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— G8 — r— ■— — ■— giabili bellezze dell’antica, nel quale nobile tentativo si distinsero il Vicentini, il Mei, il Glareano. il Bottrigari. il Fogliari! con altri minori, ma questi sforzi non si fecero che verso la metà del seicento, onde prima di questo tempo mancò a musici la conveniente istruzione. Ben è vero che a que giorni fioriva Giambattista Doni, scrittore esimio, che solo varrebbe per tutti, ma la più bella delle opere sue e la più acconcia a spargere il buon gusto, cioè il Trattalo della musica scenica rimase fra le tenebre inedita fino a’ giorni nostri. Anche il celebre gesuita Atanasio Kirchero mandò in luce nell’anno 1G50 la sua Mu sargia, opera nella quale si imprende a trattare tutta quanta l’armonica facoltà, ma che incontrò la disapprovazione dei dotti pei molti abbagli presi dall autore e per l’infedeltà nel tradurre i musici greci. La terza e principale ragione del decadimento della musica fu il decadimento della poesia, e ciò in forza dello stretto vincolo di fratellanza che lega le due arti, sicché l una, immancabilmente si corrompe allorché l’altra si guasta, e viceversa. Con parole vuote di interesse e di alletto, osserva l Arleaga, al quale ci siamo strettamente attenuti nella redazione di questo articolo, non poteva congiugnersi se non una musica mula al tutto di espressione, e quando il sentimento era carico di concetti viziosi o puerili, la melodia non sapeva vestirsi se non se di ornamenti perii ui. Dallo stato svantaggioso a cui si trovava la musica e la poesia presero occasione i cantanti di emanciparsi dal giogo de poeti e de1 compositori, e di arrogarsi il primato sulla scena, attirando quasi esclusivamente a sè soli 1 attenzione del pubblico. Giulio Caccini era stato il primo a raffinare il canto monodico, introducendovi non pochi ornamenti di passaggi, trilli, gorgheggi e simili cose, le quali saviamente adoperale e parcamente contribuirono a dare espressione e vaghezza alle melodie. Questa maniera coltivala appresso con molla grazia da Giuseppe Cenci fiorentino, per cui divenne assai celebre dentro e fuori della sua patria, fu poi condotta a maggiore perfezione da Lodovico chiamato il falsetto, dal Verovio, dall’Ottaviuccio, dal Niccolini, dal Bianchi, dal Lorenzini, dal Giovannini, e dal Mari, cantanti bravissimi di quel tempo, i quali prepararono 1 epoca del maggior splendore dell arte del canto italiano nel secolo decimosettimo. A’ primi tempi delle rappresentazioni drammatiche in musica le parti di soprano veniano per solito eseguite da fanciulli. Ma f ingrossamento della voce che succedeva in loro col crescere dell elà, e la difficoltà che si trovava nell ottenere ch’eglino dessero al canto l’espressione d affitto di cui non sono capaci negli anni più teneri, costrinsero i direttori de teatri a valersi degli eunuchi. La relazione sconosciuta, ma pure avverata dagli anatomici, che passa tra gli organi della generazione e que della voce, impedisce in coloro cui viene impedito lo sviluppo ulteriore dei sesso, che si ingrossino i legamenti della gola per la minor copia di umori che vi concorre, li rende più alti a vibrare e conseguentemente ad eseguire le menome graduazioni del cauto, assottiglia l’orifizio della glotide e la dispone a formare i tuoni acuti meglio degli altri. Colali circostanze doveano dar ad essi la preferenza in teatro. Non può dirsi a precisione l’epoca della introduzion loro. Da una bolla di Sisto V indirizzala al nunzio di Spagna si rileva che l’uso degli eunuchi era mollo comune in quella nazione probabilmente per la musica delle Chiese, o per quella di camera. Da una lettera del celebre viaggiatore Pietro della Valle a Lelio Guidinone scritta nel 4G4O si vede, che erano di già comunissimi sulle scene italiane a quel tempo. Il trasporlo di codesta nazione pel canto, e le voci di lai cantori, proporzionate alia mollezza, o per dir meglio, alla effeminatezza della nostra musica ci fa credere che eli italiani se ne prevalsero subito dopo l’invenzione del melodramma. I più famosi in allora furono Guidobaldo Campagnola mantovano, Marco Antonio Gregori. Angelucci. e sopra tutti Lottilo Vittori, di cui Giano Nido Eritreo fa tali elogi, che sembrano ad uom mortale non poter convenire. «Egli è un problema assai diffìcile a sciorsi, dice il succitato Arteaga, se convenga, o no alla morale pubblica, che le donne rappresentino negli spettacoli 1 esempio degli antichi greci e romani, che escluse le vollero costantemente: il rischio, cui si espone la loro virtù esercitando una professione, ove per un orribile. ma universal pregiudizio, non ha alcun vantaggiò il pudore, ove tanti ne ha la licenza} ) ascendente, che prendono esse sugli animi degli spettatori non meno contrario al fine del teatro, che pericoloso al buon ordine della società, la mollezza degli affetti, che ispirano coi loro atteggiamenti espressivi di già troppo avvalorata colla seduzione naturale della bellezza, e del sesso; lo spirito di dissipamento che spargono fra giovani scapoli, i cattivi effetti dei quali si risentono in tutti gli ordini dello stato politico, sembrano legittimare il divieto ad esse pur fallo sul principio delle drammatiche rappresentazioni in Italia di comparir sul