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gV eternamente ripetute. delle sentenze gonfie di alterezza e di dispotismo, e che giun^crebbero a suscitare il dispetto se non Ài fossero alla fine si stravagantemente ridiq cole ed imbecilli. Mo mio Dio! lungi da me il pensiero di perorare la causa di esseri che mancano di tutto, d* intelligenza | e di gusto, di principi! e di convinzioni, Id" idee e di criterio., di grammatica e di buona fede; d esseri che imbrandiscono la. terribile arme della pubblicità per servire a bassi interessi, a meschine passioni, a parzialità rivoltanti •, d esseri infine che quando non hanno nulla meglio da fare j si mettono alla coda del pubblico, e bat8 tono le mani quando es>o balte, fischiano quando esso fischia, impotenti come sono a formarsi da sé stessi un giudizio, che possa venire approvalo dal loro intelletto e dalla loro coscienza. Io abbandono volentieri questi vermi della critica. queste creature che gettarono la mirabile statua del giornalismo nelle fogne e nel fango, ai sorrisi d ironia, agli scherzi sanguinosi, alle osservazioni pungenti e giustamente velenose di coloro, che provano dei santi trasporti d’ira quando scorgono queste mani mercenarie aggrapparsi a tutte le celebrità. a tutte le illustrazioni. a tutte le glorie per deturparle coi loro biasimi, per deturparle più ancora coi loro encomi!. Artista o no, io parlo soltanto del critico che! ha della nobiltà, della grandezza nel cuore 1 e nell’intelligenza, e che non accetta altra! schiavitù tranne quella della propria coscienza. Ed ora che ci siamo bene intesi su questo punto, lasciatemi penetrare intrepidamente nell* argomento. t Non è critico chiunque voglia esserlo } è questo un assioma quanto vero altrei-! tanto facilmente posto in non cale. Non basta essere uomo di genio, di spirito, di gusto, per credersi alto ad assumere la terI ribile funzione di raddrizzare, di confer| mare, e qualche volta anche di creare la pubblica opinione gettando la la propria, come una splendente colonna di fuoco destinata a guidare le masse attraverso il misterioso cammino dell’avvenire dell intelligenza. 11 talento della critica è una specialità che ha una necessaria analogia, ma che non può confondersi colle altre: varietà di talenti che servono a costituire, il poeta, il romanziero, lo storico, il coni- ’ positure, insomma 1 artista a qualunque ordine esso appartenga. 11 critico deve । avere come tulli questi una superiorità intellettuale incontestabile, ma composta di elementi diversi, giacché gli uni debbono essere gli apostoli, mentre egli sarà il Lutero dell’arte e delle sue produzioni. Io non darò certamente la definizione’. fisiologica del critico’, I impresa è troppo ardua perchè io m’attenti circonscrivere in qualche frase il senso complesso rappre-! sentalo da questa grande parola. Mi limi- | terò ad accennare alcuni dei rapporti che lo legano e che lo disgiungono dal resto! degli artisti. L’immaginazione, questo sangue che alimenta, che feconda, che genera l’idea, ed il gusto che scieglie, che prepara, che modifica, che abbellisce, e che crea alcune volte la forma da cui 1 idea sarà rivestita, ecco i due principali estremi che disegnano la figura dell’artista. Tutto il resto non è ® dal più al meno che un assieme di qua- > xn lità intermedie che sentono vivamente, per ry cosi dire, la consanguineità con questi due y/3 punti cardinali. Privo d’uno di questi due elementi fondamentali T artista è incompleto e deve necessariamente mancare alla propria missione } sono due principi! che hanno bisogno d’appoggiarsi a vicenda e che non possono essere impunemente separati: sono