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— 84 0 o jl II! I I! । । prima in confronto dell estrema lontananza del secondo «. Questo è il poeo lusinghiero, ma d’altronde incontrastabile ragionamento che chi spende quelle non indifferenti tre lire non tralascia per certo di lare. E la fu davvero un’idea storta codesta, che ci sembra non possa, ed a ragione lo temiamo, tornare a profitto dell animosa Impresa. E vero che voi, signor Impresario, offrite de* buoni Cantanti; ma il compratore del viglielto di tre lire dice (nè diremo ora se dica giusto, si o no), ne sentirei di migliori alla Scala: se voi glì direte di ammirare le magnifiche scene del Fontana, i ben disposti ballabili del Morosini, la precisione del macchinismo, le gentili seduzioni della Baderna, egli vi portera avanti i pittori del Regio teatro, la Elssler. la Taglioni, e via via. Voi gli vanterete e giustamente il bel canto, la simpatica voce, il talento, l’azione purissima e ragionatissima della Mathey; le grazie di canto e il garbo della Cuzzani; la grandiosa impronta selvaggia e satanica che veste il sig. Euzet nel sostenere la diffìcilissima parte di Burliamo, nella quale, a parer nostro, può egli gareggiare co più finiti artisti; gli farete rimarcare la metallica voce del sig. Della Cella e i suoi trionfi (qui però non rinnovatisi) di Cremona. Ma egli vi risponderà che il signor Soldi nella sua non lieve parte non fu per vero valente quanto avrebbe abbisognato; e che quando si vogliono montare Òpere di tal falla, non basta negli esecutori la sola voce, nè il solo talento, e nè anche la riunione di ambe queste doli in uno o due artisti. Ci vuole un tutto assieme perfetto. Tanto in codesto genere di musiche sovranamente drammatiche ogni più minima parte vi è strettamente vincolata al tutto, in guisa tale che a levare una sola pietra di un tanto edilìzio, corresi rischio di farlo crollare sin dalle fondamenta! Se il Roberto il Diavolo prenderà voga, come d’altronde vogliamo sperarlo e per noi e per l’arte, ed anche per giusto e meritalo compenso al coraggio di quelI’ Impresa, e varrà perciò a cangiare le fortune di questo Teatro, noi ritorneremo su tale argomento. e più diffusamente verremo a parlarne, forzandoci, benché indegni e perciò timorosi e tremanti, ih discendere nel cuore, nelle viscere di questa musica, e cercarvi, ed additare, per (pianto ne sarà possibile, le sergenti di tanti c si nuovi effetti, di laute e si imponenti bellezze. Ma se madonna fortuna si decidesse invece (che il Cielo non voglia!) di volgere le spalle a tanti sforzi e a tante spese incontrate, noi taceremo; poiché le nostre parole troppo deboli per sè stesse, non rinfrancate dal sussidio dilli sufficiente àpropos.cadrebbero più vane che mai: taceremo, aspettando migliori tempi e una riproduzione, se non altro per vastità di area, più conveniente al retto apprezzamento di un tanto lavoro. Intanto il favorevole accoglimento ottenuto in questa circostanza ne lusinga che i timori e t pregiudizi di allre Imprese svaniranno una volta per sempre, e potremo (parliamo chiaro) lilialmente e presto riudire al nostro maggior Teatro questa musica immortale.