teatro. Ma dall altra parte i disordini forse maggiori che nascevano dal sostituire in vece loro giovanetti venali e sfacciati, ai quali, dopo avere avvilito il proprio sesso coi femminili abbigliamenti, non eia troppo difficile il passaggio ad avvilire la natura eziandio: la influenza grande nella società, e maggiore in teatro, che i nostri sistemi di governo permettono alle donne, dal che nasce, che essendo elleno la parte più numerosa, e la più pregiata degli spettacoli, cui vuoisi ad ogni modo compiacere, amano di vedere chi rappresenti al vivo in sul teatro i donneschi diritti: l’amore, il quale per cagioni.: che non sono di questo luogo, è divenuto il carattere dominante del moderno teatro i e che non può debitamente esprimersi, j nè convien che si esprima da altri oggetti,! che da quelli fatti dal cielo per ispirarlo} I la ristrettezza dei nostri teatri picciolissimi a paragon degli antichi dove la distanza, che passa fra gli attori e gli spettatori è ’ tale che! personaggi non possono agevolmente prendersi in iscambio c dove troppo è difficile il mantenere 1 illusione} altre cause in somma facili a scoprirsi rial lettore filosofo costrinsero alla perfine i saggi regolatori delle cose pubbliche ad immettere le donne sulle scene. La quale permissione tanto più divenne necessaria nel dramma, quanto, che non ci er» maniera di supplire per altro verso alla dolcezza delle voci loro cosi acconcio ad esprimere e comunicare gli affetti, primo e principale scopo del canto. «Trovasi perciò di; buon* ora stabilita colale usanza, e celebri sì resero in Firenze le due Lulle Giulia e Vittoria assoldale dalla corte colla Caccini figliuola di Giulio Cacchi! uno degli inventori del melodramma. e altrove le Lulle, la Sofonisba. la Camilluccia. la Mo- • retti, la Laodamia dei Muli, la Valeri, le Campane, le Adriane con altre, che furono con indicibd plauso sentite in diversi teatri di Italia. Allora. sdegnando il volgar nome di cantatrici e di cantori presero quello di virtuose e di virtuosi per distinguersi anche dagli istrioni, coi quali non vollero più accomunarsi. Allora 1 utilissimo talento di gorgheggiare una arietta cominciò a diventare una strada sicura per giungere alle ricin zzi* ed agli onori, e fu dal popolo riguardalo collo entusiasmo mede- j. simo. con cui aveva ricevuta in altri tempi Velturia. allorché liberò Borna dal giogo di Conciano. ovvero Pompeo conquistatore dell Asia e di Mitridate. I utlavia la maniera di cantare, che regnava nell universale non sembra, che meritassi.* cotanti applausi. Ad eccezione di quei pochi mentovati di sopra, gli altri cantori si erano di già lasciati infettare da Quel vizio, che ha pressoché in ogni tempo sfigurata la musica italiana, cioè gli mutili e puerili raffinamenti. I ghiribizzi della musica e della poesia si trasfusero nel canto eziandio, nè poteva avvenire che la melodia fosse naturale, ove le note e le parole nulla significavano. Sentasi come parla uno scrii tore con temporaneo, il quale, dopo avere ragionato alla lunga dei difetti del canto, soggiunge: «Mentre i nostri «cantori cercano di schivare la durezza, CQ IL U C6 CC LL a e la troppa sterilità delle modulazioni, le stemperano poi, c le triturano in maniera. che si rendono insopportabili. Dal qua! morbo sono particolarmente attaccati gli Italiani, i quali credendo sè stessi i viri magni della facoltà, stimano il restante degli uomini altrettante pecore, e tronchi. Ciò li fa meritevolmente ridicoli. agli occhi degli stranieri} non so se questi giudichino con piena cognizione di causa, ma so che almeno non cadono in simili inezie cosi frequentemente. ’■> - Non è colpa mia, se il testo surriferito e alquanto sfavorevole alla Italia. Basti sapere per mia difesa, che fautore non è uno straniero, ma un Italiano, e un celebratissimo italiano. Egli è il mentovato Giambattista Doni (1). (1) Praestanlia Musicæ Vcteris? Lib. 5. MISCELLANEA — Parigi. A Sivori può applicarsi il motto: Vwiwi; vidi, vinsi. In sei giorni due volte si presentò al pubblico parigino e ne riportò due trionfi. Venne paragonato a Paganini, del (piale interpretò quattro azzardose composizioni con crescente effetto; nel rondò della Campanella, e nel Carnovale di Venezia, sì bello nell’originale sua bizzarria, sorprese, elettrizzò al più alto grado. Questo forte concertista può esser dichiaralo sotto ogni rapporto perfetto: oltre al tenersi più composto nella persona, dovrebbe meno compiacersi delle astruse difficoltà per far maggior pompa di sentimento c di canto spiccalo, in cui qua e la dimostrò di saper ottimamente riuscire. In alcuni tratti il violinista italiano ora non ha rivali. Fra i pezzi prodotti dal rinomalo Berlioz nel suo concerto all’Opera Comica, emerse 1 owrtura del Carnevale di lloma recentemente composta e da taluno acclamala siccome il capolavoro del dotto autore del più completo e più filosofico trattato d Islrtimenlazionc. Per voler giudicare della musica di Berlioz non basta averla udita una sola volta; è concepita dietro mire troppo profonde: la convinzione di lui per la bell’arte è generalmente manifesta, egli non si cura gran fatto di solleticare le orecchie degli uditori a’quali a tutta prima non può esser agevole discerncre il merito delle sue produzioni. ==:0i