianto sieno stali ingegnosi gli studj c gli sforzi del nobile compositore nel cercare f equilibrio delle parti vocali, o, per meglio spiegarci, nel tentar di salvare le convenienze de’ signori cantanti. - Il secondo difello poi si è questo; che tutte quo’ canti caratteristici di vario colore, i quali nel testo francese trovavansi nicchiati e spiccavano a meraviglia (appunto pel marcato distacco dalla prosa al canto), qui rimangono un cotai poco scoloriti, c quasi, direi, non si distinguono che a fatica; poiché mancano in fallo di contorni: c ciò non per colpa certamente del maestro, ma bensì del trovarsi essi incorniciati dalla musica, anziché dal dialogo recitato. Ciò notalo, passiamo, e sinceramente, agli elogj. Dietro questo primo pubblico saggio noi abbiamo dovere di riscontrare nel sig. Conte Antonio Bclgiojoso un talento musicale di una non comune elevatezza: talento che possiede molto buon senso nella giusta applicazione delle note alla poesia, come ben si può riscontrare in tutto il corso di quest’operetta, ove la musica serve fedelmente c senza stento alle parole: dal che succede che molti pezzi riescono anche originali; poiché, come bene avverte un saggio scrittore, «Dove c è verità havvi pure originalità». La musica dunque di quest’operetta (amiamo ripeterlo come elogio che ben di rado possiamo fare a’ nostri maestri) è vera. Degna in ispccial modo di tale encomio è la scena del Delirio, dove la Figlia di Domenico fingesi l’innamorala presidentessa. In tulio questo pezzo, nella prima parte principalmente, l’orchestra vi è svolta con bel colorito e calcolata economia. Questo secondo pregio riscontrasi fortunatamente in tutto il corso della composizione. Ogni brano vi fu applaudito, ed assai. Noi abbiamo riscontralo delle belle qualità in tutti i pezzi; ma crediamo degni di menzione particolare - il bel coro in fa che serve di chiusa all’introduzione-tutto il duetto della signora Sara col sig. Massard - parte della cavatina del tenoreuna buona parte del quartetto - la notata scena della Pazzia - c il breve coro in mi. Una leggera pecca ci sembrò tuttavia di poter accusare. Eccola: - Ogni pezzo si chiude con una cadenza, lavorata anche con bell’.artifizio. Questa cadenza viene replicata costantemente. — — r — La ragione di questa replica?... Oltre che la replica, anche d’una cosa nuova, distrugge immediatamente ogni novità, è dannosa sempre, almeno ci sembra, la prolungazione delle chiuse finali. Raffredda per lo manco la disposizione al plauso, prodotta dall’impressione gradita della cabaletta. L’esecuzione fu accuratissima: ciò che d’altronde non vuol pur dire ch’ella sia stata buona; essendo che tutti han fatto quanto han potuto, ma non tutti han potuto fare quanto avrebbe abbisognato. I cantanti uomini, abbenchè sacrificati, come si avvertì, pel contesto del libretto, furono migliori che nelle opere precedenti, dai medesimi sostenute in questa stagione. Ciò dipende senza dubbio dall’essere stati meglio guidati in questa circostanza dalla vigile direzione del compositore. Dalla signora Sara, dobbiamo dirlo, attcndcvasi di più. Ella vi fu applaudita, è bensì vero, anzi tutti i suoi compagni, ma noi non siam rimasti soddisfatti (pianto lo avremmo desiderato. Comprendiamo che ad una francese che non conosce la lingua italiana è difficile il pronunziarla; comprendiamo che se nella musica hannovi dei passi difficili, possono facilmente nell’esecuzione riescire non puri; ma comprendiamo altresì, che allorquando si hanno mezzi vocali eccellenti ed anche una buona dose d’intelligenza, come possiede madamigella Sara, si può, innanzi che affrontare il giudizio dei pubblici, studiare e lingua c musica: - la lingua, per poter far intendere le parole a chi ascolta; - la musica, per potervi eseguire le note quali sono scritte, perchè il primo scopo d’un musicista deve essere quello della netta esecuzione. Che se, o signori cantanti, il vostro organo non si presta a tale o tal altro passo, fatevelo cambiare (il passo); il compositore’è là appositamente anche per questo oggetto, ed è certo suo interesse il farlo. - Non ce ne voglia male la signora Sara di quanto l’appuntiamo. Non intendiamo avvilire un artista, allorquando gli diciamo «non ci avete dato quanto potevate darci». Tale rimprovero, se non è un elogio alla sua buona volontà, lo è bensì tacitamente al suo talento. Alberto Mazzucato. r^O BIOGRAFIA ETTORE ROMAGNOLI. (’Continuazione e fine.) Quantunque il genere da Ettore prediletto fosse quello dell’oratorio, molto si esercitò anche in quello proprio da chiesa, specialmente dopoché nel 1802, morto il Lapilli, fu nominalo maestro di cappella della insigne collegiata di Provenzano. In questo genere aveva esordito con sommo plauso lino dall’anno 1797 con un Venite exultemus ed un Laudate pueri, che una trentina di anni dopo io stesso ho avuto luogo di sentire, che ho sempre trovato spiranti tutta la freschezza di gioventù. Relativamente alla musica ecclesiastica del Romagnoli, si può dire che in generale si risente alcun poco della sua predilezione pel genere dell’oratorio, quantunque nulla vi abbia che alla santità del tempio disdica. Se oggi, colpa del variato gusto dei tempi, i soli ci possono in essa sembrare talora alquanto barocchi, i ricchi e maestosi pieni nulla lasciano a desiderare. Religioso sinceramente quale egli era, una delle cose clic più lo accoravano era la eliminazione delle donne dai sacri concerti del Tempio, cosa cli’ci riguardava come una delle cagioni della degradazione della ecclesiastica musica. Ei sosteneva — ’ ■