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— — — â’ü?,’ dell’uomo appassionato; impoverirà di molf° l’eloquenza musicale, escludendo una folla di suoni attissimi a commuovere 1 gUJ unicamente perchè non entrano nel siq sterna arbitrario dell’armonia, non che ’ levando a quelli che restano il mezzo più | possente della espressione, che è quello di 1 parlar all’anima nostra un qualche linguaggio, e di rappresentarle un oggetto determinato. Imperocché ove la musica non mi farà sentire che intervalli, consonanze, proporzioni, accordi e rapporti; ove tutta la sua possanza si ridurrà a titillare unicamente i nervi auditor) con certe vibrazioni metodiche e insignificanti. io applaudirò bensì alla scienza del musico, ammirerò quell1 algebra sonora come ammiro i calcoli di Ricatti e d’Eulero; godio anche dello stesso materiale diletto che mi arrecano i gorgheggi d’uno usignuolo, od un canario, ma non ravviserò punto quel prin-. cipio d’imitazione, che di tutte le belle arti è il fondamento, non troverò alcun segno di convenienze tra gli accordi armonici e le mie proprie affezioni, nè sentirò ricercarmi 1 anima e il cuore da 3 nei movimenti improvvisi e forti, che alle arti del genio ogni uomo sensibile ha diritto di esigere. Come i colori accozzali su un quadro niun effetto cagionano senza il disegno che è lo spirito vivificante della pittura, così la combinazione de1 suoni nulla giova a interessare senza la melodia. L’immagine delle nostre passioni e degli oggetti che le mettono in esercizio, lo specchio delle nostre idee e de’ nostri sentimenti rinovellato alla memoria per mezzo del canto o della sinfoI nia, ecco Tunica via d intenerirci. di smuoverci e di render viva, ardente ed energica la favella musicale. Questa è la cagione eziandio per cui rimanendo freddo e indifferente lo spettatore alla veduta d’un bosco o di un deserto dipinto sulla tela, da un valente pennello, non rimane altresì ozioso nel sentire una voce, che canti in quella solitudine o in quel boschetto. Le fronde degli alberi, 1 albeggiante azzurro dell’orizzonte, le punte delle roccie inerpicate, le lontananze e i chiaroscuri delle valli rappresentale sul quadro, sebbene invaghiscano 1 occhio de riguardanti, nulla dicono però allo spirito loro, laddove una voce solitaria che risuoni dolcemente nel silenzio di solinga valle annunzia tosto a chi T ascolta, che colà soggiorna un essere socievole, compagno nelle sciagure e nei diletti, e creato al paro di lui dalla natura per fruir l’aura della vita, e per godere le delizie dell Universo. Talmente incominciarono a pensare i compositori italiani. O fosse che la riflessione li recasse a così interessante scoperta, o si lasciassero condurre da quelT intimo sentimento del bello, che genera il gusto, e che vieti generato dall istinto; o nascesse ciò dalla perpetua e inalterabile oscillazione, per cui le facoltà appartenenti alla immaginazione e alla sensibilità passano dal pessimo stato al mediocre, e dal mediocre all’ottimo per ricader di bel nuovo nel pessimo; cerio è, che il cuore riacquistò i diritti ad esso tolti dai sensi e che la musica da un puro accozzamento di suoni divenne un’arie imitativa capace di esprimere tutte le pas- j Ò sioni, e di rappresentare tutti gli oggetti. 1 vR II primo benché debole cangiamento venne dalla musica ecclesiastica. Orazio Benevoli, Anlon-Maria Abballini, Francesco jj? Foggia, Pietro Licerli - e il rinomatissimo 1 Cesti cominciarono in Roma i primi a ripulir alquanto, e semplificar T armonia dagl’ispidi intrecci del contrappunto, a concertar con più esattezza le parti, a connetter fra loro i passaggi secondo ilgluogo che debbono occupare nella modulazione, e a scegliere e regolare gli accordi secondo la relazione che essi hanno col tutto. Lodovico Viadana. inventando il basso continuo, così chiamalo perchè dura lutto il tempo della composizione, inventò parimenti con siffatto mezzo la maniera di regger meglio T armonia, di sostenere la voce, e di conservar i tuoni nella debita proporzione e giustezza. Cosi la misura prese a poco a poco un andamento più regolare- il tempo divenne più esatto, e più preciso, e il ritmo musicale acquistò una cadenza sensibile altissima a fare spiccar maggiormente le progressioni del movimento e della misura. Con tali preparativi la declamazion musicale, ovvero sia il recitativo, confuso fin allora col canto, o non abbastanza distinto, divenne un genere di per sè, che acquistò peculiar forma e leggiadria. Giacomo Carissimi, illustre compositore romano, dopo la metà delio scorso secolo (0, cominciò a modular i recitativi con più di grazia e di semplicità. avvegnaché non vi si facesse allora particolar riflessione, sì perchè il gusto del pubblico, rivolto intieramente alle macchine e alle decorazioni, badava poco alla dilicatezza della composizione, come perchè la poesia dei drammi così poco interessante faceva perdere il suo pregio anche al lavoro delle note. Ma il vero stile della declamazione