  • Nè male ci apponiamo; poiché da siffatti

lusinghiero accoglimento di questa © musea al Carcano 1 impresa della Scala /t] dovrebbesi, speriamolo almeno, diggia estQ sersi nsa avvertita, che nè le apparizioni S’q dei moni, nè le armonie infernali hanno più pote-e al giorno d’oggi di spaventarci O di darci ai nervi. Son cose queste, ai I cori hanno pienamente corrisposto al loro ufficio, tempi che corrono, che non possono dav- siccome ancora 1 orchestra formala da valenti artisti, tempi che corrono, che non possono davvero incutere paura se non ai bimbi. E per amore di giustizia ne piace di osservare, che a Milano il dilettantismo musicale è ormai ben lontano dal trovarsi allo stalo d’infanzia. E già da lunga pezza che vi si è appreso a spregiudicatamente rilevar ed ammirare il bello, di qualunque scuola egli sia, da qualsiasi parte esso ne venga. Alberto Jlazzucato. li. L’ERHiAM di levai al Teatro S. Benedetto in Venetia, La sera del giorno ili del mese corrente fu riprodotto nel teatro Gallo a S. Benedetto il dramma lirico Emani, verseggiato da Francesco.Maria Piave e posto in musica dal maestro Verdi, nome che dolce suona a quanti v’hanno intelligenti cd amatori dell’arte armonica, e dei (piali formarono già la delizia le opere celebrale Nabucodonosor, ed 1 Lombardi alla prima Crociata. Un avveduto critico, parlando d una di queste, ebbe ad intravedere un indizio di notabilissimo progresso nell’arte drammatica, c noi dobbiamo consolarci seco lui del pronostico verificato nell’/ùomm, non ha guari composto dal medesimo autore pel gran teatro La Fenice, ove ottenne clamoroso successo, che si accrebbe a mille doppi nella presente riproduzione al teatro S. Benedetto. Noi ci dispensiamo dal rendere conto del sommo plauso con cui furono accolli i singoli pezzi dal pubblico, come eziandio dal presentare un’ana isi artistica di siffatto capo-lavoro, e rii» per due ragioni. Primamente per non ripetere quanto venne già detto dall’esimio dottore Locatclli nel pregi*vole articolo ch’egli ebbe a pubblicare (piando questo spartito fu rappresentato alla Fenice, ripetuto dalla Gazzella musicale di Mi-! L’ino nel foglio N. 11, anno 111; cd in secondo luogo perchè,ad estendere una ragionata critica, farebbe di mestieri avere sol l’occhio la partitura dell’opera. Egli è perciò i che inviliamo i nostri dotti colleglli signori maestro A. I Mazzticalo e G. Vitali, che con tanto fior di senno | ed abbondanza di lumi artistici e vedute filosofiche; hanno estesa la critica delle opere sovraccennalc, a fare altrettanto anche per V Emani. Pertanto ora noi ci limiteremo ad osservare che il Verdi in (piesto re- ■ celile suo lavoro presenta una felice reazione contro il falso gusto del giorno per (pianto risguarda la parte slrumental(‘, mostrando d’aver saputo opportunamente | prevalersi d’ogni ricchezza d’orchestra, senza perciò intronare l’orecchio degli ascoltanti, siccome generai-! mente far sogliono i moderni compositori, i (piali! paia’ che abbiano insieme stretto lega per congiurare a danno del timpano sensorio. Sia dunque lode a lui, che primo ebbe il coraggio di allontanarsi da siffatta depravata pratica; c giovi sperare che il modo: da lui tenuto, coronalo da tanto successo, possa essere I seguito dagli altri. Ora, parlando dello straordinario incontro di quest’opera, aggiungeremo; che, siccome a tulli è noto,: le musiche per (pianto siano pregevoli non ponno ottenere buon successo qualora non siano eseguile a j perfezione, così dobbiamo attribuire al distinto valore degli esecutori il completo trionfo del sullodato. lavoro. E cominciando dai primarj cantori, Teresa Brambilla, Fraschini, Coletti e Selva, accenneremo che, sebbene i tre primi fossero generalmente riconosciuti per valentissimi, ciononostante in quest’opera hanno superata la pubblica aspettazione. Troppo mi dilungherei qualora io volessi accingermi a render conto del singolare talento di ciascuno di questi cantanti: farò cenno soltanto dell’altissimo plauso ollenulo da Fraschini (Ernani) nella sua cavatina di sortila, da lui interpretata con soavi modi, adatti a quella dolcissima cantilena: e della cavatina che succede di Elvira, eseguita dalla Brambilla con tale magistero, da poterla, per così dire, riguardare siccome quella che ha toccata la pei fazione nell’arte del canto. Dirò pure dell’egregio Coletti (1). Carlo) che con i arte peregrina disimpegni) la sua gran scena ed aria ‘ Lo vedremo, veglio audace, e con acconci affettuosi modi cantò la deliziosa cabaletta Vieni meco, sol di rose, facendo per siffatta guisa conoscere, che il dono di voce robusta non toglie che Cartista, educalo a buona scuola, sappia modificarne la forza a tempo e luogo. 