l’anima e il corpo legati da un nodo fatale ma necessario, sciogliendo il quale voi trovate subito per corollario la morte. Il critico non ha bisogno. strettamente parlando, di questa dualità intellettuale, purché possa comprenderla, apprezzarne il valore e 1 importanza. scorgerne i difetti e le mancanze, valutarne I" esagerazione o 1 insufficienza, sottoporla insomma al crogiuolo dell’analisi, egli ha (pianto occorre onde poter affrontare intrepidamente i doveri delle proprie funzioni. (Sarà continuato’). Bermani. PROGETTO Di U1TA 1T307A RIFORMA MUSICALE Siamo pregati ad inserire le seguenti sei lettere di un distinto cultore della musica nelle (piali si ragiona di diverse cose interessanti V arte, e specialmente di una novella Riforma Musicale. Abbandoniamo al senno de’ nostri lettori il giudicale (pianta e (piale attenzione questa proposta si meriti, persuasi dal canto nostro che un giornale della natura di questa gazzetta deve far luogo a tutte le discussioni che o d un modo o dell’altro giovar possono agli studi! dell’arte. Mio caro Lorenzo Era mia intenzione, come ti dissi già, fanno due mesi, di scrivere mi traltalello con tavole analoghe per far meglio conoscere il mio progetto per una riforma musicale; ma riflettendo più seriamente all’importanza del lavoro, a dir vero poco adatto alle mie cognizioni letterarie, e più ancora alla poca probabilità che venga approvalo, ne deposi il pensiero. Se non che capitandomi tutto dì sotl’occhi que’ tali inconvenienti, nella maniera attuale di scriver la musica, che m’hanno indotto a trovarne un’altra, c sentendo che non solo in Italia, ma anco in Francia v’è chi pensa a questa riforma, voglio per mio divertimento parlarne un po’ a lungo con le mio buon Lorenzo che mostri conoscer più ch’altri questa mia nuova maniera, e per parlarne un po’diffusamente non l’incresca che vada ripetendo qualcosa del già dello per dartene un’idea più chiara. Se mal non m’appongo dalla ripetizione delle 7 note, e dal voler quindi formare altri toni che corrispondessero a quello di do, ebbero origine i diesis, e bemolle. Vediamolo col fallo. Prendiamo le due ottave di do, immaginandole per un momento colle, sole mezze voci che sono naturalmente nella scala, ed in questa serie prendiamo l’ottava di sol come quella che ne’ suoi intervalli si scosta meno da quella di do, o almeno va per un più lungo tratto correlativa al do. Troveremo dal sol al mi intervalli simili a quelli dal do al la, e quindi un piccolo intervallo dal mi al fa che non è dal sol al la, ed un più grande dal fa al sol che dal si al do. Per far dunque che gl’intervalli dclp ottava di sol corrispondessero a quelli dell’ottava di do, non v’era altro a fare che accrescere la distanza dal mi al fa, e diminuire quella dal fa al sol. Questo s’è fallo dividendo per metà il fa, e chiamando la seconda metà diesis, che. suona (piasi dieresi, per cui una sillaba si divide in due, cd allora nella scala di sol andando dal wiija questa seconda metà del fa, e da questa al sol, abbiamo una progressione simile a quella in do. Ritenendo ora questo fa diesis troviamo che nella scala in re basti fare del do quel che s’è fatto del fa nella scala in sol, ed avremo un’altra scric simile, c via discorrendo, ed ceco formala la progressione de’ diesis fjC< di quinta in (pùnta partendo dal sì prima settima na(oralmente maggiore. Dove termini poi è tuttora un UK mistero. 