musicale si riconobbe più distintamente nelle opere di Giambattista Lui li fiorentino, il quale, passando in Francia nella piccola età di sei o sette anni, e apparando ivi l’arte di suonar il violino e di comporre per musica, divenne, portato dal grandissimo ingegno onde avealo fornito la natura, il corifeo della Francia. Lo che egli fece imitando la musica sacra quale si trovava allora nei bravi compositori italiani, e trasferendola al proprio idioma ed al teatro con quella mutazione che esigeva il genio dell’uno e dell’altro. Chi ha sentilo eseguire i celebri mottetti del Carissimi e del Cesti da qualche bravo cantore, vi ravvisa per entro la sorgente onde ricavò Lulli il suo recitativo; se non che lo svantaggio che ebbero quei primi lavorando su parole sconnesse e mezzo barbare d una lingua morta. non lo ebbe già il musico fiorentino, cui toccò in sorte un poeta francese impareggiabile (2). L’alta riputazione di Luigi decimoquarto, al cui servigio si ritrovava il Lui 1 i, avendo richiamato alla sua Corte il fiore delle altre nazioni nelle arti e nelle lettere, eccitò in particolar maniera la curiosità degli Italiani, i quali vi si portarono in folla, spinti non meno dal desiderio d’imparare e di conversare cogli uomini grandissimi che allora fiorivano in Francia, che da quello di far mostra de’proprj talenti alla Corte d’un gran re protetto!’ dichiarato d’ogni sorta di merito, e divenuto assai più celebre per questo mezzo, che per l’incomparabile sua fortuna nella guerra o per la preponderanza acquistata sugli affari di Europa, documento luminoso a’sovrani per far loro conoscere, che la sola maniera d’eternar il loro nome e di farsi adorare dai po(t) L’Arteaga scriveva sul finire del secolo XVII. (2) Quinault. - - p steri è quella di rendersi veramente utili alla umanità, promovendo le arti che soddisfanno a’bisogui degli uomini, e favoreggiando le scienze, che perfezionano il loro spirito. La gloria delle armi, e delle conquiste passa, come il fragore d" un turbine di cui non si conserva la memoria se non per le rovine che ci attestano della strage, laddove quella de’ principi. che proteggono le cognizioni proficue, inseparabile dal vero merito, dura come la quercia descritta da Lucano, che era la figliuola primogenita del bosco, riverita da pastori e abitato da’Numi, ai rami della quale appendevano corone di fiori le ninfe, e i capitani i loro militari trofei (1). (Sarà continualo) (I) Ragion vuole, che *ì ricordi al lettore un pregio, che suole accompagnare il regno di quei Monarchi a’quali si dà il titolo di Grandi, cioè, che ai suoi tèmpi mirabilmente fiorivano le lettere, e i letterati non meno fra i Cristiani che fra i Pagani. Muratori, Annali d’Italia, anno 595. Il bibliotecario Estense è (piasi sempre più erudito, che filosofo; ma questa volta fa eccezione alla regola. DELLA CRITICA IH FATTO DIETE Amiicoi.o I. E questa una del e questioni più spinose e che suscitano maggiori discordie fra tutte quelle che vengono combattute e difese sul campo dell’intelligenza. A i sono gli eclettici che vorrebbero generalizzato il diritto di giudicare dei prodotti di un’arte ad ogni persona che abbia criterio, gusto, finezza nel sentimento del bello, conosca ella od ignori il meccanismo delle regole su cui Tarte è basata, e vi sono d’altra parte gli esclusivi che rifiutano rigorosamente questo diritto ad ogni profano, non ammettendo che vi possa essere giustezza di giudizio sotto l’involucro di frasi, alle quali manchi il tecnicismo delle espressioni. Frammezzo a queste due opinioni tanto divergenti, e che sono sostenute da ragioni in apparenza inespugnabili, il problema resta ancora indeciso, e la critica domanda ancora a chi debba consegnare i suoi due magnifici emblemi, il turibolo e la sferza:, incerta con? è d’ingannarsi se s’attacca o all’uomo che ha per tutta sua guida il gusto, o a quegli che è trionfalmente penetrato nel santuario dell’arte. Io cerio non voglio, nè adesso nè più tardi, mostrare a nudo la mia opinione su questo riguardo; lo scioglimento della gran disputa non sarà mai un effetto del ragionamento ma del tempo e dei fatti, ed io abbandono volentieri a queste invincibili potenze 1 incarico di determinare la vittoria ad uno dei due partiti. Mio solo scopo, trattando un tale argomento, si è di offrire così alla rinfusa, come si presenteranno nel mio cervello, alcune idee che militeranno ed in favore e contro i due principi! si opposti, e che si urtano si fieramente di fronte. Starà ai lettori trarre tutte le deduzioni che sembreranno a loro più convenienti. Ma prima di tutto, onde la mia intenzione non venga fraintesa, io debbo dicbiarare che non mi fo per nessun conto il difensore di quella parte di giornalismo, che nell audace sicurezza d una ignoranza senza confronti, abusando stranamente di una posizione acquisita per una di quelle bizzarrie sociali di cui nè io ne voi potremmo mai dare la soluzione, getta là col sussidio d’un cerio numero di vecchie frasi