11 Selva (Gomez de Silva), che va debitore al maestro Verdi della onorevole attuale sua posizione, contribuì possentemente colla maschia e profonda sua voce di basso a dar risalto alla musica. Tutti i pezzi concertali, e particolarmente lo stupendo adagio nel finale della prima parte, che solo basta per collocare l’autore nel novero dei maestri di prima classe; la Congiura nella parte terza, pezzo sublime c caratteristico, cd il magico terzetto col quale ha fine il dramma, furono eseguili con perfezione rara. parecchi dei «piali forestieri. Qucst’ullinia venne diretta inarstrevolmentfe dallo stesso sig. Antonio Gallo proprietario del teatro, ch’ebbe ad assonici e l’impresa, per la quale egli ha provveduto senza risparmio di spese a tutto ciò clic contribuire poteva al buon successo, anche riguardo al magnifico vestiario ed allo scenario, pel quale invitò il valente sig. Bcrtoja, che in tale incontro fè bella mostra del raro suo talento. Chiuderemo coll’affermare che per unanime consenso l’attuale spettacolo delle Opere del teatro S. Benedetto per nulla ha ad invidiare a quello offerto dai primarii teatri delle più cospicue città d’Italia. G..1. Pcrolli. COME SI DEFORMA LA MUSICA DALLE ORCHESTRE Bisogna pur convenire die gli uomini di genio precorrono quasi sempre d’un secolo il tempo in cui vivono. La Francia dormiva tranquillamente i suoi sonni, beata di possedere le più sapienti armonie, neninten sognando che si potesse dare al mondo una nota miglior delle sue note. Giunge a Parigi una meschina compagnia di virtuosi, la quale in linguaggio straniero fa udire una musica fin allora sconosciuta, ed ecco sorgere una mischia d opinioni, nel rumor della quale un uomo di genio osa innalzar la voce per dire alla Francia intera che la sua musica non era che un aberrazione, e che il vero modo di trattar l’arte era quello appunto adoperato da quel meschino drappello di virtuosi stranieri. Oggidì quella voce non ha quasi più un oppositore, perchè il tempo ha falla l’opera sua, e la verità è venuta a galla. Ma in allora una simile sentenza non poteva essere gettata nel cuore d’una nazione senza conseguenza; e sebbene sostenuta da più d un paladino, l’orgoglio nazionale surse in gran corruccio a trattarla come un oltraggio, come una bestemmia, come un’eresia. Alla Corte si parlò di bando e di Bastiglia; in altro luogo si fe’niente meno che un complotto d assassinamento. Tutta la popolazione si divise in due opinioni: da una parte il maggior numero composto dei grandi dei ricchi, del gentil sesso e di quelli che nulla sanno; dall’altra i veri conoscenti, la gente illuminata, gli uomini d’ingegno. Ora al partito di quelli che nulla sanno (parrà un problema a chi legge, ma è fatto di pura storia), evasi arruolato quasi tutto il corpo filarmonico francese, e specialmente i professori d orchestra, i quali, non solo cooperavano a danno de’ loro avversar] con un’ostilità di parole, ma danneggiavano la loro causa colla perfidia dei fatti. Ogni qual volta trattavasi di musica italiana non c era elemento di disordine che non si ponesse in attività: ogni cosa era sottosopra: tutta la famiglia di Belzebù entrava nell’orchestra. I conoscitori non potevano esser ciechi a simili male arti, e però vi fu chi pensò di farne una nobile vendetta denunciandole apertamente al pubblico, e fu simulata una lettera in cui uno dei membri dell’Accademia Reale veniva combinandosi co’suoi colleglli dei modi più opportuni onde mettere a strazio la musica odiata. Di questa lettera mi proposi recare una parte ai lettori della Gazzetta acciocché si sappia quanta malizia si nasconde anche sotto il bel manto della più dolce fra le arti, e perchè in ogni occasione sia noto con quanti mezzi può un’orchestra congiurare a danno d’un povero maestro. Di queste congiure