0* Veniamo ora ai bimmolle, o vuoi bemolle. Nella scala in fa abbiamo invece la settima naturalmente maggiore, e la distanza dal la al si più grande di «piclla dal mi al fa nella scala in do; onde pei’ eguagliare queste distanze conveniva fare del si (pici che s è fatto del primo fa. Ma siccome qui la distanza è maggiore, bisognò prender la prima metà, e darle per conseguenza un altro nome. Questa prima metà la chiamargli bimmolle, forse da bimembre, ed ecco l’altra progressione di (piarla per i bemolle partendo dal fa prima quarta naturalmente minore. Ora, per venire al nostro proposito, se questi diesis, c bemolle non servissero ad altro che a formare ora la distanza di settima maggiore, ora quella di (piarla minore, non sarebbe male il lasciarli se non altro per memoria di chi ha saputo con questi formare tanta varietà di toni, ma siccome alla loro volta servono di note essenziali non meno delle prime settime, ragion vuole, o almeno vorrebbe, che anche loro avessero un nome. Formali tulli i toni secondo abbiamo dello di sopra, ora prendendo la seconda metà d’una nota per formarne settima maggiore, cd ora la prima d un’altra per formarne (piarla minore, ne risulta una serie di 12 mezze voci che formano la base di tulio il sistema musicale. Le prime sette hanno un nome, perchè non darlo alle altre cinque? Aggiungi che per non avere queste un nome proprio, accade sovente di dover sbattezzare le prime sette, come per esempio il do non più do ma si diesis, oppure re doppio bemolle, il re non più re ma do doppio diesis, oppure mi doppio bemolle, c via di seguilo. Se dunque con soli cinque nomi, e sien questi le. cinque vocali, oppure i cinque monosillabi Pa Ilo Tu />e No, o altri a piacere si potesse togliere questa farragine d accidenti che formano, direi (piasi, tutta la difficolta della lettura della musica, sarebbe a mio parere un vantaggio. Che la cosa sarebbe più chiara lo vedrebbe un orbo, se poi possa mandarsi ad effetto m’ingegnerò provartelo un’altra volta. Dimmi in risposta se hai avuto pazienza di leggere questa mia lanlafcra, onde possa regolarmi per scriverne delle altre. Genova 28 novembre 1845. Maurizio Sciorati. NOTIZIE MUSICALI DIVERSE — Parigi. Il gran concerto isterico dato dal signor Amadeo Méreaux a beneficio della società degli artisti di musica, ebbe luogo il 28 aprile, a due ore. nella sala di Pleyel. Eccone il programma: Parte prima. 1498 Prière au tombeau du Christ, il venerdì santo, musica di Giovanni Mouton, maestro di Cappella di Francesco 1, cantala dagli allievi della scuola di Pastou, con accompagnamento (Porgano. - 1737. Renais plus brillante, prologo, e Tristes apprêts, Castor et Follux, di Rameau, cantali da Delsarte. - 4695. Trois pièces de clavecin, di Francesco Cooperili, della musica di Luigi XIV, eseguiti da Amadeo Méreaux. - 1735. ■Ve cerca, se dice, aria dell’Olimpiade, di Pcrgolese, cantala da Carlo Dumas. - 1530. Zìa Romanesca, aria di danza del XVI secolo, eseguita da Alarti. - 1540. Les Cris de Paris sotto Francesco I, di Clemente Jannequin, cantati dagli allievi della scuola di Pastou (senza accompagnamento). - 1726. Trois pièces de clavecin, di Rameau, eseguili da Amadeo Méreaux.- 1550. Choral di Claudio Goudiinel, cantato dagli allievi della scuola di Pastou. - 1685. Ah,! quel tourment d’aimer sans espérance, aria di Rolando,di Lulli, cantato da Delsarte. - 1720. Grande sonate fuguée, per pianoforte e violino, di Gio. Sebastiano Bach, eseguita da Amadeo Méreaux e Alani. - 1737. Frisons tous nos fers, coro di Castor et Pollux, di Rameau, cantato dagli allievi della scuola di Pastou. - Seconda parte. - 1785. Grand Concert in re minerò, di Mozart, con accoro- njj pagnamento d’orchestra, eseguito da Amadeo Méreaux. kg - 1779. De noirs pressentiments, aria di Thoas, d’Z phigénie en Tauride, di Gluck, cantala da Delsarte. feX 4700. Cantando un di, duetto madrigalesco di Clari,